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dicono di noi
18/06/2008
I colori della cooperazione

Kenya, un'emergenza politico-sociale che continua

Sicuramente un successo è stata la cena di solidarietà con il Kenya che si è svolta a Perugia, domenica 3 febbraio 2008, presso il Centro Shalom, gentilmente messo a disposizione dalla Parrocchia di S. Spirito. Numerose le associazioni umbre promotrici dell’iniziativa, a testimonianza della ricchezza del tessuto sociale regionale: Agesci Umbria, Aiab, Arci Perugia, Associazione Civiltà Etica, Circolo culturale “primomaggio”, Cesvol Perugia – Piattaforma Volontariato Internazionale, Comitato di gemellaggio Marsciano per il Burkina Faso, Tavola della Pace, Umbria - Africa, Umbria EquoSolidale, Verso Sud. La cena, a base di cibo biologico, pur organizzata in pochi giorni, ha visto la presenza di 140 persone ed ha permesso un ricavo di 2.175 euro.
L’intera somma è stata versata a tre organizzazioni presenti in loco per far fronte ai problemi dell’ “emergenza Kenya”. Si tratta di Amani, fondata dal missionario comboniano Renato Kizito Sesana, World Friends, fondata dal medico piemontese Gianfranco Morino attivo a Nairobi da 21 anni, e Parrocchia di St. John, operante nella baraccopoli di Korogocho, ai margini dalla più grande discarica della capitale keniota, sotto la guida del missionario comboniano Daniele Moschetti, successore di P. Alex Zanotelli. Queste associazioni si sono poste in prima linea nel cercare di aiutare le migliaia di vittime dei violenti disordini scoppiati in Kenya a seguito delle contestate elezioni presidenziali del 27 dicembre 2007, che hanno visto la vittoria di Mwai Kibaki contestata da Raila Odinga per brogli elettorali. La cena è quindi servita non solo per raccogliere fondi da inviare a chi opera da tanti anni in Kenya in un momento di emergenza, ma anche per cercare di illustrare ciò che stava accadendo in questo bellissimo paese dell’Africa orientale, grande quasi il doppio dell’Italia.
Storicamente noto come la Svizzera dell’Africa, il Kenya, abitato da 38 milioni di abitanti appartenenti a circa 70 etnie con 4 diversi ceppi linguistici, ha attraversato alcuni mesi molto difficili. Le violenze e gli scontri hanno provocato 1.500 morti e 600.000 sfollati. La situazione si è relativamente tranquillizzata dopo l’accordo del 13 aprile scorso, favorito dall’ex segretario dell’ONU Kofi Annan e annunciato in diretta tv. L’accordo sancisce la nascita di un governo di coalizione, che dovrebbe durare 5 anni, tra il PNU (Partito di Unità Nazionale) del presidente Mwai Kibaki e l’ODM (Movimento Democratico Arancio) di Raila Odinga. Quest’ultimo, ex leader dell’opposizione, è stato nominato Primo ministro ed è stato affiancato da 2 vice premier: Uhuru Kenyatta del PNU, figlio del primo presidente del Paese, e Musalia Musavadi dell’ODM, una delle 7 donne ministro su 40 complessivi (numero molto elevato per accontentare i tanti appetiti).
Le violenze, nate da motivazioni politiche e sociali, hanno assunto una caratteristica etnica per l’acceso contrasto, in particolare, tra i kikuju, l’etnia più numerosa (il 21% dei keniani), a cui appartiene il presidente Kibaki, ed i luo (il 13% dei keniani), l’etnia di Odinga. Lo scontro tra i 2 ricchissimi candidati presidenti, come al solito, ha visto morire i poveri (a parte 2 parlamentari tra cui Mugabe Were sposato con Maria Palma di Lecce) o li ha impoveriti ancora di più. Basta pensare agli sfollati, molti finiti anche in Uganda e Tanzania, ma anche a tutte quelle persone che non hanno potuto lavorare. Infatti si è calcolato che circa 120.000 lavoratori del settore turistico abbiano perso il posto di lavoro. A questi vanno aggiunti tutti coloro che lavoravano nella floricoltura, altra grande risorsa del Kenya, che esporta fiori in grande quantità. Ma la tragedia non ha risparmiato certo i più poveri tra i poveri, gli abitanti degli slums. Basta ricordare tutti coloro che hanno avuto la baracca distrutta, a cominciare dalla baraccopoli di Kibera alla periferia di Nairobi, dove vivono 800.000 persone, una popolazione grande quanto la nostra Umbria.
In un paese come il Kenya, dove il 60% degli abitanti vive con meno di 2 dollari al giorno, si può capire qual è stato il disastroso effetto, anche economico, degli scontri e delle violenze, al di là delle tante uccisioni. La mostruosità di tutto questo è che si è ucciso anche a pagamento. C’è stato persino chi incendiava su commissione, prima la baracca di persone di una certa etnia, e dopo quella di persone dell’etnia opposta.
L’idea di pulizia etnica e l’uso del machete, sia nelle baraccopoli di Nairobi dove sono maggioritari i Kikuju, sia nella Rift Valley dove sono maggioritari i Luo o gli alleati Kaljinin, riporta indietro le lancette della storia. Per la precisione bisogna dire che anche nei mesi precedenti alle elezioni ci sono stati circa 70 morti, così come altri ci sono stati dopo la nascita del governo. Questi ultimi sono dovuti, in particolare, agli scontri tra polizia e Mungiki, il gruppo militare-religioso messo fuorilegge nel 2002 e facente capo alla comunità Kikuyu, accusato di gestire il racket nel settore trasporti e nelle baraccopoli, dove controlla le forniture di acqua ed elettricità.
Lo scontro elettorale, al di là dei brogli, è perché in Kenya chi comanda si prende tutto il potere e lo divide con i suoi amici.
Kibaki, eletto presidente dopo la dittatura di Daniel Arap Moi durata venticinque anni, aveva promesso lotta alla corruzione e redistribuzione del potere. Così non è stato. La corruzione impera: il Kenya è al 29° posto su 35 Paesi dell’Africa e 129° su 145 Stati censiti nel mondo. Si parla anche di un miliardo di dollari stornati dalle casse dello Stato e finiti in quelle degli “amici” di Kibaki.
Inoltre i Kikuyu possiedono e continuano ad acquistare terre anche nelle zone abitate in maggioranza dai Luo e dalle altre etnie, e questo viene percepito come conseguenza del tipo di occupazione del potere. Il problema di una diversa redistribuzione della terra è un problema molto sentito. Cosi come è chiaro che l’aumento del PIL, in questi anni tra il 5/6%, non è certo transitato per le tasche degli abitanti delle baraccopoli, come disse padre Daniele Moschetti in occasione dell’esibizione a Bastia Umbra di 18 giovani artisti (musicisti, ballerini, acrobati) di Korogocho, avvenuta l’8 maggio 2007.
L’iniziativa di solidarietà con il Kenya, gli interventi svolti durante la cena, così come la proiezione del video “Mtaani” che illustra uno spaccato della realtà degli slums di Nairobi, sono serviti a dare alcuni elementi di lettura e riflessione circa la realtà del Paese, nonché ad aiutare in modo concreto chi da anni vi interviene direttamente mettendo in gioco la propria vita.

Luigino Ciotti