incontro
Manifestazione per Peppino Impastato 14 dicembre 2006

Assisi - S. Maria degli Angeli

Libreria Zoe

Giovanni Impastato con Giuseppe Alagna, Associazione "Peppino Impastato", Luigino Ciotti, presidente circolo primomaggio.
trascrizione della serata

Giovanni Impastato

(Nota - L'incontro con gli ospiti ha seguito la proiezione del filmato "La primavera della giustizia" di Fausto Pellegrini. A causa della mancanza di un impianto di amplificazione, non è stato possibile riportare in modo completo l'intervento di Giovanni Impastato nonché alcune domande del pubblico nel dibattito successivo)



Luigino Ciotti Io ringrazio innanzitutto Carlo Dragoni - il proprietario di questa libreria che ci ospita stasera - per la sua disponibilità. Questa sua attività è a rischio di chiusura e noi non vorremmo che questo accadesse. Noi speriamo che la libreria possa continuare perché è un bene comune in un comprensorio - quella della Valle Umbria Nord - dove è l'unica vera libreria. Noi vorremo che questo filo della cultura - che peraltro non riguarda solo i libri (perché come vedete ci sono quadri, ci sono esposizioni fotografiche; qui sono stati fatti dei concerti, delle esposizioni di video ed è un punto di aggregazione, in particolare di quella giovanile) - rimanesse e ovviamente si potenziasse. La nostra presenza qui è il nostro piccolo contributo che il circolo culturale "primomaggio" - ma anche il circolo culturale "Peppino Impastato" che Pino Alagna rappresenta - vogliono dare affinché questa attività riprenda e rifiorisca nel migliore dei modi, ovviamente con la presenza di Carlo. Questa è una volontà che abbiamo espresso venendo qua questa sera anche se sapevamo che c'erano delle difficoltà per contenere la gente: però abbiamo pensato che fosse il luogo giusto.

Abbiamo già fatto venire una volta Giovanni Impastato, fratello di Peppino, cinque anni fa - era il 24 gennaio 2001 a Bastia Umbra, al cinema Esperia - quando abbiamo proiettato il film "I cento passi". Abbiamo riempito quel cinema - c'erano oltre 400 persone - è stata una grande serata che ci ha anche commosso, che è riuscita in pieno, con Giovanni e con Giovanni Russo Spena, il presidente della Commissione Parlamentare. È stata veramente una serata eccezionale. Abbiamo riproposto un incontro con lui - non solo per un'amicizia che ci lega ormai da oltre 20 anni - ma anche perché riteniamo che ovviamente il tema della mafia, con i suoi intrecci e con i suoi tanti aspetti nella vita politica italiana (e non solo) sia ancora di attualità. Come ha detto la ragazza del filmato, la mafia non è una questione che riguarda solo la Sicilia ma riguarda anche noi. Per esempio, nessuno ha mai fatto delle indagini serie anche nelle nostre località, nessuno si è mai chiesto quali sono gli investimenti economici che anche gruppi mafiosi fanno in queste zone (ad Assisi o a Bastia) e chi c'è dietro le imprese e dietro le varie attività commerciali. Sarebbe un discorso molto serio da fare. Se noi riuscissimo in qualche maniera ad entrarci dentro e a fare delle analisi, forse ragioneremmo in maniera un po' diversa e non penseremmo che i mafiosi sono solo i siciliani o l'Ndrangheta calabrese. Non è così, oramai il fenomeno è molto più vasto e si intreccia sempre di più. Volevamo quindi riprendere questo tema - il problema della criminalità - ma anche la questione della legalità che è un tema ancora più ampio e non riguarda in senso stretto solo la mafia: riguarda anche i nostri comportamenti, come influiscono sulla vita di tutti i giorni e come si intrecciano con le nostre attività e con lo Stato.

Volevo partire da un dato che si interseca anche con la nostra esperienza: Peppino Impastato fu ucciso il 9 maggio del 1978, qualche giorno prima del voto alle elezioni comunali a Cinisi. Ebbene, quello stesso giorno, c'erano le elezioni comunali anche ad Assisi (sfalsate rispetto al grosso dei comuni). Ad Assisi come a Cinisi si presentò una lista di Democrazia Proletaria: una lista che non siamo riusciti neanche a completare perché, su 30 persone che potevano essere candidate, mi pare fossimo solo 21, con molte peraltro che venivano da fuori comune. Ovviamente l'assassinio di Peppino Impastato e la gestione politica fatta sia dalla mafia che dallo Stato (per cui lui è stato fatto passare come un terrorista: ci sono voluti anni e anni per dimostrare quale era la verità) ha influito anche su queste elezioni. E questa gestione politica ha fatto sì che chi era conflittuale e si batteva per i diritti e contro i poteri forti - in Sicilia contro la mafia come Peppino e gli altri compagni, ma anche ad Assisi - venisse rappresentato come un terrorista o un delinquente. Ve lo dice uno che appunto andava nelle fabbriche della zona e che in questo modo veniva visto. Quell'episodio dava l'immagine che coloro che erano nelle liste di quella forza politica - che oggi non c'è più e che si chiamava Democrazia Proletaria - fossero dei terroristi, gente che combatteva contro lo Stato in maniera sovversiva e non che facesse lotta politica in maniera profondamente democratica (e in comune governato dalla Democrazia Cristiana come era Assisi allora, questa cosa si sentiva in maniera ancora più forte). Dunque le ripercussioni della vicenda di Peppino non rimanevano solo in Sicilia ma si spostavano anche a livello locale. Io peraltro in quel periodo stavo facendo il servizio militare, quindi avevo una doppia corda al collo, quello militare e quello della realtà locale che molti di voi conoscono (questa sera ritrovo molti compagni che stavano in quella lista in quegli anni e che sanno dunque quale era la situazione). Questo per dire come spesso certi episodi si collegano tra loro.

Detto questo, volevo ancora ribadire che il problema della criminalità è un problema che ci riguarda strettamente da vicino e che va combattuto ogni giorno. Bisogna unire le forze, bisogna riuscire ad ottenere l'intervento da parte dello Stato e non solo per fare le leggi che hanno permesso la confisca dei beni dei mafiosi. Questo è stato uno strumento e un'occasione di lavoro e di sviluppo, in una zona dove la mafia spesso vuol dire l'esatto contrario, vuol dire impedimento dello sviluppo perché impedisce la possibilità di mettere su delle attività serie e remunerative in maniera corretta; sappiamo che lì c'è un mercato bloccato da alcuni codici e da alcune volontà e in cui è pericoloso fare attività economiche se non si è collegati alla mafia. Le attività economiche, come le cooperative dei giovani in particolare - che lavorano sulle terre confiscate alla mafia e che producono vino, pasta, olio - sono certamente uno dei grimaldelli che scardina questo potere e questa logica mafiosa e contribuiscono a fare una società diversa e realizzare quelle cose per cui si è battuto Peppino, con i suoi compagni, con Radio Aut e con quella splendida donna che era Felicia, una donna fortissima ed eccezionale che appunto ha rotto quasi con il marito sul piano culturale per difendere le idee del figlio.

