| Siamo
  alla fine di giugno. Qualcuno, nei piani alti (un quadro aziendale? Un
  caporeparto? Il braccio destro del direttore Lachica?), si accorge che molto
  più di un qualcosa non funziona come dovrebbe, ci sono meccanismi
  organizzativi e commerciali che si stanno bloccando; il sospetto è che ci sia
  un vero e proprio sabotaggio dall’alto, in particolare dalla direzione
  europea (con fissa dimora in Spagna). 
 In
  un primo momento, nonostante un volantino dai toni forti ed allarmistici fatto
  circolare da un fantomatico “comitato di base”, c’è solo scetticismo e
  il fastidio di trovarsi di fronte alla solita “sparata” di certuni, ben
  individuati edal passato
  (recente) poco trasparente.
 
 E’
  proprio la scarsa credibilità dei denuncianti che fa giudicare quantomeno
  bizzarra la notizia di una imminente chiusura dello stabilimento di Cannara.
 
 D’altronde, come pensare
  diversamente, se è vero (come è stato poi confermato dalla stessa direzione
  aziendale) che, nonostante la flessione del mercato della ceramica durante il
  primo semestre 2003, questo sito produttivo sia riuscito a mantenere lo stesso
  andamento positivo dell’anno precedente (un
  fatturato di 71 milioni di Euro, con un utile operativo di 4,6 milioni di
  Euro, nonostante una perdita annua di 3 milioni di Euro legata
  all’acquisizione della Cerdec)?
 
 Un
  secondo volantino, sempre dello stesso organismo sindacale, dal titolo urlato “Stiamo
  chiudendo !”, risveglia dal torpore i sindacalisti della Rsu e
  quelli regionali della Fulc, costretti a chiedere alla direzione aziendale la
  convocazione di un incontro immediato
  “per avere chiarimenti rispetto all’episodio, capire le strategie
  aziendali ed ottenere un impegno ad investire risorse e capitali
  nell’immediato futuro, per allontanare definitivamente dubbi su ipotetiche
  eventualità di chiusura dell’unità produttiva di Cannara”.
 
 La
  risposta della “Ferro Italia” non arriva. L’Azienda è reticente.
 
 In
  fabbrica, ora, c’è disorientamento, preoccupazione e nervosismo; nessuno è
  più disposto a lavorare, senza garanzie; la produzione, praticamente, si
  blocca; c’è una specie di “sciopero bianco” per almeno dieci giorni,
  con capannelli e mini assemblee in tutti i reparti.
 
 Un
  clima surreale, in mezzo al silenzio assoluto ed imbarazzato del direttore, ing.
  Lachica.
 
 Dal
  comportamento insolito ed estremamente permissivo della direzione aziendale,
  si intuisce perfettamente che c’è qualcosa di marcio e che le procedure per
  un prossimo smantellamento di questa fabbrica sono già state avviate.
 
 Succede
  il finimondo. I telefonini mobili non smettono di squillare; vengono allertate
  le sedi centrali e periferiche sia dei sindacati che dei partiti di
  riferimento; sono invitati ad intervenire anche i parlamentari eletti nei
  collegi territoriali; i sindaci di Cannara e Bevagna hanno il loro carico di
  lavoro, come massimi rappresentanti delle collettività più compromesse.
 
 Si
  pensa già ad una “unità di crisi”. Il bubbone è scoppiato. Sulla
  vicenda si tuffano anche gli organi di informazione locale. E’ una macchina
  micidiale, che mette in difficoltà la stessa multinazionale: viene così
  “rovinata” l’immagine di un’Azienda che avrebbe sicuramente preferito
  risolvere la questione, in maniera meno rumorosa, approfittando magari del
  periodo estivo (e della usuale chiusura periodica dello stabilimento) per
  inviare a casa di tutti i lavoratori le lettere di licenziamento.
 
 Nella
  logica padronale s’è inceppato qualcosa e, sicuramente, la “Ferro
  Corporation” alla fine farà pagare ai liquidatori scelti, il prezzo di
  questo “insopportabile disguido”.
 
 Si
  scaldano i motori delle rappresentanze istituzionali. Arrivano le prime
  denunce ufficiali.
 
 In
  un’interrogazione al Consiglio Regionale dell’Umbria, presentata il 9
  luglio, il capogruppo di Rifondazione Comunista, Stefano Vinti, chiede un
  intervento che serva a salvaguardare i livelli di occupazione “messi
  in pericolo da una eventuale chiusura dell’impianto che potrebbe
  pregiudicare in modo rilevante, anche per l’indotto che sino ad oggi si è
  creato, il tessuto economico di questo comune”. Nella
  interrogazione, il consigliere puntualizza che i lavoratori sono attualmente
  impegnati in una mobilitazione che ha portato a tre giornate di sciopero,
  indetto dalla Rsu, per il 7, 8 e 9 luglio.
 
 Secondo
  Vinti, “Constatato
  che la multinazionale americana Ferro Corporation è diventata proprietaria
  dello stabilimento Isola di Cannara nel 1993…; constatato che La Ferro
  Italia è stato il primo colorificio italiano ad avere conseguito la
  certificazione della qualità ed è uno stabilimento fortemente
  automatizzato…; constatato che lo stabilimento di Cannara rappresenta una
  realtà occupazionale e produttiva di rilevanza centrale per il territorio, ma
  anche per diversi comuni limitrofi; (…) considerato che tra i lavoratori è
  diffusa e motivata la preoccupazione per lo smantellamento…e che questo
  timore deriva dal comportamento e dalle scelte della direzione aziendale,
  caratterizzate dall’assenza di investimenti per la ricerca e
  l’ottimizzazione delle produzioni, dalla precarizzazione e scomparsa di
  alcune figure professionali, dalla decisione di abbandonare la produzione di
  prodotti competitivi sul mercato a beneficio di altri che riempiono i
  magazzini, e inoltre dal fatto che il programma di produzione è garantito
  fino al 18 luglio e non vi è alcun programma-ordini predisposto per la
  ripresa dei lavori dopo le ferie di agosto; (…) considerato che, nonostante
  la produzione dello stabilimento di Cannara abbia un costo del prodotto di £.60/Kg.
  superiore ad altri siti produttivi a causa dei costi di trasporto, ha
  compensato sempre con l’elevata qualità questo svantaggio rispetto ai costi
  e che lo stabilimento di Cannara abbia, così, sempre avuto un risultato
  economico ampiamente positivo; considerato che la direzione aziendale non ha
  mai risposto alle sollecitazioni in merito a ipotesi di smantellamento,
  delocalizzazione o riduzione delle produzioni…; Si interroga la Giunta
  regionale per conoscere: quali iniziative intenda adottare nei confronti della
  “Ferro” e (…) quali provvedimenti intenda attuare per salvaguardare i
  livelli occupazionali messi in pericolo da una eventuale chiusura dello
  stabilimento…”.
 
 Il giorno stesso, a Roma
  l’on. Giuseppe Giulietti presenta un’interrogazione parlamentare al
  Ministro del Lavoro.
 
 Il
  deputato diessino, nella sua relazione, invita il governo ad “approfondire
  la situazione aziendale della Ferro Italia di Cannara attraverso il proprio
  ufficio regionale del lavoro” e a “verificare
  l’opportunità di una urgente convocazione delle parti, anche in sede
  regionale, per analizzare le prospettive dell’azienda, dei livelli
  occupazionali e produttivi”.
 
 Il
  parlamentare ricorda anche che “l’attuale
  situazione occupazionale, in un’area già pesantemente colpita nel settore
  tessile, apre una nuova crisi nel comparto chimico, finora rimasto esente,
  almeno nell’area di Cannara, da processi di dismissione industriale” e
  che la “preoccupazione
  muove dal fatto che nel confronto con l’azienda non si è andati oltre la
  data del 25/8/2003 nel rappresentare le prospettive produttive. L’Azienda si
  è genericamente impegnata a convocare una nuova riunione con le OO.SS. entro
  la data del 25 agosto e a riprendere l’attività produttiva post
  feriale…”.
 
 Nel frattempo arrivano i
  primi interventi ed attestati di solidarietà da parte dei sindaci di Cannara
  (Roberto Barontini) e di Bevagna (Enrico
  Bastioli).
 
 “I
  dirigenti americani avrebbero deciso di chiudere la filiale di Cannara e di
  trasferire i suoi impegni in parte in provincia di Modena, in parte in
  Portogallo? Non c’è nulla di ufficiale, ma certi segnali sono
  inequivocabili” sottolinea
  in un comunicato-stampa il sindaco di Cannara. “Fino
  a poco tempo fa abbiamo intrattenuto buoni rapporti istituzionali con i
  dirigenti della Ferro, in particolare con l’amministratore delegato Carlos
  Lachica, un argentino americanizzato. Da qualche tempo, malgrado nostre
  sollecitazioni e forti fermenti in fabbrica, non è possibile un confronto.
  Non siamo disponibili ad abbassare la guardia e presto promuoveremo un
  consiglio comunale aperto…”.
 
 Ancor
  più combattivo il sindaco di Bevagna che, oltre a solidarizzare con tutto il
  personale che opera nell’azienda e ad incontrare i vertici della stessa per
  riuscire a comprendere le difficoltà, in una nota sottolinea che “la
  nostra giunta è coinvolta nella vicenda e non solo perché i disagi
  riguardano anche i 18 dipendenti bevanati che sono impegnati in
  quell’azienda. Siamo pronti a mettere in campo qualsiasi azione
  nell’interesse dei lavoratori e di un’azienda che ha grosse potenzialità,
  che tra l’altro registra utili cospicui e che ha ancora molto da dare. Siamo
  pronti per qualsiasi iniziativa che dipendenti e amministratori intenderanno
  mettere in campo per affrontare e risolvere il problema.”.
 
 Mentre prosegue lo stato di
  agitazione dei lavoratori, l’attenzione dei sindacati è rivolta
  all’assemblea promossa per il 14
  luglio. In quella occasione, alla quale sono state invitate le istituzioni
  del comprensorio, quelle regionali e provinciali e i parlamentari umbri,
  dovrebbe emergere un segnale forte per risolvere una situazione assai
  complessa.
 
 L’assemblea, come
  facilmente prevedibile, si rivela una vera e propria kermesse elettorale.
  Consistente e variegata la rappresentanza politica presente
  all’appuntamento: dall’on.
  Domenico Benedetti Valentini
  (presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati), ai senatori Maurizio
  Ronconi (Udc) e Pier Luigi
  Castellani (Margherita), dal deputato Giuseppe
  Giulietti (Ds) all’assessore regionale allo sviluppo Ada
  Girolamini, fino ai consiglieri regionali Vannio
  Brozzi (Ds), Fiammetta Modena
  (Forza Italia) e Stefano Vinti (Prc).
  Tante le buone parole spese per sostenere la causa dei lavoratori, altrettanti
  gli applausi ricevuti a scena aperta. Il prossimo anno ci sono le elezioni,
  amministrative (provinciali e comunali) ed europee. Non è vero? E allora, una
  rincorsa a chi la spara più grossa…
 
 Tutti promettono qualcosa,
  ma alla fine (come si vedrà) nessuno si farà più vivo.
 
 Chissà se ci
  ricorderemo???
 
