presentazione libro
Copertina di Soldatini di piombo 11 maggio 2006

Bastia Umbra

Sala del Consiglio Comunale

"Soldatini di Piombo"

di e con
Giulio Albanese, autore del libro, missionario comboniano e giornalista

introduce:
Luigino Ciotti, presidente circolo primomaggio
trascrizione della serata

Soldatini di piombo

Padre Giulio Albanese è venuto a presentare il suo ultimo libro a Bastia Umbra giovedì 11 maggio, ospite del Circolo culturale primomaggio. Il libro Soldatini di piombo, edito da Feltrinelli racconta una serie di storie incentrate sul dramma dei bambini soldato, principalmente in Uganda e Sierra Leone. Giulio Albanese è un missionario comboniano e un giornalista, ha vissuto a lungo in Africa e nel 1997 ha fondato MISNA (Missionari Service News Agency), l’agenzia di stampa internazionale delle congregazioni missionarie cattoliche. Impegnato da anni a fare informazione dal Sud del mondo è al suo terzo libro, dopo Ibrahim amico mio e Il mondo capovolto. Luigino Ciotti: Padre Giulio, che ringraziamo per essere qui, è venuto a presentare il suo ultimo libro, uscito circa un anno fa, ma per noi è un’occasione per parlare di Africa, degli effetti della globalizzazione e di una serie di questioni che vanno dalla distribuzione delle risorse alla questione dei diritti umani.
Ovviamente il libro offre uno spunto molto interessante per parlare di questo ma richiama l’attenzione su un problema di cui nessuno parla, del fatto che ci sono circa 300 mila bambini soldato nel mondo, di cui 120 mila in Africa e i restanti 180 mila negli altri continenti, in particolare in Asia e in America del Sud. È una cifra assolutamente non nota e negli ultimi anni, dal 2001 ad oggi, i bambini solfato sono stati utilizzati in almeno 21 conflitti nel mondo e, naturalmente, muoiono a migliaia. Di tutto ciò non si parla, eppure noi spesso ci vantiamo, nella nostra società occidentale, di difendere i diritti dei bambini. In realtà, anche nei Paesi occidentali, i protocolli sui diritti dei bambini, come quello ratificato nel 2000 da oltre 190 Paesi, tra cui l’Italia, vengono spesso disattesi, abbassando la soglia di età a partire dalla quale i giovani possono intraprendere la carriera militare ed essere mandati in guerra.
Sono morti oltre due milioni di bambini nel corso di questi anni per le guerre, che è una cifra enorme, ma è un problema di cui nessuno parla, è una pratica di assoluto sfruttamento minorile che ha una serie di conseguenze e ricadute gravi anche dopo l’essere andati in guerra, basti pensare al trauma psicologico che bambini e bambine si portano dietro per tutta la vita, derivante da episodi di violenza, di sfruttamento, di assunzione di droghe, aggravato dal fatto che l’età dei bambini soldato si sta abbassando notevolmente. Il libro inizia con una di dedica "a tutti coloro, credenti e non credenti, che si battono per un mondo migliore, contro ogni forma di violenza". È quello che anche noi, come circolo culturale, cerchiamo di fare con l’insieme di iniziative messe in piedi nel corso degli anni. E subito dopo cita una frase di Desmond Tuto, Premio Nobel per la Pace: "È immorale che gli adulti vogliano fare combattere i bambini al loro posto, non ci sono scuse né motivi accettabili per armare i bambini".
Do la parola a Padre Giulio Albanese.