Ho avuto modo di conoscere Felicia - che è morta ormai due anni fa - e mi ha detto una cosa bellissima, affermando che l'elemento principale per cambiare la società è la dimensione della cultura. È questo il motivo per cui noi questa sera abbiamo fatto questo incontro. Noi intendiamo agire sul piano culturale per cambiare la società. Questo stato di cose a noi non va bene, non ci piace ed è necessario combatterlo con gli strumenti della democrazia e della cultura. La cultura è l'elemento fondamentale per rompere con le logiche omertose della mafia, con la sua tradizione e con il suo potere economico e politico, con il suo potere della violenza. La mafia ha sperimentato varie strategie nel corso della sua storia, da quelle violente fino anche a quelle terroristiche, facendo - come sappiamo - molti attentati in Italia. Il nostro impegno allora deve andare in questa direzione: l'abbiamo fatto qui perché l'aspetto culturale ben si addice ad una libreria, in un polo che appunto ora ha delle difficoltà e che tutti noi dobbiamo contribuire a rivitalizzare; così come dobbiamo rivitalizzare la lotta contro la mafia e la criminalità e quell'idea di legalità e di difesa di legalità che contrasta contro certi comportamenti molto diffusi, non solo in quei territori ma anche qua da noi. Non parlo solo degli intrecci criminali ma anche azioni come non pagare le tasse. Sono anche queste forme di illegalità che ci ledono fortemente e che impediscono uno sviluppo diverso e alternativo, uno sviluppo che combatta le grandi forme di disuguaglianza e di discriminazione di oggi per favorire solo gli interessi specifici dei singoli.

Io vi ringrazio, passerei la parola a Pino Alagna, responsabile del circolo culturale "Giuseppe Impastato" e poi ovviamente a Giovanni.

Pino Alagna Io la faccio molto più breve di Luigino! Volevo soltanto ringraziare Giovanni che conosco anche io da qualche anno e a cui mi lega una grande amicizia e affetto. La stessa cosa vale per la madre, che vi posso assicurare che era una grandissima donna. Io sono siciliano come è Giovanni e come lo è stato Peppino, le mie origini sono palermitane. Cinisi, dove è nato e vissuto fino alla morte Peppino, è a circa a 25 km di distanza da Palermo. Peppino è stato però legato ad un impegno molto più forte del mio. Quando io nel 1972 ho deciso di rompere con quella cultura mafiosa e scegliere di andare verso nuovi spazi dove era possibile avere un impegno e una possibilità di cambiamento, Peppino ha invece deciso di rimanere e lottare lì dove la mafia era un punto di concentramento e di grande violenza.

L'associazione culturale "Peppino Impastato" è una libera associazione fatta da tutti coloro che si riconoscono in un valore, il valore di una persona che ha deciso di lottare contro un male enorme - la mafia - fino alle estreme conseguenze. Peppino sapeva benissimo cosa significava mettersi contro quel potere. Nonostante tutto, ha deciso che valeva la pena andare fino in fondo e così è stato. Ci sono voluti tanti anni, ci sono voluti 24 anni per arrivare alla verità: quella verità - che oramai è stata scritta - che ad ammazzarlo è stata la mafia. L'hanno ammazzato nella maniera più atroce che poteva essere fatta: lo hanno fatto esplodere con chili e chili di tritolo, per poi farlo passare come un povero demente criminale e come terrorista. La mamma di Peppino - Felicia - ha secondo me dato una grande testimonianza nel dire che la mafia è un male che si può combattere perché è inglobata dentro ad una cultura che non appartiene a chi veramente crede nel cambiamento ma a chi crede invece che la vita sia fatta di privilegi. Il privilegio mafioso è legato alla politica perché non ci scordiamo che la mafia senza la politica non esiste. Sono due cose che vanno assieme, da sempre si sono incontrati e da sempre hanno fatto affari. Lo fanno tuttora, non è finita la storia.

Quindi l'associazione culturale "Peppino Impastato" vuole riconoscersi in questo valore, che combattere è sempre una cosa che va fatta perché permette il cambiamento. Senza il cambiamento non ci può essere né cultura né civiltà. Vi ringrazio, passo la parola a Giovanni.
Giovanni Impastato Volevo innanzitutto ringraziarvi per questo invito. Oggi siamo in luogo di dibattito, di cultura, in una libreria che a quanto pare non è solo una libreria - vedo anche delle mostre fotografiche - si può definire un luogo d'incontro. E quando un luogo d'incontro chiude, sicuramente ci perdiamo un po' tutti e dobbiamo fare tutto il possibile affinché una cosa del genere non avvenga. Questa luogo deve rimanere una libreria, un luogo di dibattito, d'incontro, di cultura.

Sono veramente contento di essere qui con voi questa sera, ritorno volentieri dopo alcuni anni. Luigino ricordava quando abbiamo proiettato cinque anni fa, "I cento passi". Il film era uscito da poco, era stato presentato alla Biennale di Venezia dove aveva vinto un premio importante, il Leone d'Oro come migliore sceneggiatura; diciamo che era stata premiata la storia e il soggetto. Allora eravamo un po' alle prime armi con questo film che aveva avuto un impatto importante e la nostra preoccupazione era quella che dovevamo evitare a tutti i costi che rimanesse solo un impatto mediatico. Quel film non poteva rimanere semplicemente un impatto mediatico, un successo del momento, di un mese o poco più. Noi siamo riusciti ad evitare una cosa del genere. A distanza di tanti anni io sono abbastanza soddisfatto di questo film che non voglio dire che sia un capolavoro ma che sicuramente è abbastanza dignitoso e che ci fa capire realmente quel momento storico, quel percorso d'impegno che Peppino ha portato avanti in quella realtà. Noi abbiamo seguito questo film, siamo stati presenti in tantissimi incontri, abbiamo organizzato e partecipato a tantissime manifestazioni.

Ci tengo però a ribadire una cosa, quella che non c'è stato soltanto il film. Nel filmato che abbiamo visto poco fa, si parlava di tutte le giornate della memoria organizzate da Libera. L'anno scorso siamo stati a Roma dove abbiamo celebrato il decimo anniversario della giornata della memoria. Io le ho fatte tutte dalla prima all'ultima e vedete che in dieci anni sono aumentate in maniera impressionante tutte le vittime della mafia. Noi, ogni anno, le leggiamo tutte ed è un rosario impressionante. Di molte di queste vittime addirittura non si sa nulla, non è stato fatto alcun processo, non è stato ritrovato il corpo. Guardate il caso di Placido Rizzotto. Di Placido Rizzotto ancora oggi si sa poco o nulla; ma questo non soltanto di Placido Rizzotto ma di tante, tantissime persone. Riguardo alla vicenda di Peppino Impastato, sotto questo aspetto, direi che siamo stati non dico fortunati, ma almeno abbiamo avuto un processo. Gli assassini di Peppino, Gaetano Badalamenti e Vito Palazzolo, sono stati condannati, il primo all'ergastolo e l'altro a trent'anni di carcere. Questo sicuramente è un segnale di civiltà.