 Si decide di passare alle due
  ore giornaliere di sciopero (14-15-16 luglio) fino a che non si avranno
  risposte certe sul futuro dei dipendenti.
 
 “L’assemblea
  dei lavoratori – si legge nel
  comunicato firmato dalla Rsu e dalla Fulc provinciale – ha
  analizzato e discusso la difficile situazione aziendale. Nonostante i ripetuti
  solleciti fatti, l’azienda non ha dato finora risposte soddisfacenti e
  chiare sul futuro dell’unità produttiva.”. Si teme uno
  smantellamento o una drastica riduzione della produzione. Ipotesi – continua
  il documento sindacale – “avvalorata
  dal fatto che il programma di produzione è garantito fino al 18 luglio. (…)
  Il timore è che l’azienda multinazionale americana abbia già deciso la
  delocalizzazione in altra sede, nonostante lo stabilimento di Cannara abbia
  sempre avuto un risultato economico ampiamente positivo. (…) I lavoratori si
  riservano di intensificare le iniziative di lotta, qualora l’esito
  dell’incontro con la direzione aziendale (fissato per il 16 luglio:
  n.d.r.) non
  dovesse fornire elementi chiari.”.
 
 Il 15
  luglio la vicenda del colorificio ceramico di Cannara approda sui tavoli
  di Palazzo Madama.
 Attraverso
  un’interrogazione al Ministro
  Antonio Marzano, il senatore Pier Luigi Castellani chiede di conoscere “quali
  siano le vere intenzioni della Ferro Corporation in ordine all’azienda di
  Cannara e se, come appare assolutamente necessario, il Ministro abbia
  intenzione di promuovere un incontro tra i responsabili della multinazionale,
  le istituzioni locali e regionali e i sindacati al fine di definire con
  assoluta chiarezza, non solo la permanenza dell’azienda di Cannara, ma anche
  l’eventuale sviluppo futuro, tenuto conto della produttività e della
  validità dell’azienda e dell’impegno che le istituzioni locali hanno
  profuso per individuare un sito, quale quello di Cannara, ove l’attività
  risulta assolutamente compatibile.”
  
    
  
   Lo stesso giorno si svolge
  un incontro a Perugia (Palazzo
  Cesaroni, sede regionale dell’Umbria) tra i capigruppo del
  centrosinistra e le rappresentanze sindacali aziendali. Da qui, la decisione
  di promuovere l’apertura di un tavolo di trattativa, con i dirigenti della
  società americana, presso il Ministero delle Attività Produttive.
  Contemporaneamente, si costituirà un altro tavolo regionale con tutte le
  associazioni di categoria.
  
   Nell’incontro di Perugia,
  i consiglieri regionali Paolo
  Baiardini (Ds), Stefano Vinti
  (Rifondazione), Giampiero Bocci
  (Margherita) e Marco Fasolo (Sdi)
  si impegnano a sottoscrivere una mozione comune della maggioranza da
  presentare al Consiglio e chiedono alla Giunta regionale un interessamento
  urgente. Della questione si parla poco dopo nell’aula consiliare e
  l’assessore Ada Girolamini,
  rispondendo all’interrogazione presentata da Vannio
  Brozzi, dice di “non
  capire le strategie del Gruppo aziendale” e assicura “pressioni
  che facciano comprendere l’assurdità della situazione”.
  
    
  
   Nel frattempo, anche l’on.
  Benedetti Valentini (An) sottopone
  al Ministro Marzano la “necessità
  di un’azione incisiva e unitaria fra tutte le istituzioni e i sindacati”.
  
   Della situazione è adesso
  al corrente anche il segretario generale della Cgil, Guglielmo
  Epifani, il quale incontratosi con alcuni sindacalisti, assume l’impegno
  di portare l’argomento al tavolo negoziale nazionale.
  
    
  
   “Perché
  la multinazionale Ferro, che ha sede a Cleveland, negli Stati Uniti, avrebbe
  preso la decisione di chiudere una fabbrica come quella di Cannara, che è
  un’azienda modello, che ha ottenuto le certificazioni per la qualità e la
  sicurezza, che pur essendo una fabbrica chimica, non è mai stata nel mirino
  degli ambientalisti e in cui da un anno non si verificano incidenti?”. E’
  il cruccio dei sindaci di Cannara (Barontini),
  Bevagna (Bastioli), Foligno (Salari)
  e Spello (Rosignoli), riuniti in
  assemblea nei locali della fabbrica, il 16
  luglio. “I
  lavoratori della Ferro (96 dipendenti diretti, 12 lavoratori interinali, e una
  quarantina coinvolti nell’indotto – manutenzione, manovrazione
  merci, pulizie, servizi generali, mensa e autotrasporti -) hanno
  lanciato l’Sos perché Regione e Governo si impegnino a portare la
  multinazionale al tavolo della trattativa. Loro, i lavoratori –
  dichiarano all’unisono i sindaci del comprensorio – sono
  davvero a terra. Sette mesi fa, a Natale, l’azienda aveva festeggiato un
  anno record e aveva invitato alcuni di loro a lasciare il posto fisso,
  acquistare un camion e mettersi in proprio come autotrasportatore. La Ferro
  avrebbe garantito lavoro. Perché adesso sarebbe scattato il ‘tutti a
  casa’?”.
  
    
  
   Il 18
  luglio, alle ore 17, presso il Teatro
  comunale di Cannara viene convocato un Consiglio
  comunale “aperto”. Tra i
  partecipanti, oltre naturalmente ai sindacalisti e agli amministratori locali,
  si nota la presenza di numerosi politici (dall’”Ulivo” alla “Casa
  delle Libertà”, a Rifondazione Comunista); pochi i lavoratori interessati,
  praticamente assente la cittadinanza.
  
   E’ la solita
  “passerella”, con tante chiacchiere e poca sostanza. Non è mancato
  neanche il classico colpo di scena, con la comparsa di alcune lettere anonime,
  minacce e pesanti accuse ai rappresentanti della Fulc regionale, i quali hanno
  subito provveduto a sporgere denuncia per diffamazione alle autorità
  competenti. (Sembra che l’autore delle missive sia proprio da ricercare
  nella complicata e controversa struttura sindacale confederale).
  
   Intanto, qualche ora prima,
  nella mattinata, il “circolo
  culturale primomaggio” aveva distribuito un documento politico,
  denunciando “un
  altro chiaro esempio di globalizzazione capitalista” e “…l’amara
  consapevolezza dell’assenza di strumenti legislativi e sindacali in grado di
  poter vincere una battaglia in altri tempi scontata” per concludere
  dicendo che, come altrove (la “Good Year” di Latina, ad esempio), anche a
  Cannara “il
  pensiero unico dominante, il neoliberismo imperante tritura tante ‘vittime
  innocenti’ tra i lavoratori, in nome dell’unico valore esistente, quello
  del profitto e del ‘dio denaro’. Insomma: nessuno illuda i
  lavoratori, troppo deboli e indifesi rispetto allo “strapotere
  delle multinazionali”.
  
   “Chi
  potrà mai fermare le multinazionali –
  conclude il comunicato del ‘circolo culturale’ – se
  non una forte opposizione sociale e politica (che oggi, purtroppo, non c’è)???”.
  
    
  
   La quarta settimana di
  luglio, quella che avrebbe dovuto portare al termine dell’attività
  produttiva e all’inizio del consueto periodo estivo di ferie, è decisamente
  la più dura. Sono ore cruciali. Le voci insistenti sulle reali intenzioni
  della multinazionale americana di non riprendere i lavori alla fine del mese
  di agosto e di chiudere definitivamente gli impianti, non trovano nessuna
  smentita o chiarimento da parte dei dirigenti aziendali.
  
   All’interno della
  fabbrica aumenta il nervosismo, si intensificano le assemblee e gli incontri
  (più o meno informali) tra rappresentanti e rappresentati; in attesa
  dell’esito della riunione programmata per il 24
  luglio presso il Ministero delle Attività Produttive a Roma, i lavoratori
  scendono di nuovo in sciopero (due
  giornate, il 23 e il 24, con assemblea permanente).
  
   “Una
  decisione inevitabile – avvertono
  i sindacalisti – di
  fronte all’assoluto silenzio da parte dell’azienda. Atteggiamento
  aggravato dal fatto che si è iniziato con ritmo inusuale ad incrementare le
  spedizioni, e sono venuti meno gli ordini per garantire la regolare
  manutenzione del periodo feriale. (…) Qualora dall’incontro del 24 presso
  il Ministero non dovessero arrivare risposte convincenti sul futuro dello
  stabilimento, i lavoratori daranno il via da subito ad una forma di protesta
  più estrema e cioè l’occupazione della fabbrica…”.
  
   E’ evidente
  l’intenzione da parte dei lavoratori di bloccare ogni spedizione, di non
  consentire che vengano trasportate fuori dalla fabbrica tutte le merci e le
  materie prime che vi si trovano. 
  
   Si avvicina sempre più il
  rischio di trovarsi senza lavoro nell’arco di brevissimo tempo.
  
    
  
   Giovedì
  24 luglio: il giorno più atteso, quello
  dell’incontro romano tra le Parti.
  
   Alla riunione, coordinata
  da un alto funzionario del dicastero (il Dr.
  Rura), partecipano ben cinque dirigenti della “Ferro”, guidati dal
  responsabile per l’Italia, Dr.
  Daniele Bandiera, i segretari nazionali di categoria, i rappresentanti
  regionali della Fulc, la Rsu aziendale, i parlamentari Pier Luigi Castellani,
  Giuseppe Giulietti e Domenico Benedetti Valentini, l’assessore regionale Ada
  Girolamini e i sindaci di Cannara e di Bevagna.
  
   In
  tale contesto, viene formalizzata l’intenzione, da parte della holding
  statunitense, di chiudere il sito cannarese, confermando
  così la fondatezza di tutte le perplessità e preoccupazioni che avevano
  indotto i dipendenti a mobilitarsi. L’amministratore delegato della “Ferro
  Italia” “riconosce
  che lo stabilimento cannarese può vantare un’indubbia efficienza e standard
  molto alti di qualità, produttività e capacità lavorativa. (…) Ma le
  strategie di una multinazionale guardano anche altri fattori. La decisione di
  chiudere questa fabbrica rientra in un processo di riorganizzazione
  dell’intero gruppo e della necessità di portare la produzione più vicina
  al mercato, dirottando quindi sugli stabilimenti spagnoli e nell’hinterland
  sassuolese…”. Ciononostante, “la
  Ferro Italia si dichiara disponibile ad avviare una trattativa per arrivare ad
  una soluzione di reciproca soddisfazione”. L’incontro viene
  aggiornato a mercoledì 30 luglio, alle ore 9,30, sempre presso il Ministero
  delle Attività Produttive, per affrontare nel merito e più dettagliatamente
  il problema.
  
   Ora è ufficiale. La
  multinazionale americana avvierà nei prossimi mesi lo smantellamento
  dell’opificio e, conseguentemente, le procedure di licenziamento per tutti i
  lavoratori. Le parole del Dr. Bandiera, pesanti come macigni, sono tutte
  incluse dentro una logica neoliberista che non si
  accontenta più di ricavare profitti,
  ma di produrre altrove (ad esempio in Portogallo e in Spagna) per
  guadagnare di più e per rispondere così alle pressioni e all’ingordigia
  degli investitori.
  
