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dicono di noi
25/10/2012
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Perugia/ Incontro con il gesuita Paolo Dall'Oglio, minacciato dal regime di Assad e costretto a lasciare il paese

“La mia Siria”

Venti mesi di repressione, dice il gesuita, sono stati ignorati in Occidente per paura e per calcolo politico

di Domenico Barberio

Un’iniziativa ricca di significato politico e carica di implicazioni religiose e morali. Forse si potrebbe sintetizzare così il senso della presenza di Padre Paolo Dall’Oglio a Perugia nell’incontro organizzato il 26 ottobre scorso dall’Istituto Giancarlo Conestabile della Staffa e Luigi Piastrelli in collaborazione con Amnesty International, Asli (Associazione Siriani Liberi in Italia), Circolo Culturale Primo Maggio, Felcos Umbria (Fondo Enti Locali per la Cooperazione decentrata e lo Sviluppo umano sostenibile) e Tavola della Pace. Padre Paolo è un gesuita che per oltre 30 anni ha vissuto in Siria dove ha rifondato, tra l’altro, l’antico monastero di Mar Musa, luogo di incontro fra Cristianesimo e Islam. Il 16 giugno di quest’anno è stato costretto ad abbandonare il paese per evitare «danni peggiori alla mia situazione personale», danni che il regime di Bashar al-Assad ha fatto intendere a Dall’Oglio con esplicite minacce. Regime che dal marzo 2011 fronteggia con ogni mezzo la rivoluzione siriana scoppiata nelle piazze dopo il benefico contagio delle primavere arabe. Padre Dall’Oglio è stato, e continua a essere, una delle voci più critiche, e al contempo più autorevoli, nei confronti del governo di Assad e, dalla sua cacciata dal paese, ha iniziato una sorta di cammino di testimonianza in giro per l’Italia per raccontare quello che succede in Siria, per stimolare un più diretto intervento del Governo italiano e della diplomazia internazionale, per sensibilizzare un’opinione pubblica che di faccende siriane e mediorientali conosce poco, e si interessa ancora meno. Padre Paolo ha una personalità forte che si esprime immediatamente nella sua fisicità: alto, robusto, grandi mani, voce profonda e roboante. E facendo leva su questa presenza così imponente imprime alle sue parole un tono, una determinazione che lo fanno sembrare un leader politico, un trascinatore, un capopolo verrebbe quasi da dire, per la nettezza dei suoi discorsi e per la passione che li caratterizza. E questa passione è un sentimento che si nutre del profondo amore per la Siria, in cui il gesuita italiano ha vissuto metà della sua vita, e della chiara consapevolezza che quel paese oggi è lacerato da una devastante guerra civile le cui prospettive sono incerte, come incerto è l’esito dei quotidiani combattimenti sul campo. «C’è un peccato di omissione perché questo pezzo d’umanità va al naufragio nell’indifferenza di tutti».
Il giudizio del gesuita rispetto a quello che sta accadendo non lascia molti dubbi: «venti mesi di repressione sono ignorati in occidente per paura e per calcolo politico». Padre Paolo parla a Perugia nell’Oratorio della Santissima Annunziata e costruisce, attraverso il suo eloquio incisivo e coinvolgente, un affascinante racconto della millenaria storia della Siria, che vede nell’incontro con l’Islam uno dei suoi momenti più significativi perché «il mistero religioso arabo, il mistero del cuore del Profeta Maometto, il mistero della sua fede, riesce a far breccia nella più evoluta civiltà siriaca armonizzandosi con essa». Padre Paolo per evidenziare il dramma della Siria di oggi schiacciata da Bashar al-Assad parte quindi da lontano riuscendo, con una rara capacità di sintesi, ad arrivare fino alla perdita di potere degli Ottomani e all’avvento dei francesi che nel corso della prima metà del ’900 portano avanti la classica politica coloniale del divide et impera favorendo gli alawiti, un gruppo sciita esoterico, che sono circa il 10-15% della popolazione e che durante l’impero ottomano avevano subito un processo di emarginazione. Ne fanno le spese soprattutto i sunniti, il gruppo più numeroso presente nel paese. Gli alawiti entrano in massa nell’esercito ingrossando le file degli alti ufficiali. Tra questi brilla per particolare capacità di comando e spregiudicatezza Hafiz al-Assad (padre dell’attuale presidente) che intorno agli anni ’60 arriva al potere grazie al partito Baath, il cui modello è il partito unico di stampo sovietico, che nel corso degli anni «viene svuotato del suo impianto ideologico soppiantato dal potere clanico-mafioso che la famiglia Assad intanto ha creato».
L’avvento del giovane Bashar al-Assad nel 2000 creò grandi speranze perché come spiega padre Paolo “era un medico, aveva studiato in Occidente, aveva sposato una sunnita”. Ma le speranze sono rimaste tali, e il freddo calcolo politico finalizzato al mantenimento del potere ha avuto il sopravvento. Il resto è la tragedia dell’oggi che si rispecchia negli occhi lucidi, velati dalla commozione, dei siriani presenti in sala il 26 ottobre a cui Padre Paolo rivolge, all’inizio del suo intervento, un saluto fatto di rimpianto e nostalgia in un arabo perfetto. «Di fronte all’incapacità di rispondere alla richiesta nonviolenta dei giovani democratici si è preso atto che o si rinuncia alla rivoluzione e si accetta un nuovo ’82 (la rivolta della città di Hama soffocata nel sangue da Hafiz al-Assad, nda) oppure bisogna andare fino in fondo. I siriani hanno scelto di andare fino in fondo, senza ritorno».
Le parole di Padre Paolo non lasciano spazi, la soluzione della crisi siriana presuppone che il clan degli Assad lasci definitivamente il potere. È un traguardo difficile da raggiungere, però, perché il regime oltre a condurre la repressione cerca, attraverso l’utilizzo della propaganda, di mistificare quello che realmente accade offrendo un’immagine di se stesso differente e strumentale a seconda dei contesti. Utilizza cioè differenti registri comunicativi: all’interno del paese i rivoluzionari sono fatti passare come schiavi al servizio del complotto che «a seconda di casi è un complotto sionista, turco, americano, salafita, di Al Qaeda», mentre all’esterno, di fronte alla comunità internazionale, si fomenta la paranoia fondamentalista presentando il governo siriano, in quanto laico, come l’unico capace di contrapporsi alla minaccia estremista. Ma Padre Paolo è fermo e convinto: «Bashar al-Assad secondo una prassi consolidata gioca sulle paure» e quindi alcuni degli appelli che arrivano dalla comunità internazionale appaiono inutili e dannosi. «Si parla tanto di conciliazione ma questa parola maschera la conservazione del regime.
Con Assad non ci può essere conciliazione. Bisogna stare accanto alla resistenza, perché questi ragazzi che combattono ricordano tanto la nostra resistenza, quella italiana». Esistono per Dall’Oglio delle comuni radici etiche che però per attecchire in una Siria libera e democratica debbono trovare l’appoggio dei tanti che si dicono nonviolenti e che non si vedono, non si sentono. «Oggi è necessario che ritornino a essere protagoniste la solidarietà, la diplomazia e la nonviolenza», questa è la sua accorata conclusione.

Domenico Barberio