Si parla tanto di legalità, se ne è parlato tantissimo. Noi abbiamo vissuto in un paese dove non c'è stata legalità, dove in tutti i modi abbiamo pensato di legalizzare l'illegalità: e sotto certi aspetti ci siamo riusciti. Poco fa si parlava della famosa legge 109 sulla confisca dei beni: nel filmato si diceva che questa legge è stata approvata grazie ad una petizione popolare organizzata da Libera nel 1995, quasi dodici anni fa. Ma la battaglia per la confisca dei beni ai mafiosi si perde nella notte dei tempi, perché non è iniziata nel 1995 ma addirittura nel 1947. Il primo maggio del 1947 c'è stata la prima strage di Stato, Portella delle Ginestre, dove sono state uccise 15 persone. Noi dobbiamo chiederci perché quella strage è avvenuta. Quella strage è avvenuta non perché i contadini che stavano lì festeggiavano la ricorrenza del primo maggio, assolutamente no. Quella strage è avvenuta perché una settimana prima in Sicilia c'erano state le elezioni e - per la prima volta nella storia d'Italia - le sinistre vincono le elezioni. Per la prima volta nella storia in Italia. Si veniva dall'esperienza della resistenza anti-fascista e i mafiosi, i fascisti, gli agrari, i feudatari, vedendo che anche in Sicilia vincevano le sinistre, hanno pensato che sicuramente, anche nel resto d'Italia, ci si avviava verso un paese comunista. Quella strage ha avuto questa funzione, di bloccare nel nostro paese un grande processo di rinnovamento che si stava avviando con le lotte del movimento contadino. Il movimento contadino in quel periodo portava avanti le battaglie per la legalità in quanto lottava non perché voleva approvata una legge - la riforma agraria che spartiva in parti eque le terre incolte appartenenti ai feudatari e agli agrari e che li assegnava ai contadini organizzati nelle cooperative, era già stata approvata - ma perché chiedeva l'applicazione di questa legge. Quella è stata una battaglia di legalità perché quando si chiede un'applicazione di una legge in funzione del popolo, una legge che in prospettiva possa avviare un processo di rinnovamento per il nostro paese, questa è una battaglia per la legalità. Portella delle Ginestre è stata la prima strage di Stato: è stata una strage di Stato perché uomini delle istituzioni si sono macchiati di quell'eccidio.

Allora, quando noi parliamo di legalità, dobbiamo tenere conto di quello che è successo. Dobbiamo fare memoria storica, dobbiamo partire da quelle lotte contadine, dobbiamo partire dalle lotte della resistenza anti-fascista di cui ormai si sono persi i valori. E quando noi parliamo di legalità, la prima cosa che dobbiamo considerare è la lotta antimafia e quella antifascista perché l'antifascismo è un valore importante per mantenere alti i valori della legalità. Questi revisionismi storici devono finire. Nelle lotte per la civiltà e per la democrazia, la Sicilia ha pagato un grosso tributo di sangue e in questa lotta - in prima fila - c'erano i comunisti e i socialisti. C'era la sinistra. È chiaro che - e io sono pienamente convinto di questo - che la lotta contro la mafia la dobbiamo fare tutti, però mi sorgono dei dubbi. Nel filmato ho visto il papa Giovanni Paolo II nella famosa omelia di Agrigento. Giovanni Paolo II - con molto ritardo, troppo tardi - fa quell'intervento che io ritengo sia importante. Se però facciamo un po' di memoria, andiamo a vedere che purtroppo la Chiesa - per quanto riguarda le battaglie di legalità in Sicilia - non ha fatto altro che sviluppare sempre di più una cultura di tipo mafioso. In quel periodo, quando i contadini e i sindacalisti venivano uccisi dalla mafia, i nemici della Chiesa non erano i mafiosi ma erano i comunisti. Mi viene in mente il fatto che noi, con il film, non abbiamo vinto gli oscar a Hollywood perché il film si chiudeva con le bandiere rosse. Per vincere, noi dovevamo far scomparire quelle bandiere oppure ricreare quella scena in bianco e nero. In quel momento per noi quelle bandiere rosse costituivano una forma di grande riscatto. Questo non toglie che la lotta contro la mafia, le battaglie per la legalità, le dobbiamo fare tutti. Anche con il Vangelo in mano si può portare avanti una battaglia di legalità, però che cosa succede? Succede che quando ci sono dei sacerdoti come Don Pugliesi o come Don Peppino Diana che con il Vangelo in mano portano realmente avanti, in mezzo alla gente che soffre, un impegno di vita nuova, un impegno antimafia, questi sacerdoti vengono quasi sempre isolati e puntualmente vengono uccisi. Riflettiamo allora un po' su questo, quando parliamo di legalità. È una riflessione che dobbiamo fare.

Nel parlare di lotte contadine, di impegno culturale e di impegno per la legalità, a metà degli anni '60 emerge una figura importante che è quella di mio fratello, di Peppino Impastato. In quel momento storico, riesce con il suo giornale "L'idea socialista" a mettere in evidenza i rapporti tra il potere mafioso e il potere politico, tra gli amministratori del nostro paese - Cinisi - e la mafia. La scena che vedete nel film e in cui mia madre scappa e va a comprare tutte le copie del giornale è tutta vera, perché aveva paura che i mafiosi sarebbero venuti a sapere quello che Peppino aveva scritto. Nel periodo storico in cui Peppino inizia le sue battaglie - a metà degli anni '60- di mafia non se ne parlava più, la mafia non "esisteva" più. In quella fase non ci sono omicidi, gli omicidi iniziano negli anni '70 (il procuratore Scaglione, il giornalista Mauro de Mauro o successivamente il colonnello Russo). Però quelle lotte contadine, con tutti i contadini e i sindacalisti uccisi dalla mafia, in quel periodo erano state ormai archiviate. Peppino lo possiamo considerare l'erede di quel grande movimento contadino: lui sposa la causa dei contadini, sempre nel film lo vediamo in prima fila nel bloccare le ruspe e nel portare avanti quella grande azione di disubbidienza contadina. Lui blocca le ruspe perché lottava insieme ai contadini di Punta Raisi che venivano espropriati delle terre per la costruzione della terza pista dell'aeroporto e che venivano in questo modo affamati, venendo pagati una miseria in base ad una legge monarchica (e con quella speculazione venne praticamente distrutto l'ultimo strato dei contadini). Peppino sta accanto a loro così come sta accanto agli edili. Lui riceve le prime minacce proprio perché tenta di organizzare gli edili di quel paese che erano succubi e schiavi della mafia, essendo tutti i cantieri in mano alla mafia. Peppino ne chiedeva la messa in regola e chiedeva appunto un lavoro meno rischioso.

Nello stesso tempo però possiamo considerare Peppino il pioniere della nuova fase di lotta, perché lui, con metodi nuovi come il giornale - anche se poi usava il dattiloscritto - o il circolo "Musica e cultura". Il circolo "Musica e cultura" praticamente non era altro che un centro sociale di oggi in cui lui è riuscito ad aggregare decide e decine di giovani con la musica, con l'arte in genere, con il teatro. E in questo modo li ha fatti riflettere, li ha portati all'impegno antimafia, all'impegno culturale e politico. Tutto questo tramite metodi nuovi che ancora oggi molti non riescono ad applicare. Io sono convinto che - e questo lo voglio dire chiaramente - Peppino non fosse solo un politico ma anche un artista. Lui era anche un poeta e vedete, gli artisti - rispetto ai politici - sono molto più sensibili. Gli artisti riescono a cogliere con molto anticipo le trasformazioni di una società, riescono a cogliere un po' la sensibilità e gli umori della gente e lui era attento a quello che succedeva in quel periodo. Ricordiamo quel periodo importante, la guerra nel Vietnam. Peppino è riuscito ad organizzare le grandi marce, insieme a Danilo Dolci. Questo nome vi dice qualcosa? Danilo Dolci è stato uno dei più grandi sociologi di quel periodo che è stato anche molto vicino al premio Nobel per la pace. Insieme a Peppino, hanno organizzato una grande marcia pacifista (una mostra fotografica testimonia questo).