   E questo è il segnale
  preciso della famigerata globalizzazione
  in corso.
  
    
  
   La mattina del 25
  luglio, viene indetta un’assemblea che, ovviamente, conferma lo stato di
  agitazione, con sciopero e presidio ad oltranza degli impianti.
  
   Nel frattempo, tanto per
  non smentire il detto popolare che “la mamma del bischero l’è sempre
  incinta”, in fabbrica si riesumano le armi della vendetta e della
  denigrazione verso alcuni lavoratori. Riemergono vecchi rancori mai sopiti e
  il semplice episodio di un “trasferimento in altra sede di una figura
  professionale” accolto, seppur con riserva, dal diretto interessato (Furio
  Cameli, responsabile del controllo qualità e coordinatore del laboratorio),
  viene artatamente ingigantito e stigmatizzato da un comunicato-stampa
  delirante, congiuntamente emesso dalla Fulc regionale e dalla Rsu.
  
   “Le
  OO.SS…, riscontrano l’ennesimo segnale che conferma la strategia
  dell’azienda, ossia quella di dismettere lo stabilimento di Cannara.
  Infatti, nella giornata di ieri (n.d.r.:
  il 26 luglio)
  siamo venuti a conoscenza, per sua stessa ammissione, dello spostamento presso
  lo stabilimento Ferro in provincia di Modena di una figura di determinante
  importanza, il responsabile del controllo qualità della ceramica e
  coordinatore delle procedure della certificazione della qualità. (…)
  Arrivano da più parti personaggi prodighi di buoni consigli che vorrebbero
  indottrinarci e indicarci le migliori strategie per cercare di limitare i
  danni. I lavoratori sentitamente ringraziano, ma restano convinti che
  l’unica strategia utile per il mantenimento della unità produttiva sul
  territorio sia quella da loro intrapresa, che si interromperà solo nel caso
  in cui l’azienda accettasse una trattativa sindacale degna di tale nome,
  garantendo allo stesso tempo la continuità produttiva dello stabilimento di
  Cannara. Pertanto i lavoratori informano tutti coloro che vorrebbero farli
  recedere dalle proprie decisioni che la strategia ce l’hanno ben chiara, a
  differenza di altri che predicano bene e razzolano male. I lavoratori non
  stanno facendo nessun tipo di teatro e rispediscono al mittente tutti quei
  tentativi, peraltro meschini, che tendono a gettare discredito su tutti i
  soggetti che si stanno impegnando seriamente per il buon esito della vertenza.
  La Fulc, inoltre, riafferma tutto il proprio impegno e si dichiara non più
  disponibile ad accettare illazioni e chiacchiericci che di certo non giovano a
  nessuno, tanto meno a chi li mette in atto.”
  
   Non si capisce il perché
  di tanta volgarità, come non si riuscirà mai ad individuare “quei
  fantomatici” destinatari dell’inquietante messaggio. L’uso del plurale
  è palesemente improprio, ma tutti gli strumenti sono validi per fare “terra
  bruciata” intorno a chi vuole mantenere il pallino in mano, senza essere
  disturbati. 
  
   Più di una cosa verrebbe
  voglia di lanciare a questi signori sindacalisti, mestieranti incarogniti da
  compromessi al ribasso che, parlando sempre e rigorosamente a nome dei
  lavoratori, spalmano sterco a volontà su chiunque provi a criticarli. In
  tutta la vicenda (ora lo si può dire, “a conti fatti”), non c’è stata
  cosa più vergognosa del comportamento di questi “tromboni dal silenziatore
  facile”, tanto aizzatori nelle pubbliche assemblee quanto servili e “più
  realisti del re” in fase di trattativa.
  
    
  
   “E’
  un vero delitto industriale”. Sulla
  vicenda di Cannara, la cui vertenza ha varcato i confini regionali, c’è
  intanto l’impegno dei consiglieri regionali Vinti e Laffranco che “invitano
  le istituzioni ad intraprendere soluzioni per evitare la chiusura della più
  grossa azienda del territorio di Cannara”. Pronta la replica
  dell’esecutivo regionale. “Percorrere
  tutte le soluzioni per evitare lo smantellamento della Ferro Italia di Cannara”.
  E’ l’indicazione emersa a conclusione del vertice
  del 28 luglio al quale oltre
  alla Presidente Rita Lorenzetti hanno partecipato i sindaci di Cannara e di
  Bevagna.
  
    
  
   Mercoledì 30
  luglio. Si ritorna da Roma con le pigne nel sacco. 
  
   La patata bollente
  riguardante il futuro dello stabilimento cannarese viene rilanciata su un
  tavolo di confronto da aprire presso l’Assindustria di Perugia.
  
   Il Ministero ha chiesto (ed
  ottenuto) alla Ferro di “non
  inviare le comunicazioni di chiusura del sito produttivo di Cannara e di
  mantenere inalterato lo status attuale, con la riapertura dello stabilimento
  il 25 agosto prossimo” e ai sindacati di “sospendere
  le agitazioni in corso e di riprendere le attività lavorative regolarmente,
  dopo la pausa delle ferie”.
  
   Critiche dal capogruppo
  regionale di Rifondazione Comunista, Stefano Vinti, che parla “dell’ennesima
  rapina del territorio da parte delle multinazionali” e si augura che
  “i
  tavoli di confronto regionali non siano solo una mossa dilatoria per rinviare
  le lettere di licenziamento, ma l’occasione per definire un nuovo e
  qualificato progetto industriale”.
  
   Ancora una volta i
  lavoratori, riunitisi in assemblea il 31
  luglio, praticamente
  all’unanimità sottoscrivono l’accordo emerso nell’incontro del giorno
  precedente, presso il Ministero delle Attività Produttive.
  
    
  
   Lunedì 25
  agosto. Il tempo di ritornare in fabbrica, dopo circa un mese di ferie,
  per riannodare i fili di un discorso interrotto ma lontano da ipotesi
  risolutive.
  
   Nella riunione fissata per
  il pomeriggio, presso la sede dell’Associazione Industriali, la holding Usa
  ribadisce la “imprescindibile
  decisione di chiudere definitivamente lo stabilimento” dicendosi
  disposta a trattare su “ipotesi
  di ricollocazione dei lavoratori, spostamento di alcune professionalità ed
  attivazione degli ammortizzatori sociali di legge”. 
  
   Tutti sembrano aver
  finalmente capito che l’ipotesi di chiusura non era una minaccia, ma una
  decisione che la “Ferro Corporation” aveva maturato sin dai tempi
  dell’acquisizione della Degussa.
  
   Intanto, la irremovibile
  posizione assunta dalla multinazionale viene pesantemente respinta
  dall’assemblea dei lavoratori (del 26
  agosto); si delegano le strutture sindacali a continuare la trattativa
  seguendo alcuni precisi criteri, e cioè:
  
   “1)
  la Ferro Italia deve garantire l’attività produttiva fino alla fine del
  2003, tempo necessario per  ricostruire
  soluzioni alternative per la rioccupazione di tutti i lavoratori;
  
   2)     
  la Ferro Italia deve mettere a disposizione lo stabilimento per tutte
  le eventuali soluzioni alternative, comprese quelle di tipo concorrenziale;
  
   3)     
  la Ferro Italia deve mettere a disposizione lo stabilimento a valori
  convenienti e comunque deve essere dato a garanzia delle istituzioni per
  evitare eventuali speculazioni;
  
   4)     
  attivazione di un tavolo istituzionale per la ricerca di soluzioni
  alternative imprenditoriali tra: i comuni di Cannara e Bevagna, Regione
  dell’Umbria, Associazione industriale di Perugia e organizzazioni sindacali;
  
   5)     
  eventuale ricorso agli ammortizzatori sociali per la gestione e
  ricollocazione di tutto il personale oggi attualmente in forza alla Ferro
  Italia stabilimento di Cannara.”
  
   Il richiamo forte ed
  insistente al tavolo istituzionale è indubbiamente un invito alle forze
  politiche locali e nazionali ad intervenire. Queste, come avevano più volte
  promesso durante il mese di luglio, avrebbero dovuto svolgere un ruolo
  importante, ma la verità è che, tranne Vinti (di Rifondazione Comunista),
  che almeno si è fatto vivo con un intervento pur discutibile, gli altri se la
  sono svignata in fretta e furia senza lasciare traccia. Anche questo, tutto
  ampiamente prevedibile.
  
    
  
   Siamo ormai alle battute
  finali; le posizioni delle parti, solo formalmente lontane tra loro, sono ben
  definite, ma si cerca di trovare un’intesa, per lasciare meno cadaveri
  possibili sul campo di battaglia. Dopo un paio di 
  giornate assai movimentate, in cui non sono mancati momenti di estrema
  tensione tra i lavoratori e segnali di puro isterismo da parte di qualche
  personaggio, si decide di ritornare ad incontrarsi intorno ad un tavolo. 
  
   Vengono fissate, per martedì
  2 settembre, due riunioni. 
  
   La prima (praticamente un
  “tavolo politico”), nella sede regionale di Perugia, che analizzerà
  quanto emerso in questa ultima settimana per trovare una via d’uscita che
  non penalizzi le legittime aspettative dei lavoratori.
  
   La seconda, presso
  l’Associazione degli Industriali, dove la contrattazione naturalmente
  assumerà un carattere più sindacale.
  
   L’incontro di Palazzo
  Donini (sede della Giunta Regionale) – al quale partecipano la
  Presidente Maria Rita Lorenzetti, l’assessore alle attività produttive Ada
  Girolamini, i sindaci dei comuni di Cannara e Bevagna, i direttori di
  Sviluppumbria e dell’Associazione Industriali di Perugia, i rappresentanti
  dell’azienda, delle organizzazioni sindacali e dei lavoratori – presenta
  un “verbale di riunione”, in cui si parla di “un
  percorso per la salvaguardia dei posti di lavoro, nell’interesse prioritario
  dello sviluppo economico e dei livelli occupazionali”, prende atto
  che “non
  appare percorribile la continuità aziendale” e unanimemente viene
  ritenuta prioritaria “la
  ricerca di alternative imprenditoriali che operino nel settore e con
  tecnologie compatibili”. In ogni caso, la Ferro si “impegna
  a mettere a disposizione gli assets immobiliari a condizioni fortemente
  agevolate (4 milioni di euro: n.d.r.) per
  favorire l’insediamento di iniziative imprenditoriali che, in via
  preferenziale, favoriscano la rioccupazione dei lavoratori della Ferro
  Italia”. Nel documento si dice anche che “l’Associazione
  Industriali si impegna alla ricollocazione nelle imprese del territorio
  circostante degli eventuali ulteriori esuberi”, mentre la regione si
  impegna “a
  mettere a disposizione le proprie strutture (Sviluppumbria e Gepafin) nella
  ricerca di iniziative sostitutive e per il sostegno finanziario delle stesse;
  (…) a dare priorità nella strumentazione incentivante (programmazione
  negoziata) alle iniziative che creeranno occupazione, a partire dalla
  ricollocazione dei lavoratori della Ferro Italia”. E poi ancora, i
  convenuti all’incontro si salutano auspicando che “il
  percorso indicato contribuisca ad eliminare pregiudiziali e rigidità,
  affidando all’accordo tra le parti la definizione di termini, tempi e
  modalità…”.
  