Giulio Albanese: Vi ringrazio perché mi offrite la possibilità di parlare di temi che mi stanno veramente tanto a cuore. Mi viene in mente quella pellicola di Stanley Kramer "viviamo davvero in un pazzo pazzo pazzo mondo", basta accendere la televisione, ascoltare la radio, sfogliare i giornali e ti viene voglia di gettare la spugna perché purtroppo ci sono davvero ingiustizie, sopraffazioni, da mattina a sera e non solo sotto il cielo africano ma anche a casa nostra, nella vecchia Europa.
È importante coltivare questa voglia istintiva di conoscere, perché credo che sia il primo modo per vivere la dimensione della solidarietà, io dico sempre che l’informazione è la prima forma di solidarietà.
Non possiamo semplicemente versare lacrime di coccodrillo di fronte all’infanzia abbandonata e se non abbiamo il coraggio di coniugare la solidarietà con l’informazione non facciamo altro che legittimare questo sistema iniquo, di cui siamo noi stessi parte, in quanto tutti impegnati si in associazioni e nella società civile, ma pur sempre consumatori. Non dobbiamo fare come gli struzzi che mettono la testa sotto la sabbia, qualcuno vorrebbe che rinunciassimo al pensiero, alla riflessione, viviamo sotto un bombardamento mediatico da mattina a sera, ci costringono a vedere i reality show, una delle cose più aberranti di questo mondo, fatti apposta per azzerare il cervello della gente e poi uno va a votare .. ma non ci rendiamo conto che c’è qualcuno che vorrebbe che non riflettessimo, che non pensassimo, che non uscissimo almeno idealmente fuori le mura del Belpaese. Noi viviamo in un mondo dove le informazioni schizzano via alla velocità della luce, ma poi non sappiamo niente di quello che succede non solo nel sud del mondo, ma neanche a casa nostra, perché, lo dico come missionario e come giornalista, oggi l’informazione è in crisi, siamo al capezzale di un malato che è in sala di rianimazione e la prognosi non è stata sciolta.
Sappiamo poco o niente e proprio per questo sono importanti questo tipo di iniziative che organizzate come circolo primomaggio.

Il tema dei bambini soldato è una delle tante tragedie dimenticate e lasciate volutamente nel cassetto. In questi anni ho girato l’Africa in lungo e in largo, da meridione a settentrione, e di teatri di guerra ne ho visti davvero tanti. Ultimamente, soprattutto nell’Africa Sub Sahariana, abbiamo registrato una diminuzione dei conflitti e questa è una buona notizia.
Secondo la "Freedom House" , un’organizzazione non governativa che ogni anno stila la classifica delle democrazie, nel 2005 ci sono state tre nuove democrazie nel mondo e tutte africane, Liberia, Repubblica Centrafricana e Burundi. L’anno scorso è stato siglato l’accordo in Sudan, che ha messo fine ad una delle più lunghe guerre africane, con oltre due milioni di morti. La lista delle guerre dimenticate è davvero lunga, ma nei piani editoriali queste non rappresentano una priorità. In Africa ci sono ancora scenari aperti, in nord Uganda, nel Darfhur, in Somalia, dove solo a Mogadiscio sono morte nei giorni scorsi 150 persone. Vi sono alcuni Paesi dove la tensione è alta, come la Costa d’Avorio e altri dove invece il processo di pacificazione si sta consolidando ..ora in questi Paesi africani ho incontrato tanti bambini soldato.
I Paesi dove ho toccato con mano questa tragedia sono Sierra Leone e Uganda.
Premetto che in Sierra Leone la guerra è finita 5 anni fa, ma in Uganda la guerra continua dalla fine degli anni ’80. Il bilancio di vittime per l’Uganda è alto, si parla di circa 150 mila morti in un fazzoletto di terra che ha le dimensioni di Piemonte e Lombardia messe insieme, dal 1994 nel nord Uganda sono stati sequestrati circa 25 mila bambini.
Che cosa hanno in comune queste due guerre?
In questi due Paesi ho incontrato formazioni di ribelli composte prevalentemente da bambini, circa il 98% delle reclute erano minori. In Sierra Leone i bambini erano all’interno di un gruppo ribelle denominato RUF (fronte unito rivoluzionario), ma anche all’interno di formazioni minori, anche di tipo filo-governativo.
In Uganda il gruppo che più si è nutrito di bambini è l’Esercito di resistenza del Signore. Le tecniche di reclutamento sono le stesse: i bambini vengono sequestrati nei villaggi, assistono all’uccisione dei loro genitori e dei loro parenti e vengono catturati e sottoposti ad un vero e proprio indottrinamento.
I bambini vengono anche drogati, con jamba, una droga locale, e con cocaina; gli viene fatto bere latte e polvere da sparo, per innescare meccanismi di suggestione e diventato delle feroci macchine belliche.
Nel caso dell’Esercito di resistenza del Signore i bambini combattono sotto l’effetto di un’ipnosi collettiva, cosa che ho visto personalmente essendo anche stato sequestrato con alcuni miei colleghi. Quando parli con loro ti sembrano degli automi e ti fanno davvero paura perché ti rendi conto che sono imprevedibili, che potrebbero tirare fuori la loro pistola, spesso Beretta e spararti. Quante armi italiane finiscono da quelle parti!

