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dicono di noi
01/09/2020
il Giornale

TULLIO CIOTTI: UNO DEI 650.000
Gli Internati Militari Italiani nei lager nazisti: carne da lavoro

Uno dei Comandamenti mosaici, tutti dovrebbero conoscerlo, recita secco: «Onora il padre e la madre». Non ci sono scorciatoie, anche se è la madre che ti partorisce. Ma forse vuol dire che la madre viene affettivamente prima, fatto insomma scontato. Non vorrei esser freudiano, ma il conflitto di figlio con il padre è più frequente, si pensi a Franz Kafka come epifania del caso. Ammiro la tenerezza di Luigino, del resto in lui naturale in tutto quello che fa, dunque che dedicasse a papà Tullio Ciotti un ricordo sotto la forma di libro, non mi ha punto sorpreso, sia pure a nove anni dalla sua morte. Ma Luigino, si sa, è preso così drasticamente dalle variegate e appassionate azioni culturali e sociali; ma a un certo punto della sua maturità filiale ha dissepolto carte e memoria e ha deciso di assemblarle in un piccolo monumento di carta stampata. E si è messo a studiare le vicende militari di Tullio, perché centrali nella sua vita, per il resto serena e tranquilla dedicata alla famiglia, al lavoro, alla lettura del giornale, alla partita a briscola. Il libro, molto suggestivo e pieno di pathos, quindi, non poteva che raccontare – il tema non è stato nei decenni caro agli storici di professione – la prigionia, l’ingiusta detenzione in campi di concentramento tedeschi (o polacchi in una Nazione colpita con ferocia alle spalle da Hitler e di fronte da Stalin). Ciotti Tullio divenne, da fantaccino sconfitto, grazie a quel colpo di genio di Pietro Badoglio, uno dei generali inetti della Grande Guerra, che con il suo suicida «la guerra continua» trasformò i soldati italiani, in prede da cacciare, da fucilare, appunto da imprigionare, facendone forza da lavoro coatto in spregio a tutte le norme internazionali di protezione della dignità umana e del rispetto degli inermi. O soldati che non aderiscono alla Repubblica Sociale sono pertanto umanità di bassa lega. Non è qui il caso di trattare la follia hitleriana che riempie intere biblioteche, o dei prigionieri di guerra italiani catturati dai Sovietici quando l’Italia, immemore delle disfatte di Napoleone, entrò in Russia da stracciona nell’immensità e i gelidi rigori del Generale Inverno. È così che, dopo l’8 Settembre 1943, il bracciante Ciotti Tullio da Bettona, il 9 di giugno del 1943, riceve la cartolina precetto del richiamo alle armi. Mussolini dichiarerà guerra a Gran Bretagna e Francia il 10 giugno 1940 dal fatale balcone di Piazza Venezia: «L’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria». Parole alate, retorica gonfia, carica di presagi d’immani. sventure. Il bracciante Ciotti Tullio si troverà con un fucile in mano. Di quelli non da caccia. Il libro sulla prigionia di Tullio (Bettona 1924 – S. Maria degli Angeli 2011), è un atto d’affetto e un documento storiografico utile a capire quegli anni cruciali, e il figlio, sia pure con molto ritardo, e postumo, non ha avuto cuore di scriverlo da sé e si è avvalso della collaborazione di uno studioso di professione quale il prof. Dino Renato Nardelli. Il fante Tullio viene assegnato al 112° Reggimento di Fanteria Motorizzata ed è di stanza alla Cecchignola a Roma quando alle 19.42 l’Eiar manda nell’etere l’a dir poco incauto messaggio badogliano sull’Armistizio firmato in gran segreto a Cassibile in Sicilia il 3 settembre. Senza ordini o tattiche difensive le truppe italiane a difesa di Roma vengono letteralmente “mangiate” dai tedeschi, e Tullio Ciotti viene preso prigioniero la sera stessa dell’8 settembre. Il Re, si sa, è con Badoglio eroicamente “in viaggio” per Pescara. Non sto qui – leggere per credere - a raccontare il crudele viaggio non in Fiat 2800 ma pigiato in un vagone piombato verso il campo di Kurtwitz, la cittadina (prima tedesca ora polacca) piuttosto squallida ribattezzata Kondratowice dai polacchi. Il libro racconta la vita e le sofferenze (fame, freddo, lavoro, maltrattamenti) subite da centinaia di commilitoni di Tullio, tra cui alcuni umbri, e grazie alle ricerche tuttora in corso di Luigino si apprende che di Assisi e dintorni i prigionieri in uno dei moltissimi lager tedeschi o polacchi – previdenti e organizzati alla prussiana dai nazisti - furono 250 di Assisi 43 di Bastia Umbra (la popolazione di Assisi allora era di 22.500 abitanti mentre Bastia ne contava 5.500 – oggi ne ha 22.000). Oggi non mancano ricerche accurate, come quella di Mario Avagliano e Marco Palmieri, i militari italiani nei lager nazisti. Una resistenza senz’armi, 1943-1945, Il Mulino, con in copertina Giovannino Guareschi, il più celebre dei prigionieri. Chiamati Italienische Miltar-Interniarte. E ora si aggiunge questo libro: I campi di Tullio. La storia di un Internato Militare Italiano, un titolo teneramente e drammaticamente allusivo, intonato per un contadino umbro di 19 anni, che probabilmente non era stato mai manco a Foligno, scaraventato nella bufera di una guerra incomprensibile e criminale, senza aver sparato un colpo, subito messo ai ferri, un numero e una non persona. Un IMI, senza diritti e senza più una patria. Per chiudere, sono grato a Luigino e a Roldano di avermi chiesto questo contributo, che dedico a mio suocero l’artigliere Carlo Antonini, Bevagna 1914-2008, ortolano, padre della mia Neri na che non è più, internato nel Lager AS. GHB. 43.33.13.43 a Helmstedt, Germania. E che dedico va da sé anche alla memoria di Tullio Ciotti e a tutti i Seicentocinquantamila eroici soldati che si rifiutarono di passare al nuovo, vero nemico.


https://www.prolocobastia.eu/wp-content/uploads/2020/09/settembre-2020.pdf pag.16

Antonio Carlo Ponti