   Belle parole, grandi
  promesse, pacche cordiali sulle spalle tra vecchi e nuovi fautori del
  liberismo.
  
   In attesa di mettere nero
  su bianco sui tavoli dell’Assoindustria (l’incontro finale viene
  riaggiornato al 4 settembre), in fabbrica cominciano a serpeggiare i segnali
  profondi di una spaccatura e, nel corso dell’assemblea del 3
  settembre, caratterizzata dai toni a tratti aspri e amplificati, i
  lavoratori decidono di bocciare l’ipotesi della cassa integrazione e degli
  eventuali incentivi di esodo. 
  
   Ipotesi, quest’ultima,
  che era emersa a conclusione del “faccia a faccia” di martedì pomeriggio
  (all’associazione degli industriali) e che in pratica aveva ribaltato quanto
  precedentemente concordato poche ore prima, nel confronto a Palazzo Donini, al
  termine del quale la decisione meno indolore sembrava essere quella di
  favorire l’insediamento immediato (o in un tempo ragionevolmente breve) di
  altre iniziative imprenditoriali, incluse quelle concorrenziali alla
  “Ferro”.
  
   Sono ore di angoscia,
  decisive, ma i piedi degli operai sembrano proprio franare in un burrone.
  
   Molto fumo e niente
  arrosto, si può dire. Due mesi di aspettative e di grandi illusioni bruciati
  nel volgere di qualche ora. 
  
   Infatti, non rappresenta un
  sicuro punto di appoggio quanto sottoscritto finora. Promesse, impegni e tutto
  ciò che rientra nella normale dialettica della politica, ma di certezza
  soltanto la chiusura dello stabilimento e il conseguente disimpegno da parte
  della multinazionale americana. 
  
   Ci troviamo forse davanti
  all’ennesima “bufala”, perché come hanno fatto notare in molti: “se
  è vero che esiste una concreta possibilità di acquisto dello stabilimento da
  parte di soggetti disposti a garantire la continuità produttiva e che questa
  possibilità può essere verificata in un periodo di tempo non estremamente
  lungo, perché non si è perseguita con forza la strada della continuità
  lavorativa fino alla fine dell’anno?”. Un interrogativo destinato
  a rimanere senza risposta.
  
    
  
   Giovedì 4
  settembre. Ultimo round. Cinque ore per sancire la conclusione della lunga
  trattativa che ha visto di fronte, nei mesi estivi, i lavoratori e i dirigenti
  italiani della “Ferro Corporation”.
  
   In quattro pagine si mette
  la firma sul decreto di chiusura del colorificio ceramico di Cannara.
  
   Si uccide così una
  fabbrica in salute; un ulteriore cadavere sulla strada del neoliberismo.
  
   Sentite cosa dichiara alla
  stampa locale, l’amministratore delegato Daniele Bandiera, all’indomani
  della firma sull’accordo! “Si
  è sempre parlato solo di fatturato, che è positivo, invece bisognerebbe
  parlare di costi e di efficienza produttiva. Purtroppo a Cannara non erano più
  sufficienti ad affrontare l’attuale situazione del mercato. (…) La
  produzione di piastrelle ceramiche già da qualche anno registra una
  contrazione, essendo attaccata dalla concorrenza della Spagna e della Turchia
  e ora sta arrivando la Cina in modo molto prepotente”.
  
   Concorrenza stracciante,
  quindi? “Con
  lo stabilimento di Cannara – prosegue il Dr. Bandiera – abbiamo
  lavorato a pieno regime per tentare di vedere se riuscivamo ad arrivare a
  costi concorrenziali almeno con la Spagna. Purtroppo così non è stato e dopo
  due anni dall’acquisizione dello stabilimento della Cerdec a Sassuolo
  abbiamo sentito la necessità di concentrare qui tutta la Ferro Italia,
  tenendo presente il criterio del minor costo della produzione. (…) Confermo
  che il sito di Cannara era efficiente e produttivo ma con costi che attraverso
  studi di mercato apparivano troppo elevati per fronteggiare la competitività
  di mercato”.
  
   Avete capito bene? Davvero
  illuminante. E’ un concentrato di capitalismo selvaggio che prevede anche la
  chiusura di una fabbrica efficiente e produttiva (con utili notevoli, come nel
  nostro caso), quando c’è la possibilità di commercializzare gli stessi
  materiali – provenienti da paesi in via di sviluppo – guadagnando molto di
  più. 
  
   E’ il magico e fantastico
  mercato, bellezza!!!
  
   Chissà se l’avranno
  capito anche i signori sindacalisti e gli illustri politicanti d’ogni risma?
  
   Le reazioni del giorno dopo
  confermano l’assoluta subalternità delle OO.SS. alla cultura dominante,
  quella del neoliberismo. In un comunicato-stampa del 5
  settembre, la Fulc dà un giudizio sostanzialmente positivo all’accordo
  siglato (quello che è stato sintetizzato nella parte iniziale di questo
  “dossier”) ed “esprime
  la propria soddisfazione per il primo esito della trattativa, che ha
  consentito attraverso il coinvolgimento di tanti soggetti di costruire un
  percorso condiviso, che ha come obiettivo quello di non far pagare solo ai
  lavoratori il prezzo di una decisione da loro non voluta. (…) Crediamo di
  poter affermare che il confronto che si è sviluppato in questi mesi, seppur
  difficile e non privo di momenti di tensione, sia stato non solo utile ma
  necessario.”.
  
   Non manca, come al solito,
  la frecciatina verso chi nei giorni scorsi ha parlato di rioccupazione della
  fabbrica. “Se
  avessimo ascoltato – concludono i sindacalisti – i
  consigli di chi aveva come unico scopo quello di alzare le barricate, senza
  confrontarsi con i lavoratori in maniera diretta, sicuramente non avremmo
  tutelato gli interessi di coloro che rappresentiamo…”.
  
   Guai a criticare i signori
  del Sindacato!!! 
  
   Sconcertanti, al limite
  della spudoratezza, le affermazioni rilasciate alla stampa locale da anonimi
  sindacalisti: “I
  posti di lavoro non erano garantiti ieri, né possiamo conoscere se saranno
  garantiti domani” (da
  “La Nazione” del 5/9/2003).
  
   Infine, da registrare la
  “coda velenosa” che sempre accompagna un evento triste, come la
  dismissione di una attività lavorativa e l’espulsione dal ciclo produttivo
  di decine e decine di persone. Lo scontro (durissimo) tra il capogruppo
  regionale del Prc (Vinti) e i rappresentanti della Fulc provinciale, è degno
  di essere integralmente trascritto su queste pagine.
  
    
  
   Dal “Corriere
  dell’Umbria” del 10 settembre 2003: L’intervento.
  
   “Ferro
  Italia”: Non un accordo ma una resa sulla pelle dei lavoratori.
  
    
  
   L’accordo
  che sancisce la chiusura definitiva della Ferro di Cannara è una grave
  sconfitta dei lavoratori, il territorio e le istituzioni locali. L’arroganza
  e la politica piratesca della multinazionale hanno avuto ragione sulla totale
  incapacità dei sindacati e della Regione dell’Umbria di costruire una
  vertenza regionale e nazionale in grado di salvaguardare i diritti dei
  lavoratori, la storia e la ricchezza produttiva dell’impianto di Cannara.
  
   Alle
  ragioni della multinazionale e del profitto chi poteva non ha voluto sostenere
  le ragioni e i diritti del lavoro e dell’Umbria. I proclami roboanti di
  difesa dell’esistenza della Ferro, della continuità produttiva, della
  salvaguardia dei livelli occupazionali si sono sciolti come un cubetto di
  ghiaccio esposto alla calura di questa estate. Tutti ora possono giudicare
  quanto insignificanti e opportuniste siano state le prese di posizione dei
  sindacati, delle forze politiche dell’Ulivo e della Casa della libertà, dei
  parlamentari umbri. Basterebbe solo andarle a rileggere.
  
   La
  multinazionale Ferro ha raggiunto tutti gli obiettivi che si era prefissata, e
  c’è da ritenere che si sia essa stessa stupita dei tempi brevi con cui ci
  è riuscita, anche grazie alla sponda politica ricevuta al tavolo nazionale
  dal governo Berlusconi. Una facilità che lascia più di qualche dubbio sulla
  volontà di qualcuno di opporsi a questo “delitto industriale”. La Ferro
  incassa gli utili miliardari del 2002, regala misere briciole ai lavoratori,
  procede nella ristrutturazione.
  
   L’Umbria
  vede evaporare uno dei suoi gioielli produttivi, disperdere un patrimonio
  tecnico e di competenze elevate, buttare al macero investimenti pubblici. Il
  messaggio che viene da questa deprimente vicenda è che le multinazionali
  possono transitare in Umbria senza nessuna responsabilizzazione nei confronti
  della comunità, utilizzando il territorio e le istituzioni a piacimento,
  piegando le ragioni e i diritti dei lavoratori ai loro fini e interessi di
  parte.
  
   Se
  ce ne fosse stato ancora bisogno, la vicenda della Ferro ha dimostrato una
  volta di più che la politica della “concertazione”, che un sindacato
  aconflittuale che sposa le ragioni del mercato, una Regione senza un’idea di
  politiche industriali sottopongono il territorio alle scorribande di soggetti
  imprenditoriali, impoveriscono il lavoro e abbassano i livelli occupazionali.
  
   Il
  consenso “estorto” all’assemblea dei lavoratori della Ferro
  sull’accordo sindacale indica il voto di chi non è stato posto di fronte ad
  una sola possibilità: o accettare la cassa integrazione o essere licenziato. 
  
   E’
  stato imposto da chi è stato d’accordo (da sempre?) con la chiusura dello
  stabilimento.
  
   Il
  posto di lavoro si difende con la lotta e con la difesa del sistema produttivo
  regionale. Rifondazione si impegna a verificare che le misere tutele concesse
  ai lavoratori nell’accordo-resa siano rispettate.
  
   Stefano
  Vinti
  
   (Presidente
  Gruppo Regionale PRC)
  
    
  
   Dal “Corriere
  dell’Umbria” del 13 Settembre 2003:
  
   Dura
  replica dei sindacati al Prc. “Parlare di consenso estorto ai dipendenti è
  vergognoso”
  
   Ferro:
  ”I lavoratori hanno disgusto della propaganda”
  
    
  
   Non
  è neanche degno di commento quanto asserito dal presidente del gruppo
  regionale Prc, Stefano Vinti, sulla chiusura della trattativa con la Ferro
  Italia. 
  
   Mi
  sembra alquanto meschino denigrare il lavoro degli altri senza conoscere le
  situazioni vissute e senza essersi mai rapportati direttamente con
  chicchessia. Non si può sparare a zero contro tutto e tutti dopo aver
  latitato durante il corso dell’intera vicenda.
  
   Se
  Vinti, che tra l’altro viene lautamente retribuito con i soldi dei
  contribuenti, ritiene di avere armi e soluzioni per affrontare le
  problematiche del mondo del lavoro, scenda in campo. Ma lo faccia in maniera
  propositiva e costruttiva, non solo criticando e cercando di buttare tutto
  allo sfascio”.
  