Ricordo che la prima volta che incontrai i ribelli del RUF, il 12 marzo del ’99, lo feci insieme ad un bravissimo vescovo, missionario Mons. Giorgio Biguzzi, e un collega giornalista della Rai, Silvestro Montanaro. Riprendemmo delle immagini davvero ad effetto che qualche mese dopo andarono in onda nella trasmissione di Rai Tre "C’era una volta", uno di quei documentari che inizialmente andava in onda in prima serata e poi adesso è finito in quarta!
Quando incontrammo i ribelli del RUF ricordo che uscirono fuori dall’erba improvvisamente e ci ritrovammo circondati in un batter d’occhio da centinaia di bambini armati. Eravamo spaventati, ci accompagnava un generale indiano delle Nazioni Unite, il quale ci tranquillizzò e ci disse di provare a dialogare con loro. Alla fine vennero fuori quattro o cinque capi, tra cui uno dei leader storici del movimento, un certo Mosquito. Ricordo che mi si avvicinò un ragazzo con i capelli alla Bob Marley, mi puntò il fucile in pancia e mi chiese dei soldi, era ricoperto di bombe a mano, di granate che sembrava un albero di Natale. Gli chiesi come si chiamava, mi rispose con un nome che nella lingua locale significava "io ammazzo senza spargere sangue", gli risposi: piacere Padre Giulio! Non sapevo che dirgli. Poi mi accorsi che aveva appeso al collo una grande croce d’oro, di quelle che portano i Vescovi e infatti l’aveva fregata all’arcivescovo di Freetown Mons. Ganda. Gli chiesi di restituirla al vescovo ma lui mi rispose che non poteva perché era un amuleto che lo difendeva dalle pallottole.
Nel momento di salutarmi mi disse: "senti, te lo posso chiedere un regalo? Potrei venire con te? Mi piacerebbe tanto tornare a scuola!" Una battuta che mi fece capire che per quanto gli adulti fossero scellerati, questa umanità e questa voglia di vivere era rimasta come una fiammella che continuava ad ardere e per me fu un messaggio di speranza.

I bambini vengono arruolati essenzialmente per tre motivi.
La prima ragione è perché sono ubbidienti, puoi manipolarli, sottoporli al lavaggio del cervello. La seconda ragione è che non costano niente, basta dar loro una manciata di riso e si accontentano, ma la terza ragione è che gli adulti la guerra non la vogliono fare. La stragrande maggioranza delle popolazioni che abitano in quelle che noi solitamente consideriamo zone di conflitto non condividono assolutamente i progetti politici violenti, demenziali dei cosiddetti war lords, dei signori della guerra. Non è solo la società civile ma proprio la gente semplice a non volerne sapere di soluzioni violente.
Una delle ragioni di questa mia inchiesta è proprio qui, mi sono chiesto tante volte come mai i bambini vengono utilizzati, che cosa c’è dietro, quali logiche perverse?
Una delle ragioni risiede nelle immense risorse minerarie, ci sono dei Paesi, come l’Uganda, che sono miniere a cielo aperto. In Congo, in circa 5 anni, sono morte almeno tre milioni e mezzo di persone. Avete mai sentito niente sui nostri telegiornali?
Lì si combatte perché ci sono oro, diamanti, rutilio, il materiale che serve per i nostri telefonini. Per non parlare del niobio, il miglior super conduttore al mondo, un grammo costa 17 $, cioè al chilo 17 mila $, più del platino, serve anche per assemblare i satelliti. Di giacimenti di niobio ce ne sono due, uno in Perù e l’altro nel Congo. I signori della guerra fanno nascere questi movimenti ribelli e con l’aiuto dei mercenari si mettono in contatto con le principali compagnie di sfruttamento di queste risorse. Tra i mercenari troviamo anche molti italiani, ex componenti dell’esercito, che reclutano i bambini. Il business condiziona la realtà di questo continente.
Non si tratta, come qualcuno mi dice, di essere afro-pessimista, ma io credo che dobbiamo essere afro-realisti, perché è importante che venga infranta quella cortina di omertà che ci impedisce un confronto con quelle che sono le reali problematiche di questo continente.