Peppino riusciva a cogliere anche quelle trasformazioni a livello musicale, ha fatto conoscere i cantautori di quel periodo come Bob Dylan, i grandi raduni musicali come Woodstok o anche in Italia - se qualcuno ricorda - Parco Lambro, negli anni '70. Anche a Cinisi c'è stato un bel raduno musicale - non nelle proporzioni di Woodstok o di Parco Lambro - però anche quello è stato un momento importante. Questo era Peppino Impastato. Riusciva a cogliere queste emozioni che venivano dai giovani, in quel particolare periodo storico. Ripeto, noi lo possiamo considerare come il pioniere di quella fase di lotta, uno dei primi ad usare questi metodi nuovi: le lotte contro il saccheggiamento del territorio, le mostre fotografiche che noi abbiamo visto e infine Radio Aut. Radio Aut è stato un momento importante perché lì c'era la musica, c'era il dibattito, c'era tutta una serie di cose importanti. Con Radio Aut Peppino ha fatto un'operazione che io ritengo sia unica, perché con questa è riuscito a mettere in ridicolo questi uomini potenti e questi grandi mafiosi. Giovanni Falcone diceva nel suo intervento che, come ogni storia ha un inizio e una fine, così anche la mafia avrà un inizio e una fine. Vi dicono bugie quelli che vi dicono che la mafia è un fenomeno scientifico che nasce con l'uomo e muore con l'uomo. La mafia è purtroppo forte perché fa leva sulla cultura mafiosa, è forte perché gode di legami con il potere istituzionale. Ecco perché la mafia sembra invincibile ed è così forte. Peppino Impastato ha dimostrato che questi mafiosi sono degli uomini ridicoli che quando tu attacchi - e attacchi in un certo modo - incominciano a perdere il loro consenso sociale. È perchè hanno perso il loro consenso sociale che hanno ucciso in quel modo Peppino Impastato. "Noi non ti uccidiamo con un agguato mafioso, non ti diamo questo onore. Tu hai osato nei nostri confronti, ci hai messo in ridicolo e quindi noi ti facciamo passare per terrorista". Questa è la logica della mafia.

C'è un'altra cosa importante di Peppino. Lui ha operato una rottura che noi consideriamo storica e culturale e che non è avvenuta solo all'interno dell'ambiente e della società dove lui operava; questa è avvenuta soprattutto all'interno della propria famiglia che era una famiglia di origine mafiosa. E questo sta a dimostrare chiaramente che la mafia non è solo ed esclusivamente un problema di ordine pubblico, un problema che dobbiamo delegare in toto ai carabinieri, alle forze dell'ordine, ai magistrati e pensare che solo loro devono fare il proprio dovere. Anche perché non sempre le istituzioni fanno il loro dovere, spesso hanno lasciato molto a desiderare. Se consideriamo quello che sta succedendo e quello che è successo in questo paese, se prendiamo Piazza Fontana o l'Italicus oppure la strage di Brescia, tutte queste sono delle vergogne indegne di un paese civile e democratico; è inconcepibile che noi teniamo ancora la polvere sotto il tappeto o gli scheletri dietro l'armadio. Noi siamo in un paese civile? Lo possiamo considerare democratico, questo paese? Io penso proprio di no.

Ritornando alla mafia e alla vicenda di Peppino, voi sapete benissimo quello che è successo dopo la sua morte. Molti ci accusano e ci dicono che noi, la lotta contro la mafia, la facciamo solo con le denunce e con la memoria. Siamo invece convinti che la denuncia e la memoria non possono bastare, che la lotta contro la mafia deve andare di pari passo con un sano progetto di sviluppo economico e morale. Noi dobbiamo incominciare a dare delle risposte concrete ai bisogni che vengono dal basso perché, se non riusciamo a soddisfare le esigenze della gente, è chiaro che non possiamo fare nulla. Non possiamo lasciare un quartiere come Scampia in mano alla camorra, dove l'unica cosa che funziona perfettamente è la camorra. Dobbiamo cercare di costruire questo sano progetto di sviluppo economico, giorno dopo giorno con il nostro impegno e con le nostre proposte. Stavo incominciando a parlare della famosa legge 109. Con questa legge, noi siamo riusciti, in Sicilia, a dare sviluppo (sebbene una minima parte di sviluppo, perché non siamo affatto aiutati e la legge 109 è stata boicottata in tanti modi). Abbiamo dato lavoro, ci sono le cooperative di Libera Aperta che lavorano nelle terre confiscate alla mafia. Stiamo cercando di muovere una sana economia. C'è l'associazione "AddioPizzo" con 125 commercianti - tra cui il sottoscritto - e che si oppone al pizzo. Noi non abbiamo mai pagato il pizzo e non intendiamo mai pagarlo. È chiaro che 125 commercianti sono pochi, però è già un inizio; non come quando - come associazione "Giuseppe Impastato" - avevamo organizzato un'iniziativa in favore di Libero Grasso ed eravamo in pochi, pochissimi. Quella volta siamo stati lasciati soli e poi dopo una settimana è successo quello che è successo. L'associazione "AddioPizzo" sta andando invece verso un giusto progetto di sviluppo economico.

Ci sono poi le riforme che sono importanti e che, se fatte bene, servono a sbloccare il processo di penetrazione dei poteri criminali all'interno delle istituzioni. Almeno, dovrebbero servire a questo. Però vedete, in Sicilia una cosa del genere difficilmente avviene. In Sicilia questo non può avvenire principalmente perché abbiamo un'intera classe politica che è in combutta con la mafia. Non c'è ombra di dubbio. L'intera classe politica è collusa con la mafia, dal presidente della regione fino all'ultimo deputato regionale. Molti di loro fanno parte dell'UDC, il partito che fino ad un anno fa esprimeva una carica istituzionale importante quale il Presidente della Camera. E questo ex Presidente della Camera, durante un processo di mafia a Palermo - molti ricorderanno - mandò un attestato di solidarietà non ai giudici - per invitarli a giudicare in maniera imparziale - ma lo mandò ad un mafioso che poi è stato condannato. Questo mafioso era Marcello Dell'Utri. Per questo dico che bisogna riflettere su queste cose.

C'è stato un periodo che nel nostro paese le leggi ad personam erano all'ordine del giorno, quasi la regola. Se noi andassimo nelle scuole e facessimo un discorso sulle leggi con i ragazzi, noi non possiamo dire loro che "legalità" è rispetto delle leggi. Come facciamo a dire una cosa del genere? Noi dobbiamo andare a vedere innanzitutto se in quella legge c'è la dignità umana; se quella legge è stata fatta in funzione dell'uomo e nel rispetto della dignità umana. Se in una legge non c'è al centro l'uomo, la sua dignità, il bene della legalità, questa legge non si può rispettare, non si deve rispettare. Dobbiamo usare tutti i metodi per farla cambiare. Dobbiamo usare i metodi della disubbidienza civile. Io credo che la disubbidienza civile sia un modo importante per mantenere alti i valori della legalità (naturalmente la disubbidienza non violenta). Facciamo degli esempi - esempi non terroristici - che dimostrano come non rispettare determinate leggi faccia il bene della legalità. Negli anni '50, vi ricordate Rosa, la cameriera nera che, stanca dal lavoro, si siede nelle prime file del pulman? Occupa la prima fila, dice "Io sono stanca e ho il diritto di sedermi, sono una persona e ho una dignità". L'autista interviene dicendo che deve andare via, lei disubbidisce e interviene la polizia. Viene picchiata e arrestata. Io credo che quella persona - per il non avere rispettato quella legge - ha fatto una grande servizio alla legalità e alla dignità umana. Dopo pochissimo tempo è nato quel grande movimento di Martin Luther King. Oppure l'esempio del Mahatma Gandhi. Nei tempi del colonialismo anche lui è stato picchiato, malmenato, arrestato, ucciso proprio perché non rispettava determinate leggi, leggi che non si potevano rispettare. Portiamo allora questi esempi ai ragazzi nelle scuole.