   Francesca
  Rossi
  
   (Segretario
  Regionale della Femca Cisl)
  
    
  
   Anche
  se rispetto le opinioni di ognuno, non posso accettare che si faccia della
  propaganda su una situazione come questa. E’ poco serio. Non c’è stata
  alcuna speculazione da parte di nessuno, se non quella che sta facendo Vinti
  con le sue esternazioni. Anzi, abbiamo lavorato con il concorso di tutti,
  senza distinzione di alcun genere, per uno scopo comune e personalmente ho
  molto apprezzato questo spirito di squadra.
  
   Parlare
  di consenso estorto ai lavoratori è semplicemente vergognoso. C’è stato
  infatti un confronto continuo e costante con tutte le maestranze, alle quali
  abbiamo sempre spiegato ogni scenario possibile. Da loro abbiamo poi ricevuto
  un mandato specifico sulla base del quale è stato siglato l’accordo, che
  non rappresenta una svendita, ma un punto importante per cercare di garantire
  una continuità produttiva sul territorio.
  
   Il
  nostro scopo è far si che possa subentrare un’altra impresa che garantisca
  gli stessi livelli occupazionali. Sembra, in effetti, che ci sia già più di
  un interesse su quell’area. Ogni cosa dovrà comunque essere attentamente
  valutata.”
  
   Massimiliano
  Presciutti
  
   (Segretario
  Provinciale della Filcea Cgil)
  
    
  
   Parole
  durissime su entrambe i fronti. Molte contraddizioni e, forse, qualche
  furberia di troppo.
  
   Su
  questo Sindacato e il suo comportamento, a dir poco ondivago, abbiamo più
  volte espresso il nostro negativissimo giudizio.
  
   Sul
  lavoro di Vinti e la sua reazione conclusiva ci asteniamo qui dal commentarle.
  (In allegato riportiamo il parere personale di uno dei “nostri”).
  Nell’”intervento” (più o meno opinabile) di Vinti c’è il dato
  incontestabile dell’”opportunismo” dei politicanti (esteso a se
  stesso?), i “proclami roboanti” della difesa (possibile?) della continuità
  produttiva, il riprovevole teatrino della politica, gli interventi plateali e,
  come al solito, le grandi “sparate ad effetto” e le promesse non
  mantenute.
  
    
  
   Chi
  l’ha sparata più grossa? Della serie: “Le grandi balle…”
  
    
  
   Dal “Corriere
  dell’Umbria” del 12/7/2003: “Tutti al capezzale della Ferro”.
  
    
  
   Il senatore Maurizio
  Ronconi (Udc) in una nota auspica la necessità “di
  assoluta determinazione, intransigenza e sinergia da parte di tutte le
  istituzioni umbre. Non deve passare il disegno della proprietà di concentrare
  le attività in altre regioni…Per parte mia ho interessato in via urgente
  il ministro del Welfare affinchè il governo assuma idonee iniziative”.
  
   Il
  problema sul tavolo del ministro Maroni non è mai arrivato.
  
    
  
   Dal “Corriere
  dell’Umbria” del 20/7/2003: “Ferro Italia, Valentini spera ancora. Per
  il senatore umbro ci sono le possibilità di salvare l’azienda”.
  
    
  
   Sulla “Ferro Italia”
  interviene l’onorevole Domenico Benedetti Valentini, deputato di Alleanza
  Nazionale. “Per
  la sconcertante prospettiva che gira sullo stabilimento – si legge
  in una nota – ho
  già preso contatto con il ministro delle Attività Produttive, ottenendo la
  disponibilità del suo Ministero a fornire una autorevole sede di confronto
  con il gruppo industriale. Di cui abbiamo bisogno e diritto di conoscere le
  reali intenzioni. (…) Potrebbero ancora crearsi le condizioni per un
  recupero della situazione. (…) Non è possibile rassegnarsi alla
  disattivazione di uno stabilimento moderno, redditivo ed ecologicamente
  compatibile”.
  
   Lasciamo
  perdere l’”ecologicamente compatibile”; oltre alla “rassegnazione alla
  disattivazione”, abbiamo alla fine registrato (senza alcuna sorpresa) il
  totale disimpegno del post-fascista Valentini, presidente della Commissione
  Lavoro della Camera dei Deputati.
  
    
  
   Dal “Corriere
  dell’Umbria” del 25/7/2003. “Pochi spiragli per la Ferro”.
  
    
  
   E’ ancora l’on.
  Benedetti Valentini a “spararla” grossa. “Una
  vicenda sconcertante – definisce questo caso il deputato umbro di An
  – Non
  è concepibile che nello scenario di recessione che attraversa l’Europa
  industriale, si disattivi un sito produttivo con reddito… Se andrà
  avanti l’annunciata chiusura senza accettabili motivazioni come minimo
  dovremo far diventare quello della Ferro Italia di Cannara un caso nazionale,
  una sorta di assurdo o di paradosso di fronte al quale il ceto politico,
  industriale e sindacale a livello italiano non può rimanere inerte.”
  
   Dov’è
  il “caso nazionale”? Suvvia, onorevole! Quante altre situazioni, anche più
  drammatiche della “Ferro”, avrebbero dovuto scatenare “casi
  nazionali”? Un po’ di contegno, per favore…!
  
   Ma l’onorevole, nella sua
  esternazione, continua a prenderci per il naso dicendo che “purtroppo
  non siamo in un’economia partecipativa ma siamo in una economia di mercato:
  deve però esservi un generalizzato senso di responsabilità e di etica
  economica che impedisca soluzioni irrazionali e punitive per i territori che
  più si sono sacrificati”.
  
   Come
  è questa? Ci avete riempito la testa (e qualcos’altro) con le magnificenze
  dell’”economia di mercato”, ed ora parlate spudoratamente di “etica
  economica”, lamentandovi perchè “purtroppo non siamo in un’economia
  partecipativa”!?!
  
   State
  almeno zitti, maledetti!!!
  
    
  
   Sullo stesso servizio, il
  segretario della Filcea Cgil, Presciutti, conferma la linea “dura” del
  Sindacato. “La
  nostra richiesta era e resta quella del mantenimento dell’unità
  produttiva. Non ci troviamo di fronte ad una crisi per cui è aberrante la
  scelta della Ferro Corporation. Noi, certamente, non intendiamo consentirla
  e faremo tutto il possibile per scongiurare questo assurdo epilogo.”
  
   Come
  si sa, il “mantenimento dell’unità produttiva” è stata un’ipotesi
  praticamente saltata quasi all’inizio della trattativa, ma il Sindacato era
  distratto e, abbandonando troppo presto la linea “dura” (se mai sia essa
  esistita), ha sicuramente facilitato “l’assurdo epilogo”. 
  
    
  
   Dal “Corriere
  dell’Umbria” del 26 Settembre 2003: “Fronte comune sulla Ferro
  Italia”.
  
    
  
   Ancora i post-fascisti di
  An in prima fila sulla vicenda del colorificio di Cannara. Il vicepresidente
  del consiglio regionale, Pietro Laffranco, dichiara convinto che “questo
  importante polo industriale non può scomparire: sarebbe la sconfitta
  di tutti, dalla politica all’imprenditoria sana, sino ai sindacati. Ci
  impegneremo perché si faccia tutto quanto il possibile per impedire la
  chiusura di uno stabilimento che è altamente produttivo e dà utili
  significativi alla multinazionale che ne è proprietaria.”
  
   Il
  signor Laffranco, come tantissimi altri (diessini, ex-democristiani,
  berlusconiani, ciellini e chi più ne ha più ne metta…), se l’è svignata
  ai primi ululati della multinazionale, come un cane bastonato.
  
   Chissà
  se almeno ancora considera una “sconfitta di tutti” la scomparsa di un
  polo industriale e, soprattutto, il licenziamento di un centinaio di
  lavoratori?
  
    
  
   Dal “Manifesto” del
  27 Agosto 2003: “Un comitato operaio a Cannara – I lavoratori
  autorganizzati occupano la Ferro Italia e ne impediscono la chiusura”
  
    
  
   Scrive Guido Maraspin che
  la “vicenda
  che viene definita ‘mafia multinazionale’, coinvolge i lavoratori della
  Ferro Italia riuniti nel Comitato di Base, l’unico coordinamento sindacale
  completamente autorganizzato che si batte da più di un mese contro la
  chiusura dello stabilimento di Cannara.”. Dopo una sintetica e
  corretta descrizione della realtà aziendale (utili, fatturato, prevenzione
  infortuni, certificazione qualità, ecc.), il corrispondente da Perugia del
  “giornale comunista” dice che “è
  saltato fuori il rospo: l’azienda chiude e per i lavoratori la richiesta di
  ammortizzatori ‘in uscita’, i diritti totalmente calpestati. Da qui la
  mobilitazione, l’autorganizzazione operaia, l’apertura di una vertenza
  approdata il 24 luglio scorso al ministero delle attività produttive. (…) Una
  prima, piccola, ma importante vittoria del Comitato di Base che è riuscito a
  trascinare nella lotta anche i confederali. All’inizio piuttosto freddi per
  essere stati scavalcati dalla mobilitazione spontanea dei lavoratori e poco
  convinti degli obiettivi.”
  
   Vorremmo
  che non si fossero illusi i lettori del “Manifesto” nel leggere un
  articolo scritto con troppa enfasi e, quindi, fuorviante. 
  
   Magari
  ci fosse stato un “comitato operaio” capace di cacciare a pedate i
  burocrati sindacali di Cgil, Cisl e Uil? Ci sarebbero sicuramente stati
  risultati diversi, alla fine della trattativa ma, “tra il dire e il
  fare”…ci sono purtroppo ancora i confederali a mantenere saldamente in
  mano il monopolio della contrattazione. Ciò accade ovunque, anche dentro la
  “Ferro” dove l’articolista sembra proprio immergersi in un’isola
  felice (sindacalmente parlando)… Attenzione alle esagerazioni! 
  
   Crediamo
  poi che il “comitato operaio”, riportato a caratteri cubitali nel titolo,
  altro non sia stato che un semplice “comitato sindacale di base”, autonomo
  e nato per l’occasione, “diretto” dal responsabile produzione coloranti
  (quadro – livello A), dal capo del settore commerciale (quadro – livello
  A) e dal responsabile laboratorio controllo coloranti (impiegato – livello
  B): un organismo dalla scarsa rappresentatività, con un seguito di una
  dozzina di operai (del reparto “calcinazione colori”) e fortemente inviso
  dal resto dei lavoratori.
  
   Domanda:
  se ci fosse stata questa supposta elevata combattività operaia dentro la
  “Ferro”, perché lo spirito rivoluzionario e la tendenza alla
  “mobilitazione spontanea” dei lavoratori non sono emersi al momento
  dell’epilogo della vertenza? Bisognava impedire la chiusura definitiva della
  fabbrica e quindi il licenziamento di tutti…Mica bruscolini!!!
  