Come fa l’Africa a sbarcare il lunario? C’è l’economia informale, vi sono molti studi fatti da autorevoli economisti, penso soprattutto ad Albert Tevoedjiré, uno dei più grandi intellettuali dell’Africa post coloniale, che ha scritto un libro molto bello negli anni ’70 La povertà ricchezza dei popoli, un libro pubblicato in Italia dall’EMI, l’editrice missionaria italiana, che vi inviterei a rileggere. Se fossimo stati alle previsioni del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale l’Africa sarebbe dovuta sparire, completamente, invece l’Africa c’è ancora ed ha grandi ricchezze, soprattutto i popoli che la abitano, persone che hanno tradizioni molto forti e culture distanti dalle nostre, che noi occidentali facciamo fatica a decifrare.
D’altro canto il nostro approccio è ancora infarcito di colonialismo; noi continuiamo a parlare delle lingue africane come di dialetti, ma il luganda è parlato da 7 milioni di ugandesi, è un dialetto? Quando ho provato a studiarlo mi sono accorto che c’erano cinque coniugazioni e sette declinazioni .. ma di esempi potremmo portarne altri. Pensate alla terminologia che noi solitamente utilizziamo quando parliamo dei gruppi etnici africani, sono tribù .. perché i Baganda che sono 7 milioni sono una tribù e gli svizzeri che sono 3 milioni e mezzo sono un popolo, una nazione. Ma ci rendiamo conto?
Dopotutto il Congresso di Berlino è una nostra invenzione, siamo stati noi a tagliare a fette l’Africa, allora una sana autocritica non credo che guasti!
Dobbiamo proporre un approccio un po’ diverso .. c’è un altro libro che ho scritto alcuni anni fa Il mondo capovolto, ecco io credo dovremmo avere questo tipo di approccio, perché che se ne dica le nostre categorie di riferimento sono quelle che abbiamo imparato sui banchi di scuola! Prima di entrare nella mia congregazione ero ufficiale di marina, sono stato in accademia, poi uno dei personaggi che è venuto qui a trovarvi qualche tempo fa .. un certo Alex (si riferisce a Padre Alex Zanotelli) mi ha incastrato nel nome del Buon Dio, a me e alla mia compagna che è finita nelle suore di Madre Teresa di Calcutta!
Il mondo capovolto significa davvero tentare di stravolgere il nostro approccio paternalista!
Io porto sempre l’esempio della cartina di Peters, uno storico che ci ha permesso di andare al di là della mappa tradizionale che noi continuiamo ad utilizzare nelle nostre scuole appesa al muro che è la proiezione di Mercatore. La carta di Peters è ortomorfica, cioè deforma i continenti ma mantiene il rapporto di superficie tra i continenti e ci aiuta a capire il vero rapporto che c’è tra la superficie dell’Africa e quella dell’Europa! E ci accorgiamo di quanto l’Africa sia enorme!
Prendendo l’aereo a Lisbona per Maputo, la capitale del Mozambico, il pilota, che era anche mio amico, mi disse che avevamo più di 11 ore di volo … se guardiamo la cartina di Mercatore non ci possiamo rendere conto che la distanza tra Lisbona e Maputo è uguale alla distanza che c’è tra Lisbona e Tokio!
Tutto questo significa che il nostro approccio è etno-centrico, le nostre coordinate sono etno-centriche, non solo per l’Africa … spesso parliamo di estremo oriente, ma voi andate da un giapponese a dirgli: tu sei dell’estremo oriente … ma quello ti guarda e ti dice: sarai tu in estremo occidente!! Questo modo di ragionare fa si che noi siamo sempre al centro! Quando poi vai in Africa, nel Sud del mondo, ti rendi conto che noi non siamo al centro, e lo dico senza voler sminuire i nostri valori, quelli di un Paese che ha dato molto all’umanità, ma in cui non c’è sufficiente conoscenza delle diverse realtà.
Quando parliamo di una guerra in Africa, spesso si dice che c’è una guerra a sfondo etnico, ma la guerra tra hutu e tutsi, il genocidio del Ruanda, non la possiamo definire in questo modo perché parliamo di popoli che hanno la stessa lingua da tanti secoli … allora si capisce che c’è stata una manipolazione da parte delle potenze coloniali, prima tedeschi e poi belgi e che le cose non stanno proprio così come ce le raccontano! Purtroppo oggi l’approccio tende sempre alla banalizzazione e questo certamente non giova.
Allora voi direte: che cosa dobbiamo fare?
Due cose importanti: l’informazione, con l’impegno di documentarci di più, dato che oggi abbiamo anche molti strumenti a disposizione. Ci sono delle riviste come l’Internazionale che è una bella rassegna su ciò che la stampa straniera dice del mondo e anche dell’Italia, una finestra aperta sul mondo, e poi c’è Limes e testate come Liberazione, Il Manifesto, Avvenire, l’Osservatore Romano che considerano ancora la pagina esteri rilevante! Quella dell’Osservatore Romano è una delle pagine estere fatte meglio, in cui trovate notizie che assolutamente non trovate su nessun altro quotidiano. Quindi se uno cerca, se ha voglia di conoscere, i mezzi ci sono.
L’importante che ci sia questo desiderio, dico questo perché in Italia si legge poco o niente, è inutile che parliamo dei bambini-soldato, dell’AIDS, della lotta alla povertà … sapete in Italia qual’è il giornale più letto? La Gazzetta dello Sport edizione del lunedì e il settimanale più letto è TV Sorrisi e Canzoni. Ora io dico non è peccato mortale leggere questa roba, ma se uno legge solo questo .. ecco questi sono i peccati che andrebbero confessati ad alta voce, che per me sono più orribili di tanti altri peccatucci che snoccioliamo … per chi si confessa naturalmente!
L’informazione accanto ad un discordo di educazione alla mondialità, per capire e comprendere che il mondo è più grande del nostro piccolo paese e della nostra stessa vecchia Europa, capire che viviamo in un villaggio globale e che dobbiamo fare i conti anche con la contaminazione. Spesso ci poniamo in un atteggiamento difensivo di fronte a tante altre culture, ma è inevitabile che ci sia contaminazione e l’incontro può diventare scontro, certo, ma uno deve accettare la sfida!
Ecco perché è importante promuovere incontri, dibattiti, conoscenze, perchè questo ci aiuta a capire e comprendere il comune denominatore di tante questioni di cui avremmo potuto parlare, la desertificazione, l’urbanizzazione in Africa, la lotta all’AIDS, ecc, che è l’ingiustizia, e nessuno di noi può dire io non c’entro!
Nell’ipotesi che in questo momento avessi una bacchetta magica e con una sorta di incantesimo sollevassi il tenore di vita delle popolazioni dell’Africa Sub-Sahariana portandolo ai nostri stessi livelli europei, sapete che cosa succederebbe nel mondo? Non ci sarebbe più ossigeno, non ci sarebbe più acqua, non ci sarebbero più foreste … la verità è che noi consumiamo troppo, bruciamo troppo senza rendercene conto. Allora io credo che sia importante anche mettere in discussione il nostro modus vivendi, i propri stili di vita.

