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17/12/2017
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‘Il rosso e il nero’, Perugia si divide
Il leader nazionale di CasaPound: «Puntiamo al 3%». Immigrazione, casa e lavoro al centro del dibattito mentre il contro corteo ribadisce: «Perugia è antifascista»

Il colore nero, da una parte. Un arcobaleno, dall’altra. Sotto la pioggia battente e il freddo, sabato pomeriggio, Perugia è stata contesa da due piazze diverse.

CasaPound C’era anche Simone Di Stefano, il leader nazionale di CasaPound Italia, «a incoraggiare questi ragazzi», come li chiama lui. Tutti in strada, davanti alla stazione, per difendere la città da immigrazione, criminalità e prostituzione. Sparuto il gruppetto che si raduna davanti al pick up tappezzato di manifesti. «Noi non abbiamo paura e non ci vergogniamo – afferma Antonio Ribeco, responsabile di CasaPound Perugia – e siamo qui al fianco della nostra gente, dei nostri cittadini. Ci hanno chiamato loro, si sentono insicuri e le istituzioni non stanno facendo il massimo per difenderli».

‘NOI, I NUOVI FASCISTI’ – L’INTERVISTA A RIBECO

Chiamarli fascisti oggi? «Questo è un movimento nato nel 2006 e che conta più di 100 sedi in Italia. Certo ci rifacciamo a quei valori – prosegue Ribeco – ma fanno parte della nostra storia. Non c’è niente di male». Strette di mano, pacche sulle spalle e un dispiegamento di forze dell’ordine visto in rare altre occasioni a Perugia. Ci si concentra tutti intorno la pick up, pronti a partire e a sfilare ad anello intorno alla stazione di Ponte San Giovanni. Poche centinaia di metri, in realtà, ma un traguardo storico e la soddisfazione si legge negli occhi dei tanti ragazzi. «E’ la città che ci ha chiamato qui, noi rispondiamo».

Periferie Perché serve CasaPound a Perugia? «Perché qui è uno schifo. Ponte San Giovanni è una delle periferie che vive sempre in un degrado maggiore, malaffare in crescita, prostituzione. Sentiamo il bisogno di riprenderci questo territorio» commenta uno dei cittadini – pochi in realtà – che è sceso in strada a marciare con ‘i ragazzi di CasaPound’. Alla fine il corteo parte, e solo pochi metri più in là la risposta si sente già lungo via Manzoni. «La nostra risposta è Bella Ciao, è la Costituzione è il rispetto dei valori su cui si basa lo stato italiano». Un assembramento colorato, una folla con tante bandiere. Ci sono i partigiani dell’Anpi, c’è la Cgil e la politica, ci sono gli studenti e i rappresentanti universitari ma anche l’Omphalos e i cittadini comuni. Ci sono le associazioni storiche e privati cittadini, professori universitari. Sotto alla pioggia ci si ripara tutti sotto a un gazebo mentre si balla e si canta.

LE FOTO DELLA GIORNATA

Mauro Volpi E’ il costituzionalista Mauro Volpi a prendere la parola per primo. A spiegare che «l’antifascismo non è un’opinione, è semplicemente il rispetto della nostra Costituzione». Ponte San Giovanni e Perugia non vogliono i fascisti: «Non si può permettere che qualcuno sfili con slogan vergognosi e xenofobi, che incitano all’odio e alla violenza. Anche le istituzioni e le forze dell’ordine dovrebbero chiedere il rispetto della legge. C’è scritto nella Costituzione, che è la legge che sta sopra a tutte le altre».

Il contro corteo Qualche momento di tensione, poi, intorno alle 18 quando il contro corteo tenta di partire e sfilare. Non era previsto, in realtà, il programma prevedeva solo un ritrovo al parco Bellini. I celerini indossano i caschi, i dirigenti della polizia schierano i propri uomini ma non succederà nulla. «Abbiamo detto e promesso che siamo qui per manifestare pacificamente e non vogliamo alcun tipo di contatto con ‘quelle fecce’» commentano alcuni giovani che si ritrovano dietro allo striscione al fianco di Vincenzo Sgalla della Cgil, Mari Franceschini dell’Anpi, Luigino Ciotti del comitato 1maggio, degli studenti e dell’Omphalos. Nessuno vuole ‘sfidare’ la polizia «ma non è possibile che si permetta a un corteo di fascisti di sfilare e a noi no».

PERUGIA ANTIFASCISTA – IL CONTRO CORTEO

Elezioni nazionali La partenza sarà rimandata a quando CasaPound avrà finito i suoi interventi, dall’altra parte della strada. In attesa di andare a festeggiare il primo anno di Griffa, la sede del movimento, a Elce. C’è, però, qualcosa che il leader nazionale vuole ribadire già da subito. «Puntiamo al 3% in Italia, entrare in Parlamento in primavera è l’obiettivo per iniziare una rivoluzione in questa nazione. I nostri deputati sapranno fare la differenza».

Fascisti in crescita «Continuiamo ad aprire sezioni – ha detto – stiamo crescendo molto anche in questa regione e i risultati sono in crescita in tutta Italia. C’è molto da lavorare, ma oggi siamo su tutti i territori e bisogna farsi una ragione del fatto che CasaPound esiste e si candida democraticamente alle elezioni». Nessuna alleanza coi partiti di centro destra, chiarisce, Berlusconi e il Pd sono ugualmente nemici, hanno svenduto l’Italia all’Europa. «Siamo qui, oggi, a spiegare come vogliamo risolvere i problemi – ha detto – stabilire chi deve rimanere nella nostra nazione e chi non ha il diritto di starci, di come dobbiamo dare il lavoro e la possibilità di fare figli agli italiani. Ci riteniamo eredi storici del Fascismo – ha spiegato ai giornalisti – ma sono passati ottanta anni e ci assumiamo le responsabilità degli errori che sono stati fatti. Non siamo certo qui a chiedere uno stato totalitario ma quelle soluzioni, soprattutto per quanto riguarda le iniziative sociali, casa e lavoro, possono essere riproposte oggi».

I temi sono chiari, le parole anche. C’è forse un abisso tra le due piazze, non solo nei colori. C’è tutto un mondo, però, là fuori, che cerca attenzione. Non sono solo quei ragazzi – ancora pochi – che trovano in CasaPound un motivo d’ispirazione, la propria risposta alla mancanza di punti di riferimento. Casa e lavoro, sicurezza e stipendio, uno stato presente, sono temi che non possono diventare predominio dell’estrema destra, quella più intollerante e per cui il nemico è l’immigrato, il diverso. L’antifascismo certo è un valore ma può non bastare di fronte a una povertà sempre più estrema e al bisogno di certezze e risposte. Una risposta, però, la società civile almeno l’ha data. Ora è tempo che la diano anche le istituzioni.


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