    
  
   Se
  poi, qualcuno dei lettori del “Manifesto” si è imbarcato nel sito
  internet di Indymedia Umbria – come ha invitato a fare il giornale –
  allora avrà potuto trovare tutte le bestialità, gli insulti e le
  stupidaggini che alcuni soggetti (naturalmente nascosti dietro pseudonimi -
  PsycoX, Comitato sfigati di base, il Bastardo, Baby) hanno fatto partire dalla
  loro velenosa quanto inutile bocca…
  
    
  
   Dal “Corriere
  dell’Umbria” del 27 Agosto 2003: “Ferro Italia, le condizioni poste dai
  lavoratori”
  
    
  
   Siamo ad un passo dal
  baratro, ormai tutto è stato stabilito, ma sentite cosa ha ancora da dire
  Francesca Rossi, segretaria regionale della Femca-Cisl. “Purtroppo
  ci siamo trovati a gestire questa questione in quella che è la sua fase
  terminale senza aver avuto notizia delle intenzioni dell’azienda con il
  dovuto anticipo. Qui rischiamo di perdere una entità produttiva di grande
  rilevanza, la più grande azienda chimica della zona. E’ una cosa che non
  possiamo e non vogliamo consentire.” 
  
   Semplicemente ipocrita.
  
    
  
   Dal Gruppo consiliare di
  Rifondazione Comunista – Comunicato stampa del 27 Agosto 2003.
  
    
  
   Ci
  spiace dover terminare questa rubrica (che forse tende un po’ a
  ridicolizzare certi personaggi politici e sindacali) lanciando una rampognata
  a Stefano Vinti e al suo Partito che, insieme, hanno perso un’altra buona
  occasione per dimostrare una diversità e un tocco di fierezza che non guasta.
  
   Vinti, che giustamente
  parla di “logiche
  concertative nella trattativa col gigante multinazionale, abbandonando da
  subito il conflitto, con il risultato di aprire un confronto al massimo
  ribasso. (…) I parlamentari umbri del centrodestra e dell’ulivo, le
  istituzioni regionali, i sindacati hanno finito per disattendere tutte le
  promesse fatte nell’assemblea territoriale aperta di metà luglio: cioè
  mantenere attivo il sito produttivo di Cannara…” ritiene che “l’unica
  possibile soluzione a questa sciagurata vicenda sia la ripresa della lotta e
  del conflitto da parte dei lavoratori, dei sindacati, dell’intero
  territorio. (…) Soltanto la riapertura di elementi conflittuali da
  parte dei lavoratori…potrà ridare uno spiraglio di soluzione in positivo
  della vertenza Ferro e la speranza di mantenere attivo il sito di Cannara.”
  
   Se
  Vinti, invece di lanciare proclami gladiatori, avesse avuto l’umiltà di
  scendere tra i terrestri che da qualche mucchietto di lustri lavorano in
  questa fabbrica, cercando magari il confronto e il dialogo con qualche
  compagno (stanco ma non pentito) di sua conoscenza, avrebbe forse capito
  l’inutilità della sua idea di riaprire “gli elementi conflittuali”
  senza il supporto di una proposta alternativa (l’autogestione, il rilancio
  di una società a “capitale misto”), praticabile e dirompente, capace di
  cacciare una multinazionale e garantire il mantenimento del sito industriale.
  
   Perché
  Rifondazione Comunista (che non è fortunatamente soltanto Vinti) non ha avuto
  il coraggio di praticare percorsi diversi? Perché il Partito, anche sulle
  questioni inerenti il lavoro, rimane incredibilmente incollato al carro delle
  istituzioni locali? Paura di rompere con la Lorenzetti che beatamente accoglie
  a braccia aperte le multinazionali, minacciando tutti coloro che mostrano
  ostilità verso questi corsari dell’economia mondiale? Non si vogliono
  rompere gli equilibri politici, evitare una rottura in Umbria per non prestare
  il fianco alla destra? E’ già accaduto altre volte (il piano regionale sui
  rifiuti, ad esempio), ma questa la chiamiamo subalternità e – ora
  aggiungiamo – inutilità di un Partito che soltanto a parole si definisce
  antagonista. 
  
    
  
   Conclusioni
  
    
  
   Alcuni hanno salutato
  l’accordo del 4 settembre come una vittoria,
  altri invece – nonostante abbiano alzato la manina nel momento cruciale del
  voto – l’hanno digerito male. 
  
   Davvero ci vuole un bel
  coraggio a dire che quanto sottoscritto rappresenti un sicuro punto
  d’appoggio per i lavoratori della Ferro di Cannara. Di certo c’è solo la
  chiusura di uno stabilimento sufficientemente rodato e l’uscita di scena
  dalla realtà locale di una multinazionale che, in un decennio, ha rosicchiato
  quanto più possibile. 
  
   Il resto è soltanto un
  fiume di parole scritte per illudere gli ingenui: promesse, impegni a
  verificare, a favorire, ad individuare forme di agevolazioni, a
  privilegiare… 
  
   Il classico scatolone vuoto
  tutto da riempire.
  
   Si
  poteva fare di più? C’è alla fine
  chi ha parlato anche di tradimento quando si è volatilizzata la speranza di
  salvare i posti di lavoro e di mantenere questa presenza produttiva. Avrebbero
  dovuto essere obiettivi inderogabili da
  perseguire e qualcuno si era perfino impegnato a trasferire in ambito
  nazionale la questione, nel caso l’Azienda avesse persistito nell’intento
  del disimpegno. 
  
   (Se
  avete letto attentamente quanto qui riportato, certamente non vi sarà
  sfuggito l’autore del tradimento!).
  
   Senza andare a cercare
  inutili capri espiatori, alla domanda (Si
  poteva fare di più?), posta oziosamente da qualcuno alla “fine
  dell’opera”, si potrebbe rispondere anche in maniera affermativa.
  Riteniamo però che solo puntando sull’autogestione o cercando soluzioni
  societarie di compartecipazione pubblica si sarebbe potuta salvare la fabbrica
  e garantire la continuità produttiva, anche se questo avrebbe significato
  l’apertura inevitabile di una nuova fase di conflitto con la holding
  statunitense, in condizioni oggettivamente difficili e, dunque, senza la
  dovuta certezza di vincere una battaglia importante. Su tutta la vicenda,
  approdata a conclusioni negative, è pesata come un macigno la mancanza di un
  reale protagonismo operaio, che non può essere confuso con la teatralità,
  gli isterismi e le sceneggiate allestite da egocentrici personaggi,
  trasformisti alla Houdini totalmente incapaci di tradurre una realtà
  lavorativa complessa e diversificata nei suoi bisogni e necessità,
  tremendamente arroccata dopo un decennio di arretramenti e sconfitte cocenti.
  
   Ciò che è stato possibile
  infine constatare è che nella sostanziale confusione in cui ha navigato, per
  oltre due mesi, la quasi totalità dei lavoratori, hanno probabilmente inciso
  questioni di carattere più politico-generale; é certo che le dinamiche
  economiche e le controriforme sociali introdotte dagli ultimi governi
  liberisti non possono che aver accentuato frammentazioni ed incomunicabilità
  già esistenti e di natura generazionale tra i lavoratori, oltre che una
  comprensibile e naturale stanchezza e demoralizzazione.   
  
  
    
  
   Bibliografia
  
    
  
   -
  “Comitato di base Lavoratori Ferro Italia” – Fine giugno 2003 – “Stiamo
  chiudendo” (volantino diffuso in fabbrica).
  
   -
  “Gruppo Consiliare Rifondazione Comunista” – 9/7/2003 – Interrogazione
  del consigliere regionale Stefano Vinti.
  
   -
  “Camera Deputati” – 9/7/2003 – Interrogazione
  Parlamentare al Ministro del Lavoro – a cura dell’on.G.Giulietti.
  
   -
  “ACS” – 10/7/2003 – “La
  Ferro di Cannara rischia il trasferimento. Vinti sollecita un intervento
  della Giunta”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 10/7/2003 – “Il 
  mondo del lavoro - Timori alla
  Ferro Italia”.
  
   - “La
  Nazione” – 11/7/2003 – “Crisi
  nera alla Ferro Italia. Cannara/ La fabbrica di vernici rischia la
  chiusura”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 11/7/2003 – “Finisce
  in Parlamento la questione Ferro Italia”
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 12/7/2003 – “Tutti
  al capezzale della Ferro. Il problema sul tavolo del ministro Maroni.”
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 13/7/2003 – “A
  fianco dei lavoratori della Ferro. Anche il sindaco Bastioli
  all’assemblea di domattina in fabbrica”.
  
   - “La
  Nazione” – 15/772003 – “Ferro
  Italia futuro incerto. Si fa sciopero”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 15/7/2003 – “Politici
  mobilitati per la Ferro”.
  
   - “Il
  Messaggero” – 15/7/2003 – “Ferie
  e lavoro, è l’estate della paura. In assemblea i 140 della Ferro di
  Cannara         
  lanciano l’Sos a regione e Governo”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 16/7/2003 – “Caso
  Ferro Italia sul tavolo di Marzano. Il senatore Castellani ha presentato
  un’interrogazione”.
  
   - “La
  Nazione” – 16/7/2003 – “Ferro
  Italia, No al trasferimento dello stabilimento. Centoquaranta lavoratori
  ancora col fiato sospeso”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 16/7/2003 – “Stato
  di agitazione alla Ferro Italia. Già previsti scioperi per domani e
  martedì: futuro dei lavoratori incerto”.
  
   - “La
  Nazione” – 17/7/2003 – “Ferro
  Italia, Comune e Regione sollecitano l’intervento del governo nazionale”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 18/7/2003 – “Tavolo
  nazionale per la Ferro Italia. Oggi intanto se ne parla nel consiglio
  comunale aperto”.
  
   - Circolo
  Culturale “Primomaggio” – 18/7/2003 – “La
  Ferro di Cannara chiude? Un altro chiaro esempio di globalizzazione
  capitalista”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 19/7/2003 – “Requiem
  per una fabbrica in salute. Il circolo ‘Primomaggio’ sul caso della
  Ferro Italia in via di chiusura”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 20/7/2003 – “Ferro
  Italia, Valentini spera ancora. Per il senatore umbro ci sono le
  possibilità di salvare l’azienda.”
  
   - “La
  Nazione” – 21/7/2003 – “Ferro Italia, la questione si fa rovente.
  Chiesto un immediato tavolo di trattative”.
  
   - “La
  Nazione” – 23/7/2003 – “Ferro
  Italia, decisi due giorni di sciopero. Ancora una riunione al ministero
  per definire il futuro aziendale”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 23/7/2003 – “Due
  giorni di sciopero alla Ferro Italia. Il sindacato adotta la linea dura;
  solidarietà dai Ds”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 24/7/2003 – “Ore
  cruciali per il futuro della Ferro Italia”.
  
   - “La
  Nazione” – 25/7/2003 – “Ferro
  Italia, adesso si parla di chiusura. Incontro al ministero tra organismi
  sindacali, azienda e politici. Nuovo vertice mercoledì”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 25/7/2003 – “Pochi
  spiragli per la ferro Italia. I sindacati: ‘Assurdo chiudere, lo
  stabilimento è sano’.
  Cannara/ Ma al termine del vertice al ministero l’azienda si dice
  disponibile alla trattativa”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 26/7/2003 – “Fronte
  comune sulla Ferro Italia. Forze politiche di ogni schieramento impegnate
  per salvare l’azienda”.
  
   - “La
  Nazione” – 27/7/2003 – “Ferro
  Italia, domani summit in Regione. E poi scatterà l’appello al Ministro.
  La vertenza/ per scongiurare i 150 licenziamenti”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 27/7/2003 – “Ferro
  Italia, compatti contro la chiusura. Domani in Regione incontro con la
  presidente Lorenzetti. Cannara/ Rsu e Fulc denunciano il tentativo di
  disorientare la battaglia dei lavoratori”.
  