Ribadisco allora che nel combattere la mafia, dobbiamo partire da queste cose; dobbiamo partire da un vero concetto di legalità, da un sano concetto di sviluppo economico. Noi abbiamo dimostrato nei fatti che non facciamo solo antimafia in memoria e che non abbiamo pianto soltanto i nostri morti. La denuncia e la memoria sono certamente importanti, però abbiamo lavorato e abbiamo dimostrato di lavorare seriamente nel territorio. Nel filmato, nel vedere sfilare l'elenco di tutti i morti, c'era anche il nome del giudice Gaetano Costa. Quando Peppino Impastato è stato ucciso ed è stata portata avanti la tesi dell'attentato terroristico, uno dei primi giudici che è intervenuto e che ha messo in dubbio questa tesi è stato Gaetano Costa; anche lui è stato ucciso dalla mafia. C'è stato il giudice Signorino, il quale è stato costretto a suicidarsi. Poi abbiamo avuto il giudice Linnici che è stato vicino a prendere agli assassini di Peppino. Ucciso pure lui. Poi c'è stato Caponnetto e infine il giudice Falcone. Anche lui aveva messo in dubbio la tesi dell'attentato terroristico per quanto riguarda l'assassinio di Peppino. Queste cinque persone sono tutte morte, quasi tutte uccise dalla mafia (non dico perché si stavano occupando dell'inchiesta di Peppino Impastato ma perché erano personaggi scomodi). Se invece andiamo a vedere che fine hanno fatto tutte quelle persone che hanno sostenuto la tesi dell'attentato terroristico e che hanno fatto sparire importanti reperti con i quali si poteva arrivare alla verità in pochissimo tempo, guarda caso hanno fatto carriera; sono tutti vivi e hanno tutti bellissime pensioni da 10-20 mila euro ciascuno. Questo sempre per dimostrare che c'è legalità nel nostro paese! Possiamo anche fare i nomi: Subranni che è stato un generale dei carabinieri oppure il giudice Scozzari che è procuratore generale in una procura della Basilicata. Credo che tutti abbiano fatto carriera, alla faccia della legalità.

Ritornando brevemente a Peppino, avete visto il film "I cento passi" in cui c'è stato un grande rispetto della storia. Il film lo possiamo considerare fedele all'80% perché comunque il cinema ha delle esigenze di spettacolo - il produttore vuole incassare - per cui succede che qualche scena divenga verosimile. Però la storia è stata rispettata, come è stato vero il dramma umano. È chiaro che, in tutto quello che avete visto, mia madre ha avuto un ruolo difficile perché da una parte era la moglie di un mafioso ma allo stesso tempo era la madre di un militante della sinistra che lottava contro la mafia. Lei era intrisa di una cultura cattolica e mediterranea per cui non avrebbe mai lasciato il marito. E infatti non lo ha lasciato. Nel momento in cui però è stata costretta a fare una scelta, lei non si è schierata dalla parte della mafia ma si è schierata dalla parte della giustizia e della legalità: si è schierata dalla parte di Peppino. Anche mio padre ha avuto un ruolo difficile; lui ha buttato fuori di casa Peppino perché era considerato un eretico, un comunista, uno che parlava male degli amici mafiosi. Quando però lo ha visto in pericolo - ricordate quella scena in cui lui scappa e va negli Stati Uniti - lui chede al cugino americano e alla cugina americana di intervenire perché Gaetano Badalamenti aveva deciso la condanna a morte di Peppino. Alla cugina che gli chiedeva se stava succedendo qualcosa a Peppino, lui le risponde "Prima di uccidere Peppino, devono uccidere me". È avvenuto proprio così. Prima hanno ucciso lui e poi hanno ucciso Peppino. Allora - vi voglio far riflettere anche su questa cosa - la mafia è questa. Mio padre, che era un mafioso, non si doveva permettere in nessun modo di tentare di salvare il proprio figlio. La mafia è una cosa seria e le regole si devono rispettare. Lui doveva uccidere il figlio oppure far finta di nulla. Questa è la mafia.

Oggi, con la cattura di Provenzano ma già prima (e soprattutto) con la cattura di Totò Riina, la mafia ha cambiato totalmente strategia. Non è più la mafia che uccide come prima o che semina il panico e porta avanti lo stragismo. Dopo la cattura di Totò Riina, è cambiato tutto (quel Totò Riina, di cui non si è andati neanche a perquisire il covo). Questa è stata una vergogna che veramente ha dimostrato - alla faccia di Dalla Chiesa e di tutti i carabinieri che sono stati uccisi - come lo Stato venga a patti con la mafia. Si vede uscire da quella villa uno dei più grandi mafiosi del secolo precedente e non si va a perquisire il suo covo! Questo sta a dimostrare - con molto rispetto per coloro che veramente fanno i carabinieri e combattono la mafia - che purtroppo fin dai tempi del bandito Giuliano e di Portella delle Ginestre, i carabinieri sono stati costretti dal potere istituzionale a trattare con la mafia. Ci tenevo anche a dire che questa mafia è molto più forte di prima, perché riesce sempre a fare gli affari sporchi, a controllare il traffico internazionale dell'eroina e il racket. La mafia controlla il potere economico e politico, lo confermano anche gli ultimi episodi successi in Sicilia. Ad esempio il presidente della Sicilia Cuffaro ha distrutto la sanità pubblica per agevolare quella privata legata alla mafia.

Ci tengo anche a precisare che la mafia non è solo una prerogativa di noi Siciliani e delle quattro regioni del meridione. Se noi consideriamo che il suo volume di affari è di 100 miliardi di euro l'anno, possiamo allora dire a tutti gli effetti che la mafia è parte integrante di questo grande processo di globalizzazione che si sta avviando a livello mondiale e che è ben inserita in questo sistema neoliberista che sta portando in alto le privatizzazioni. Noi dobbiamo cercare di bloccare tutto questo, partendo una volta tanto dall'alto; perché purtroppo l'illegalità sta in alto, sta nello squilibrio delle risorse, nel 25% delle persone di questo mondo che si è appropriato del 75% delle risorse. L'illegalità sta nella guerra: si sono inventati le armi chimiche, si sono inventati i collegamenti con il terrorismo di Bin Laden. Senza giustificare assolutamente l'operato di Saddam Hussein - perché anche lui è un criminale che ha governato nella piena e totale illegalità - io non voglio vedere però soltanto Saddam Hussein dietro le sbarre. Ci dovrebbe andare anche il presidente americano e tutto il suo governo perché sappiamo benissimo quello che è stato fatto da parte loro. Quando allora parliamo di legalità, bisogna considerare queste cose. Dobbiamo capire che la mafia è un problema serio che non riguarda solo noi ma che riguarda tutti a livello mondiale. Io non ho altro da aggiungere, se c'è qualcuno che vuole fare domande rispondo volentieri.

Domande e interventi del pubblico

Primo intervento pubblico Mi è capitato di vedere una puntata de "La Storia siamo noi" di Giovanni Minoli, su Portella delle Ginestre e qui si parlava anche del fatto che i comunisti - che in pratica sono quelli che hanno sconfitto i fascisti o che comunque sono quelli che sono riusciti comunque a cambiare lo stato delle cose - alla fine non sono andati al governo. Oliver Stone diceva. "In America tutti sanno che la CIA ha fatto manovre perché i comunisti non andassero al governo da nessuna parte". In Italia questa cosa non la sento mai o comunque se ne parla poco. L'impressione è quella che l'America continui a manovrarci in tutte le maniere e che noi persone comuni non possiamo fare niente per potere cambiare questa situazione. È dura saperlo ma è così.

Secondo intervento pubblico Io ho una domanda che riguarda la legge sulla confisca dei beni alla mafia. Un anno e mezzo fa, quando Don Luigi Ciotti è venuto a Bastia, ha parlato di due pericoli nei confronti di questa legge. Il primo consiste nella possibilità da parte dei parenti o degli amici di chi ha avuto la confisca dei beni di fare ricorso nei confronti di queste confische e di riappropriarsi dei terreni mentre il secondo pericolo riguarda invece la possibilità da parte dello stato di vendere questi terreni (terreni che però automaticamente verranno riacquistati dai mafiosi). Volevo allora sapere quale è la situazione attuale della legge 109 e se esistono veramente questi pericoli come ha denunciato Don Luigi Ciotti.

Rispondo subito a questa domanda a cui la risposta è breve. La legge 109 fortunatamente è salva, nel senso che è al punto di prima. Non ha fatto passi avanti ma fortunatamente - quando il governo se ne è andato - non ha fatto passi indietro. Gli obiettivi di quel governo erano proprio le cose che dicevi tu; mettere all'asta i beni confiscati alla mafia - che poi ritornavano di nuovo ai mafiosi - o comunque farne un uso diverso da quello che ne facciamo noi. La nostra proposta è invece che dei beni confiscati alla mafia se ne faccia un uso sociale, che vengano usati per creare occupazione, creare reddito, creare un'economia. Noi ora dobbiamo snellire questa legge nel senso che si deve agire subito, si deve passare alla confisca appena viene chiuso il procedimento. Io non capisco perché si devono aspettare cinque o sei anni. Le verifiche - in base agli atti processuali - si possono veramente fare nel giro di due, tre mesi; bisogna snellire allora tutte le procedure e passare immediatamente alla confisca. Per farvi un esempio, vi racconto il caso di Gaetano Badalamenti - il mandante dell'assassinio di Peppino - verso il quale si è messo in atto il procedimento di confisca. Ora la legge dice che, per arrivare alla confisca di un bene, si deve dimostrare l'associazione a delinquere di stampo mafioso del proprietario. Se quella persona non è stata condannata per associazione a delinquere di stampo mafioso non si può procedere alla confisca. Gaetano Badalamenti è stato condannato all'ergastolo per quanto riguarda il processo di Peppino Impastato. Ma questa persona - che è stata condannata all'ergastolo e che è un mafioso è un omicida - non è stata però dichiarata colpevole di associazione a delinquere di stampo mafioso e automaticamente gli è tornato tutto indietro. Tempo pochi giorni - guardate l'ironia della sorte - sono io ad essere denunciato perché - in una puntata del Maurizio Costanzo Show - avevo dato dello scemo e dell'imbecille all'avvocato di Badalamenti (che ancora sosteneva la tesi dell'attentato terroristico). Una beffa. Tutti i beni tornano a Badalamenti e a me tolgono 5000 euro! Vengo condannato in tribunale a pagargli 2500 euro più 2500 euro di spese. In più mi è stato fatto un pignoramento, sapete quanto per un commerciante un pignoramento possa essere grave.

Terzo intervento pubblico Innanzitutto grazie per questa testimonianza. Io volevo fare una domanda un po'intima e privata. Mentre Giovanni parlava del film "I cento passi", mi è venuto in mente un altro bellissimo film che aveva per tema la mafia e il codice che c'è dentro la mafia (questo dover rispettare le regole, il fatto che non bisogna sgarrare e stare sempre dentro gli schemi). Il film era "La Fratellanza" con Kirk Douglas. È la storia di due fratelli; il primo che è partito dalla Sicilia, è andato in America a studiare e lì è diventato un uomo famoso e affermato. Ad un certo punto viene però richiamato alla terra d'origine perché deve compiere un assassinio proprio contro il fratello. È un film estremamente drammatico. La mia domanda è allora questa: come si vive in una famiglia dove ci sono sensibilità diverse, dove da una parte c'è un codice e un modo di essere strettamente legato alla mafia mentre dall'altra c'è questa volontà di riscatto, di cambiare e di venirne fuori? Penso che in questo consiste un po' tutta la vostra vicenda familiare. Naturalmente Giovanni può anche non rispondere, perché capisco che è difficile. A Giovanni volevo però anche dire che non condivido quel richiamo forte a trasgredire alla legge. Anche se la legge è ingiusta o è sbagliata oppure è fatta ad personam, come possiamo essere noi dentro la legalità se siamo fuori dalla legge? Ricordiamoci che qualcuno ha preferito bere la cicuta pur di dimostrare che, anche se la legge è sbagliata, bisogna sempre rispettarla.

Quarto intervento pubblico A me sembra di aver colto nell'intervento di Giovanni che sia implicito un legame indissolubile tra il concetto di legalità e quello di giustizia. La difesa della legalità è la difesa della giustizia e in particolare di giustizia sociale. Anche io condivido questa posizione e credo che sia giusto trarre insegnamento da Gandhi che ha trasgredito la legalità quando questa non era più sintomo di giustizia. La domanda in realtà era un'altra e l'ho pensata anche in relazione a questa serata. Oggi noi siamo qui - giovani e meno giovani - non in una sezione di partito ma in una libreria, ci sono dei circoli culturali che hanno organizzato tutto questo. Anche io faccio parte di una piccola associazione culturale e questa estate abbiamo tra l'altro avuto la possibilità di fare cinema all'aperto nel nostro rione e trasmettere "I cento passi". Mi sembra allora che ci siano delle nuove modalità di aggregazione non solo sociale ma nell'aggregazione politica. Oggi, a differenza che nel passato, c'è un forte distaccamento dalla politica in senso stretto da parte della gente e questo si nota soprattutto dai giovani. Tutto ciò però avviene non per un disinteresse alle questioni della politica e della socialità e della società ma perché forse le forme non sono adeguate oppure non le abbiamo sperimentate come avremmo dovuto fare. La domanda che volevo fare a Giovanni è allora questa: come vedi la possibilità di utilizzare queste nuove forme, un po' come faceva Peppino - prima facevi riferimento al circolo "Musica e cultura" - per ricreare una socialità intorno ai temi della politica?

Quinto intervento pubblico Io vorrei un parere sulla scomodità di Peppino. Tutti i morti per mafia che fossero democristiani - penso ad esempio a Mattarella - sono stati adottati poi dalla sinistra come persone meritevoli che hanno dato la loro vita (e probabilmente è stato così). Non mi è sembrato che sia stato così per Peppino. Sarà forse per la coincidenza con Aldo Moro, però noto che quando si parla dei morti per mafia, difficilmente esce fuori il nome di Peppino Impastato. Era forse una scomodità legata anche alla scomodità di quel periodo di Democrazia Proletaria?. Vi volevo anche ricordare - avete visto la scena finale del film "I cento passi" dove c'erano le bandiere rosse - che quelle bandiere erano sì rosse ma avevano quasi tutte il simbolo di Democrazia Proletaria, perché al funerale di Peppino c'erano soprattutto (e forse soltanto) le bandiere di Democrazia Proletaria (mentre gli altri partiti di sinistra altre erano impegnati contro il terrorismo). Volevo allora chiederti perché - nonostante la cosiddetta "riabilitazione" per cui non era lui il terrorista ma forse era qualcun altro - Peppino Impastato non è ancora entrato nel patrimonio culturale italiano.