   - “La
  Nazione” – 28/7/2003 – “Ferro
  Italia, i sindacati alzano il tiro: ’E’ un vero delitto industriale’. Accesa
  assemblea in fabbrica dopo l’incontro al Ministero. Mobilitazione generale
  dei parlamentari umbri”.
  
   - “La
  Nazione” – 29/7/2003 – “Ferro
  Italia, trovare la soluzione. Incontro con la regione Umbria. Cannara/
  Mobilitazione generale”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 31/7/2003 – “La
  vertenza torna all’Assindustria. Ferro Italia, il ministro invita le
  parti a un nuovo confronto”.
  
   - “La
  Nazione” – 31/7/2003 – “Aziende in crisi/ Siglato un accordo al
  ministero per proseguire l’attività produttiva di Cannara. Ferro
  Italia, si apre uno spiraglio. Ma la mobilitazione resta.”
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 1/8/2003 – “Cannara/ L’assemblea dei
  lavoratori approva all’unanimità il patto siglato al ministero. Ferro
  Italia, si all’accordo. Agosto
  tranquillo. A settembre il negoziato sul tavolo umbro”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 24/8/2003 – “Il
  futuro della Ferro in un incontro pubblico”.
  
   - “Il
  Giornale dell’Umbria” – 26/8/2003 – “Ferro
  di Cannara, si parla di mobilità. Oggi assemblea straordinaria in
  fabbrica”. “Agonia
  per la Ferro di Cannara”.
  
   -
  Mandato della Assemblea
  per la trattativa Ferro Italia stabilimento di Cannara del 26/8/2003.
  
   - “Il
  Manifesto” – 27/8/2003 – “Un
  comitato operaio a Cannara. I lavoratori autorganizzati occupano la Ferro
  Italia e ne impediscono la chiusura”.
  
   - “La
  Nazione” – 27/8/2003 – “Ferro
  Italia, torna l’incubo-chiusura. Allarme lavoro/ Cento posti a rischio
  nello stabilimento di Cannara. Si teme l’imminente trasferimento a Sassuolo
  di 15 dipendenti”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 27/8/2003 – “Ferro
  Italia, le condizioni poste dai lavoratori. Quattro i punti fermi nella
  conduzione della vertenza sulla chiusura dello stabilimento”.
  
   -
  Comunicato-stampa del
  Partito della Rifondazione Comunista – Comitato Regionale Umbro – del
  27/8/2003
  
   - “La
  Nazione” – 28/8/2003 – “La
  Ferro Italia al collasso. Allarme/ I lavoratori dell’azienda temono la
  chiusura imminente”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 28/8/2003 – “Rifondazione
  Comunista alza i toni sul futuro dello stabilimento. Bisogna
  occupare la Ferro Italia”.
  
   - “La
  Nazione” – 29/8/2003 – “Cannara/ I lavoratori continuano la loro
  battaglia per salvare il posto. Ferro
  Italia, nuovo tavolo di trattative”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 30/8/2003 – “Ferro
  Italia, appello ai parlamentari”.
  
   - “La
  Nazione” – 3/9/2003 –  “Aziende
  in crisi/ Ferro Italia. Ore di agonia”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 3/9/2003 – “Ferro
  Italia, ecco il capolinea. Promesse
  per i lavoratori aspettando il tavolo Assindustria.
  Incontro in Regione. Speranza di alternative imprenditoriali, agevolazioni e
  impegno per riassunzioni”.
  
   - “La
  Nazione” – 4/9/2003 – “Ferro
  Italia, ore decisive. Affollata assemblea in fabbrica. No alla cassa
  integrazione”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 4/9/2003 – “Ferro
  Italia, si poteva fare di più. Delusione
  dopo l’incontro istituzionale: non ha
  aggiunto nulla. Il futuro dell’azienda chimica arrivata alla
  chiusura oggi torna al tavolo dell’Assindustria”.
  
   -
  Verbale di accordo
  sottoscritto da Ferro Italia, Cgil-Cisl-Uil e Rsu – 4/9/2003-
  
   - “La
  Nazione” – 5/9/2003 – “Requiem
  per Ferro Italia. L’azienda chiude i battenti. In
  crisi/ circa 150 posti a rischio”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 5/9/2003 – “La
  votazione dell’accordo. Favorevoli in 95”. “Ferro
  Italia: c’è la firma sull’accordo.
  Si
  all’intesa in Assindustria. Oggi sarà presentata ai lavoratori.
  Ieri a Perugia l’amministrazione delegato italiano della holding. Ancora top
  secret sui contenuti”.
  
   - “La
  Nazione” – 6/9/2003 – “Riconversione
  ultima speranza. Ferro
  Italia chiusa/ Tutti i dettagli dell’accordo siglato con i
  lavoratori nella sede dell’Assoindustriali”. “Ferro Italia/ la posizione
  dell’Azienda. Parla
  Daniele Bandiera: Una
  decisione sofferta”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 6/9/2003 – “In
  quattro pagine la fine della Ferro. Cassa
  integrazione per 12 mesi, mobilità, incentivi all’esodo.
  Illustrati in un’assemblea aziendale i termini dell’accordo per i
  dipendenti”. “Intervista
  con l’amministratore delegato
  per l’Italia, Daniele Bandiera ‘Ci
  servivano costi minori di produzione’”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 10/9/2003 – “Ferro
  Italia: Non un accordo ma una resa sulla pelle dei lavoratori”.
  
   -
  “Corriere dell’Umbria” – 13/9/2003 – “Ferro:
  ‘I lavoratori hanno disgusto della propaganda’. Dura replica dei
  sindacati al Prc. ‘Parlare di consenso estorto ai dipendenti è
  vergognoso’”.
  
    
  
    
  
   (*)
  Questo “dossier” è stato elaborato da alcuni lavoratori “Ferro
  Italia” di Cannara – collaboratori e aderenti al circolo culturale
  “Primomaggio” – che, stanchi di essere portati in giro dai
  “rappresentanti dei lavoratori”, si sono considerati, fin dall’inizio di
  questa brutta storia, soggetti “ fuori dal coro”, preferendo la strada del
  silenzio (pur doloroso) al rischio di incrementare la confusione e il
  nervosismo fin troppo elevati. 
  
   Un
  segnale che può anche essere interpretato come disimpegno o rassegnazione. 
  
   Sicuramente,
  questo “essere fuori”, che è atteggiamento passivo, ha quantomeno evitato
  la collisione (anche fisica?) sia con i mestieranti (esterni) che con altri
  attori protagonisti di tutta la vertenza.
  
   Gli
  autori di questo scritto, pertanto, dichiarano di:
  
   a)      
  non aver partecipato a nessuna delle 
  iniziative promosse dalle confederazioni sindacali, a causa del netto
  dissenso rispetto alle loro note strategie concertative;
  
   b)      
  aver diffuso un solo documento politico come prova tangibile
  dell’impotenza attuale del movimento operaio;
  
   c)      
  aver accuratamente evitato di “sporcarsi le mani”, 
  fino a disertare l’assemblea conclusiva del 4 settembre scorso;
  
   d)      
  aver rispettato, pur con  imbarazzo
  e sofferenza, le decisioni prese a larghissima maggioranza dall’assemblea
  dei lavoratori.
  
   (finito
  di stampare il 7 Ottobre 2003)
  
   Una
  risposta (doverosa) al compagno Vinti
  
    
  
   Conosco Stefano Vinti,
  attuale segretario regionale del Prc, da almeno un paio di decenni; abbiamo la
  stessa radice politica (Democrazia Proletaria) e, fino a qualche anno fa,
  l’appartenenza allo stesso partito. Vinti, come è noto, è la massima
  espressione regionale di Rifondazione Comunista; pluridecorato sul campo
  (probabilmente a causa del non disprezzabile risultato elettorale ottenuto dal
  partito in Umbria sotto la sua dirigenza), il “nostro” è oggi
  contemporaneamente segretario e capogruppo al consiglio regionale nonché
  membro della direzione nazionale del Prc. 
  
   Nell’immaginario
  collettivo, il Prc in Umbria è Stefano Vinti: uno che ha percorso
  gradualmente tutte le tappe del carrierismo politico (prima anonimo
  sindacalista Cgil, poi leader della corrente sindacale “Essere Sindacato”
  per essere quindi eletto segretario provinciale del Prc), naturalmente
  sgomitando e “facendo le scarpe” a qualcun altro, come nella migliore
  tradizione di qualsiasi movimento comunista.
  
   Vinti è uno che conta
  anche dentro Palazzo Cesaroni e, se solo volesse, sarebbe in grado di mettere
  in difficoltà in qualsiasi momento una Giunta regionale politicamente
  sconcertante. 
  
   Ad onor del vero, come
  coordinatore/organizzatore di partito, non è un gran che… Anzi, si è
  rivelato una vera e propria frana: i circoli non funzionano, alcuni hanno
  chiuso i battenti, le iniziative sono scarsissime e praticamente limitate alle
  “feste” di “Liberazione”, la democrazia interna latita e c’è chi
  parla addirittura di epurazioni nei confronti dei dissidenti e i non
  allineati…. Qualcuno lo considera un piccolo “padre-padrone” del
  partito. 
  
   Vinti ha però il fiuto del
  segugio, ha capito perfettamente che aria tira anche nella “rossa” (?)
  Umbria e, forte della sua maniacale voglia di conquistare amicizie e spazi
  editoriali, ha puntato tutto sulla comunicazione e, a costo di essere
  associato a un minuscolo berlusconi locale, sotto questo aspetto ha dimostrato
  di essere davvero un “grande”, un professore. 
  
   Sulla stampa è diventato
  un presenzialista, puntuale come un orologio svizzero.
  
    
  
   Ora, come semplice
  osservatore, non più attivista politico, comunista non pentito, forse
  eretico, sicuramente lontano dall’ortodossia di partito e (politicamente
  parlando) perennemente indeciso sul “che fare da grande”, mi diverto ad
  inseguire sulla stampa locale i suoi numerosi interventi. 
  
   Alcuni li trovo
  interessanti, analitici, buoni per una riflessione; altri invece sono
  intriganti, solo propagandistici e fastidiosamente ripetitivi.
  
   Va riconosciuta a Vinti
  l’encomiabile propensione a mettere il dito su tutto, con una accentuata
  ostinazione sulle piaghe più purulente come quelle del lavoro. 
  
   Solo negli ultimi tre mesi,
  da quando cioè si è fatta preoccupante la crisi di alcuni settori produttivi
  (tessile, chimica, siderurgia e metalmeccanica), e incerto il futuro di
  centinaia e centinaia di lavoratori umbri, egli ha avuto una particolare
  attenzione (esternando almeno una trentina di volte, soprattutto sul
  “corrierino” e sul “giornalino”) alle vicende legate alla
  “Viasystem”,“Ast-Thyssen Krupp”,“Linkweld” 
  di Terni, “Itelco” di Orvieto, “Alcantara” di Nera Montoro,
  “Ims” (ex-Pozzi) di Spoleto, “Selti” di Todi, “Trafomec” di
  Tavernelle, “Carini” di Gualdo Tadino, “Sangalli” di Magione e
  “Ferro Italia” di Cannara.
  