Giovanni Impastato In tutti questi anni noi abbiamo lottato per arrivare allo "sdoganamento" di Peppino Impastato (anche se questa parola la trovo volgare e non la vorrei usare). Noi abbiamo tentato in tutti i modi di dare e di consegnare alla storia Peppino Impastato, di consegnarlo a tutte quelle persone che in un certo modo sono animate dal senso della giustizia e della libertà. Oggi anche il mondo cattolico è in parte legato alla storia di Peppino Impastato, perché vede in lui quella parte costitutiva di quella persona che stava in mezzo ai poveri, che aiutava le persone che soffrono e che voleva cambiare un certo tipo di realtà. Anche le nuove generazioni si sono legate alla figura di Peppino perché trovano in lui una figura aperta, che è riuscita - con tutto il suo percorso umano e politico - a coinvolgere non soltanto la sinistra ma anche persone che ne erano al di fuori. E a noi interessava questo perché vedi, noi non potevamo rimanere legati soltanto al nostro ambiente formato da pochi militanti e a pochi addetti ai lavori che fanno parte della sinistra. Oggi noi possiamo dire che Peppino Impastato fa parte della storia, fa parte di un movimento antimafia e questo lo diciamo senza però nascondere che la sua ideologia e che le sue idee erano di un certo tipo. C'è una scena molto bella del film, quando lui si rivolge al suo amico Salvo Vitale e parla della lotta di classe (e per un comunista la lotta di classe è la sacra!). Peppino si esprime in questo modo: "Ma quale lotta di classe? Qui bisogna insegnare alla gente cosa è il paesaggio prima che venga distrutto". In queste parole riesce ad esprimere il vero concetto di bellezza. Io penso allora che Peppino Impastato oggi sia un patrimonio culturale importante che deve appartenere - lo ripeto ancora una volta - a quelle persone che sono animate da senso di giustizia, di legalità e di libertà. È chiaro poi che ciascuno la vede con angolature diverse: a qualcuno può interessare la parte politicizzata di Peppino o quella di comunicatore. C'è il Peppino che organizza i raduni musicali o le feste all'interno del circolo "Musica e cultura". C'è il Peppino impegnato, non solo nell'ambiente sociale ma soprattutto in quello politico. Una figura dunque molto variopinta che però aveva degli obiettivi precisi: la giustizia, la libertà, la legalità e tutto ciò che a questi valori è legato. Noi abbiamo cercato di farlo conoscere sempre con molta coerenza e con molta razionalità, mantenendo molto rispetto per la sua figura. Per quanto riguarda la considerazione che ha la sinistra nei confronti di Peppino, diciamo che ora le cose sono cambiate. La sinistra ha accettato il fatto che Peppino non era quello come veniva dipinto dal vecchio PC, il vecchio partito comunista di allora. Per quanto riguarda invece il legame tra legalità e giustizia io condivido molto la tua considerazione (N.d.r. il Quarto intervento) che in parte è anche la risposta all'intervento precedente (N.d.r. il Terzo intervento) e sono convinto che i metodi che portava avanti Peppino in quel periodo sono tuttora di grande attualità. Sui mezzi di comunicazione in quel periodo che possono incidere positivamente, abbiamo strumenti importanti come il computer e come internet. Questo è un altro mezzo di comunicazione accessibile a tutti dove noi possiamo esprimerci e farci capire. Poi certamente, dobbiamo sempre porci il problema di come fare informazione (un problema che spesso la sinistra non si è posto e per il quale molte volte ne ha pagato le conseguenze). Sono dunque convinto che bisogna lavorare su queste cose, perché - se oggi c'è molta gente che si è disinteressata alla politica - molto si deve anche a questo. Oggi ci sono molte persone che non hanno più fiducia, che purtroppo sono quasi costretti e rassegnati ad andare a votare e a partecipare a determinate cose. Noi dobbiamo riprenderci allora questi spazi, che sono importanti per la nostra crescita umana e culturale. Non dobbiamo delegare tutto agli altri e dobbiamo renderci partecipi di questo processo, anche perché io credo che tutti gli spazi importanti siano oggi occupati da persone che non sono in grado di portare avanti il cambiamento della nostra società. Parlando poi più dettagliatamente del rapporto tra legalità e giustizia, io non posso fare un'analisi precisa perché non ho i mezzi per affrontare il problema giudiziario (ne dovremmo parlare con qualche giurista). Ribadisco però che se nelle leggi non c'è la dignità umana, non c'è il rispetto dell'umanità, il rispetto delle persone più deboli o di quelle che hanno più bisogno, io sarò sempre contro quelle leggi (così come lo è stato Gandhi o così come lo è stato Danilo Dolci, che faceva lo sciopero al contrario). Quando lui vedeva in una strada in Sicilia che non veniva asfaltata, lui disubbidiva: faceva richiesta ai comuni affinchè quella strada venisse asfaltata ma se nessuno gli dava risposta, organizzava una squadra di operai e la andava a risistemare! È stato arrestato diverse volte per questo motivo. Io parlo di questa forma di disubbidienza civile. Non ho parlato di rompere il bancomat o le insegne dei Mc Donald's, assolutamente no (è vero purtroppo che molti considerano la disubbidienza civile cose di questo genere). Io per disubbidienza civile intendo questi esempi. Allora - secondo voi - quando hanno emanato le leggi razziste, erano leggi da rispettare quelle? Luigino Ciotti Volevo dire anche io qualche parola sulla reazione della sinistra riguardo alla vicenda di Peppino. Devo dire che non solo c'è stata una scarsa solidarietà ai suoi funerali ma c'è stato un isolamento in qualsiasi parte d'Italia anche sulle idee che Peppino portava avanti. Settori consistenti della sinistra non solo ti lasciavano isolato ma tendevano a ghettizzarti, ad emarginarti ed esprimevano quello stesso tipo di cultura di chi faceva passare come terrorista. Quindi, la capisco l'amarezza dell'intervento precedente (N.d.r. il Quinto intervento) perché è vero, siamo stati lasciati soli. E questo isolamento è la condizione per farti fuori (e spesso non solo dal gioco politico), in qualche caso si paga anche con la vita. Dico questo per ricordare un po' la storia, perché poi è la storia che parla. Sulla vicenda di Peppino fortunatamente ha parlato la storia, ci sono voluti 24 anni ma alla fine si è giunti alla verità.

Giovanni Impastato Sono anche io amareggiato, ricordo che sull'Unità, Peppino è stato dipinto come un mostro e sbattuto in prima pagina. O meglio, in prima pagina no perché c'era Aldo Moro ma in terza sì. Addirittura l'Unità che parlava dell'attentatore...Sono stati momenti di grande isolamento. Nonostante tutto io ho creduto sempre in una prospettiva completamente diversa e dopo trent'anni ci siamo arrivati, abbiamo costruito un mondo intorno a noi. Anche se in quella realtà - nella realtà di Cinisi - si deve ancora lavorare molto perché la cultura mafiosa continua ad essere dominante e ad alto livello. Sciascia diceva proprio che quando la cultura mafiosa domina ad un livello altissimo, i livelli di civiltà e di democrazia si abbassano sempre di più. Oggi per noi c'è stata una rivincita. Quando la commissione antimafia - il cui presidente era Russo Spena - ha elaborato quella famosa relazione famosa in cui - parlando della vicenda giudiziaria di Peppino Impastato - si dice per la prima volta nella storia della Repubblica Italiana che ci sono stati dei collegamenti tra le istituzioni e la mafia e il Parlamento ha approvato questa relazione, io mi sono sentito per la prima volta le istituzioni vicine.

Perché oggi non si prende esempio da questa relazione che è stata elaborata su Peppino Impastato? Noi abbiamo delle commissioni parlamentari che sono organizzati da farabutti. Un cialtrone come Guzzanti insieme ad un altro farabutto come Scaramella che si permettono di portare avanti dei progetti criminali contro il Presidente del Consiglio! Che coinvolgono addirittura Pecoraro Scanio! Ma possiamo permettere una cosa del genere? Invece di portare avanti queste commissioni parlamentari - pagate profumatamente da noi - perché non istituiscono una commissione parlamentare per quanto riguarda il G8? Perché non andiamo a vedere il motivo perché i poliziotti sono entrati alla scuola Diaz e hanno massacrato dei poveri ragazzi? Noi quanto meno - a livello istituzionale - abbiamo avuto questa grande soddisfazione della commissione parlamentare. Nel dire ciò voglio anche fare un omaggio a mia madre. Quando la commissione antimafia - con tutti i suoi componenti con Russo Spena che era il presidente della commissione Impastato, mentre Lumia era il presidente della commissione antimafia vera e propria - ha preso un aereo militare da Roma per Cinisi (una volta tanto si è preso un aereo militare per una cosa utile!) ed è venuta a casa mia, sono dunque venuti a chiedere scusa da parte dello Stato e a consegnare questa relazione. Il presidente Lumia è venuto in rappresentanza dello Stato e ha chiesto scusa per quello che non era stato fatto e per essere arrivati in ritardo di 24 anni. Consegnano il lavoro parlamentare affermando che purtroppo non si possono arrestare gli assassini a causa della prescrizione. Mia madre - quanto meno - li avrebbe dovti buttare fuori di casa, perché loro rappresentavano lo Stato e lo Stato - all'indomani dell'omicidio - aveva consegnato a quella povera madre un figlio terrorista. Lei invece, con la sua grande onestà, con grande umiltà e con grande coraggio, si esprime in questo modo. "Mi avete fatto risuscitare mio figlio. Io vi ringrazio per quello che avete fatto". Lo Stato comunque è venuto da noi e ci ha chiesto scusa. Perché per Carlo Giuliani, per il G8, per Piazza Fontana, per l'Italicus, una cosa del genere non può avvenire? In un paese civile e democratico queste cose dovrebbero avvenire in pochissimo tempo...

Sesto intervento pubblico Volevo fare una domanda sulla coincidenza della morte di Peppino con quella di Aldo Moro. Non so se sia mai stato preso in considerazione questo legame, io penso che non sia solo un caso. (INCOMPRENSIBILE)

Giovanni Impastato Quello che hai posto è un problema molto serio e io ti posso rispondere sulla base di alcuni importanti atti giudiziari. Questi atti sono venuti fuori dal processo Pecorelli (il processo è avvenuto proprio a Perugia). Da questo processo si è saputo che - quando hanno sequestrato Aldo Moro, il 16 marzo del 1978 (poi è stato ucciso il 9 maggio) - lo Stato - così come ha fatto con Totò Riina - ha tentato una trattativa con le Brigate Rosse. In quel processo è venuto fuori che Andreotti - che prima è stato condannato e poi assolto - ha tentato un aggancio con le Brigate Rosse all'interno del carcere di Cuneo. Non sapevano però come arrivarci perché naturalmente Andreotti non poteva trattare direttamente; ci si doveva arrivare con canali diversi. Andreotti - tramite i Salvo - ha cercato di prendere contatto all'interno del carcere di Cuneo dove era incarcerato un mafioso, Masino Buscetta, che successivamente è stato un pentito. Buscetta era amico di Gaetano Badalamenti, così come lo erano i Salvo: Andreotti - i Salvo, i Salvo - Badalamenti. Badalamenti prende contatto con Buscetta per tentare di salvare Moro ma i brigatisti gli dicono che non era possibile e che avevano deciso di uccidere Moro proprio in questi giorni, tra il 7 e il 9 maggio. Dunque molto probabilmente Badalamenti sapeva - da questo colloquio con Buscetta, tramite Andreotti - che Moro doveva essere ucciso il 9 maggio. Ha allora ucciso Peppino proprio quel giorno in modo tale da farlo passare in secondo piano. Credo che l'unico collegamento che ci sia tra Impastato e Moro sia questo, anche perché alcuni brigatisti che sono stati chiamati in causa nel processo di Palermo - tra cui Curcio e Franceschini - praticamente non hanno saputo dire nulla. Non ci sono altri elementi per pensare che ci sia un collegamento preciso, anche se la scelta del 9 maggio probabilmente è stata fatta per bloccare un po' la reazione del paese per quanto riguarda l'assassinio di Peppino Impastato.

Replica pubblico Sul risvolto politico è lampante la cosa che viene fuori. Il fatto stesso che Peppino passa per un terrorista il giorno dopo la sua morte, la sinistra che accusa Democrazia Proletaria di essere terrorista e poi la morte di Aldo Moro ucciso dai terroristi... tutto questo è sicuramente travolgente dal punto di vista politico. Ecco perché penso che ci sia stato un collegamento.

Giovanni Impastato Io ti posso dire che l'unico collegamento che ho percepito è questo; cosa che comunque è sempre un fatto grave, gravissimo. Significa che Badalamenti già sapeva che le Brigate Rosse avrebbero ucciso Aldo Moro.

Settimo intervento pubblico Io sono Siciliano, in quel periodo ero a Palermo e facevo l'università. Della vicenda di Peppino Impastato, i giornali hanno parlato solo a livello di terrorismo. Di quello che era successo veramente, delle denunce su quello che era successo e su quello che aveva fatto lo Stato, se ne parlava all'Università, solo all'interno delle assemblee universitarie. Confermo quello che è stato detto fino ad ora, che in quel periodo storico del terrorismo in Italia - dominato dal terrorismo - faceva comodo a tutti far passare Peppino come terrorista, legato alla sinistra estrema e a Democrazia Proletaria. I giornali e la stampa facevano passare questa idea e questa faceva comodo anche ai carabinieri e alla polizia che avevano fatto le indagini e avevano coperto tutto (c'era un silenzio totale sulla faccenda).

Giovanni Impastato Volevo ora ritornare sulla domanda personale che mi era stata fatta e in cui mi veniva chiesto quanto io avessi vissuto male all'interno di una famiglia mafiosa. Queste ferite me le porto ancora oggi. Io sono stato malissimo. Sia io che Peppino abbiamo subito preso coscienza di questa cosa. In particolare Peppino incomincia a riflettere e ad aprire gli occhi dopo la morte di nostro zio - Cesare Manzella - ucciso con un'autobomba. Quando poi mio padre è stato ucciso, io dentro di me ho provato una grande liberazione perché è venuta a mancare quella persona che ha cercato in tutti i modi di infondermi il codice comportamentale mafioso. Nello stesso tempo però ho provato un grande dolore perché comunque è venuta a mancare quella persona che mi ha messo al mondo e che - a modo suo - ha cercato di farmi vivere in un certo modo. Io mi sono sempre portato con me questo conflitto interiore ed è una ferita che ancora non sono riuscito a sanare.

Un'altra cosa di cui mi porto dietro le ferite è che purtroppo la cultura mafiosa è profondamente radicata dentro di noi. Quando io ho lotto contro la mafia, è come se lottassi contro me stesso, contro un modo di agire, contro una forma mentis, contro un modo di pensare vero e proprio. Con ciò non voglio dire che io e tutti quelli che la pensano in questo modo, siamo tutti mafiosi o non siamo persone per bene. Siamo tutte persone perbene, però purtroppo la cultura mafiosa l'abbiamo radicata dentro di noi. E noi dobbiamo subire questo trauma, dobbiamo affrontarlo, altrimenti non possiamo andare avanti. La mafia è dunque un problema culturale e il problema è rompere con questo tipo cultura. Iniziative come quelle di questa sera sono sicuramente importanti in questo senso, perchè ci fanno crescere dal punto di vista umano e culturale e ci fanno andare avanti.