   Più che incuriosito,
  (dovrei dire) direttamente interessato, visto che su quest’ultima fabbrica
  c’ho vissuto trent’anni e passa della mia vita per poi – come troppo
  frequentemente accade – essere triturato nella macina degli esuberi, mi sono
  andato a leggere più volte ciò che il “nostro” ha detto (spesso
  ricorrendo a mezzucci di pura propaganda) sulle questioni legate
  all’industria chimica regionale e in particolare al colorificio ceramico di
  Cannara.
  
   Provate, per esempio, a
  leggere i suoi interventi sul “Corriere dell’Umbria”, a partire da
  “Terni, Narni, Cannara: stop al declino della chimica” (del 4 agosto),
  proseguendo per “Multinazionali, costruire un tavolo” (del 5 settembre),
  fino ai “Distretti industriali per uscire dalla crisi economica” (del 30
  settembre). Ci sono degli spunti interessanti, analisi pure azzeccate, ma
  l’impressione generale è che la troppa verbosità rischia di far perdere la
  bussola al lettore, lo disorienta per poi ipnotizzarlo. Attenzione al
  tranello! Vinti non è il semplice editorialista di un giornale comunista, che
  ha legittimamente la facoltà di esternare la propria indignazione contro un
  governo devastante “che può vantare
  lo smantellamento e il definitivo declino del sistema industriale italiano”;
  Vinti ha naturalmente il diritto/dovere di elaborare analisi e teorie
  economiche auspicabilmente alternative a quelle neoliberiste (come alcune
  volte ha fatto intendere), ma non può e non deve dimenticare il suo ruolo di
  amministratore e di co-responsabile politico delle scelte regionali, per cui
  diventa scarsamente credibile quando il suo ragionamento è limitato
  all’ammissione dei ”ritardi del
  sistema istituzionale nel costruire un metodo di confronto con le
  multinazionali che producono in Umbria” e al semplice riconoscimento che
  “senza un modello comportamentale che
  preveda un confronto continuo, l’atteggiamento delle multinazionali verso il
  territorio tenderà alla totale deregulation”.
  
   Qui non si tratta di
  compiere scelte “barricadere” con finalità elettoralistiche, come hanno
  più volte minacciosamente denunciato i signori liberaldemocratici suoi
  alleati di giunta, ma dimostrare il coraggio della non subalternità alle
  politiche servili dei governi (centrale e periferici) verso le multinazionali.
  Tentare di invertire, con la proposta, la pessima tendenza di costruire una
  società che riduce drasticamente le certezze. 
  
  
   Chi ha occhi per vedere,
  non può non essersi accorto che questa deregulation
  è in atto – in Umbria - da almeno qualche anno. La Nestlè con la Perugina
  o la Thyssen Krupp con le Acciaierie di Terni, la Danone con la Pasta Ponte o
  la Ferro Corporation con la Bonaca, e via discorrendo…!
  
   Non è ovviamente soltanto
  un problema di multinazionali che, favorite come sono state dalla mania
  privatizzatrice dei vari governi preposti alla svendita dell’industria
  nazionale, possono anche giocare la carta ricattatoria della delocalizzazione,
  ma esiste un più serio problema che ha determinato una forte regressione dei
  diritti del lavoro e della civiltà del lavoro.
  
   Allora: si vuole costruire
  in Umbria uno strumento specifico per il confronto con le multinazionali?
  Benissimo. Ma le stesse cose erano state praticamente dette, in aggiunta ad
  altre cose intelligenti, oltre cinque mesi fa dallo stesso Vinti.
  
  
   Scriveva
  il segretario regionale del Prc sulla stampa locale che “E’
  vero o non è vero che con il Patto per lo sviluppo e l’innovazione si sono
  assunte delle responsabilità e degli impegni che ancora sono solo parole
  scritte sulla sabbia? (…) Rifondazione Comunista ritiene necessaria una vera
  e grande vertenza regionale (…) Alle organizzazioni datoriali dell’Umbria
  chiediamo di scegliere con decisione la strada dell’innovazione…, di
  investire in ricerca tecnologica, di lavorare per salvaguardare i livelli di
  civiltà del lavoro e la coesione sociale (…) I dati della Direzione
  provinciale del lavoro di Perugia…ci interrogano anche implicitamente sulla
  riduzione dei diritti sociali nelle fabbriche, della dispersione delle
  garanzie minime del lavoro, dell’avanzare impetuoso delle nuove tipologie
  del lavoro precario senza garanzie, senza diritti. In Umbria sembra quasi che
  la struttura economica e produttiva abbia scelto la via neoliberista, mixando
  riduzione dei diritti sociali, compressione del lavoro, sussunzione del
  territorio e del patrimonio ambientale per la valorizzazione del profitto
  (…) Su questi temi si avverte anche uno spaventoso ritardo della politica,
  del confronto e del dibattito, una inerzia delle istituzioni locali, ad
  iniziare dalla giunta regionale…” (dal “Corriere dell’Umbria”
  del 24/4/2003 – “E’ tempo di aprire una vertenza regionale”).
  
   Parole pesantissime quanto
  condivisibili ma, a distanza di tanto tempo e in una situazione politicamente
  invariata e di crescente precarizzazione del lavoro, sento ancor più forte il
  morso di chi è stato letteralmente preso per i fondelli…
  
   Nell’ultimo dei suoi
  lunghissimi scritti, il “nostro” ha rispolverato un po’ di sano
  “politichese” tanto per rendere ancor più incomprensibili alcuni concetti
  e far crescere la collera di chi – nel frattempo – è rimasto senza lavoro.
  
   Dice
  che “vanno sviluppate opportunità
  che debbono servire a dotare di uno strumento di intervento efficace il Patto
  per lo sviluppo, al fine di ricostruire la personalità economica del
  territorio, arricchendolo di competenze in rete per accrescere la competitività
  del nostro sistema di imprese…”; ed ancora che “si
  tratta di inaugurare una dimensione nuova dello sviluppo locale, basato su una
  legge quadro regionale di interventi, tendenti all’attivazione di un modello
  articolato di sviluppo basato sulla distrettualità, in un contesto di
  dimensione territoriale dello sviluppo…”.
  
   Più chiaro di così!!! Ho
  provato a leggere questi passaggi ad alcuni lavoratori della “Ferro”,
  recentemente licenziati (come il sottoscritto). Fortuna che ho ancora gambe
  buone per scappare…!
  
    
  
   Vinti, come detto, è
  intervenuto più volte (anche meritoriamente) sulla vicenda “Ferro”. 
  
   In più di una occasione ha
  mostrato però di vivere altrove, quasi a confermare l’abissale distanza –
  e perfino l’incomunicabilità – che permane tra due mondi separati, quello
  politico e quello del lavoro.
  
   Ad un certo punto della
  trattativa (siamo intorno alla fine del mese di agosto), quando le rituali
  logiche concertative sindacali si erano ormai propagate come una metastasi in
  tutto il corpo operaio, Vinti ha commesso l’incredibile errore di rilanciare
  la palla dell’occupazione dello stabilimento per aprire un forte conflitto
  territoriale, senza capire quali sentimenti stavano prevalendo in una fabbrica
  già fortemente individualista/opportunista e scarsamente
  sindacalizzata/politicizzata.
  
   Nessuno se lo è filato,
  perché tutti avevano già capito l’epilogo di un film già visto altrove…
  
   Non contento della sua
  solitudine, il “nostro”, parlando di “consenso estorto all’assemblea
  dei lavoratori”, ce l’ha messa tutta per farsi malmenare perfino da un
  sindacato notoriamente screditato.
  
   Una sortita infelice, la
  sua, che è stata pesantemente apostrofata anche da quegli operai – in verità,
  una piccola componente minoritaria – suoi elettori o potenziali tali.
  
   A mio modesto parere, Vinti
  avrebbe dovuto fare una cosa semplicissima: scendere dal cadreghino di Palazzo
  Cesaroni, misurarsi con i lavoratori della Ferro attraverso la convocazione di
  un’assemblea pubblica davanti ai cancelli o in piazza, capirne le necessità
  e i bisogni e, soltanto allora, agire negli opportuni luoghi istituzionali
  facendo le dovute pressioni e magari avanzando proposte concrete ed
  alternative rispetto a quelle sposate dai concertatori di professione.
  
   Invece di ululare invano
  alla luna, come egli ha preferito fare (a giochi fatti), Vinti e compagni –
  in qualità di “ago della bilancia” degli equilibri politici regionali –
  avrebbero almeno potuto far tacere la signora Lorenzetti, la cui genuflessione
  nei confronti delle multinazionali è fin troppo nota ed inquietante (“E’
  impensabile aprire un conflitto con una multinazionale alla quale invece
  dobbiamo tenere una particolare attenzione e un occhio di riguardo…” –
  avrebbe pubblicamente detto la “presidentessa” nel corso della trattativa).
  
   Vinti
  è anche libero di pensare ad un voto estorto ai lavoratori nella fase
  conclusiva della vicenda.
  
   Non
  avendo partecipato volutamente alle assemblee, non posso essere certo che si
  sia fatto ricorso anche a questi mezzucci di basso profilo; conoscendo però
  quei lestofanti dei “confederali”, ritengo che questa possa essere
  un’ipotesi verosimile. E’ certo, comunque, che – tranne gli assenti (una
  ventina e per diversi motivi) – l’accordo è stato ratificato dalla quasi
  totalità dei lavoratori (soltanto tre astenuti). 
  
   Perché?
  Provo a dare una risposta.
  
   Nell’accordo
  sono previste: a) la cessazione dell’attività produttiva e, quindi, la
  chiusura definitiva dello stabilimento a partire dal 6 ottobre 2003; b) la
  Cassa Integrazione Straordinaria per tutte le 98 unità lavorative per 12 mesi
  (80% della retribuzione); c) il ricorso alla mobilità (alla scadenza della
  Cigs e con un trattamento economico di poco inferiore) per uno, due o tre
  anni, secondo l’età anagrafica del dipendente; d) una somma a titolo
  transattivo di importo lordo pari a 12 mensilità retributive lorde.
  
   Non credo che ci possa
  essere qualcuno felice di essersi trovato in queste condizioni; a nessuno fa
  piacere d’essere licenziato, per di più in una situazione paradossale (non
  di crisi) come quella creatasi alla “Ferro”. 
  
   Ciò premesso, pongo però
  necessariamente una domanda a Vinti.  In
  assenza di proposte “forti”, che nessuno dei politici ha pensato mai di
  elaborare e sostenere in una lunga e difficile trattativa, proposte radicali
  capaci di garantire almeno per un decennio la continuità produttiva e, di
  conseguenza, il mantenimento dei livelli occupazionali, cosa avrebbero dovuto
  fare gli operai? Continuare la lotta? Per che cosa? Dimostrare di poter
  resistere tre/quattro mesi per andare poi verso una inevitabile sconfitta, con
  un pugno di mosche in mano?
  
   Beh! Sui lavoratori della
  “Ferro” si può dire tutto il male possibile ed immaginabile, ma una cosa
  è certa: non sono fessi!
  
    
  
    
  
   Fabrizio
  Baroni
  
   (dipendente
  “Bonaca-Bayer-Ferro” dal 12/2/1973)
  
    
  
   
    Cannara,
    9 ottobre 2003
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