Luigino Ciotti: Ci diceva il nostro comune amico Touadì che abbiamo fatto venire qui a parlare dell’Africa dimenticata a gennaio dello scorso anno, che domani è a Udine a presentare la rivista Limes che è tutta dedicata all’Africa e che vi invito a comperare per approfondire questo discorso e vi ricordo che il prossimo anno, a gennaio 2006, ci sarà il prossimo Forum Sociale Mondiale a Nairobi in Kenia dal 20 al 25 gennaio e che il Coordinamento Nazionale Enti Locali per la Pace e la Tavola della Pace stanno cercando di organizzare la delegazione italiana. Credo che sia un’esperienza utile per conoscere di più l’Africa sia per parlare dei problemi più complessivi che la riguardano. Padre Giulio non ha parlato solo dei bambini soldato, è andato ben oltre … per questo vi invito a fare delle domande.



Robert De Graff: Nel 1989/90, non mi ricordo esattamente, sono andato in Africa per la prima volta, in Sierra Leone. Andai a fare un’indagine per Amnesty International sullo stato dei diritti umani e mi ricordo che erano i giorni in cui fu liberato Mandela, c’era una grande festa e tutti parlavano di diritti umani proprio per il fatto che era stato liberato il grande Nelson Mandela e niente faceva presagire che lì a poco tutto sarebbe cambiato.
Io mi sono chiesto tante volte che cosa è successo in un Paese che stava imboccando la strada dell’abolizione della tortura, della pena di morte, che aveva commissioni parlamentari per indagare sulla corruzione, che sembrava la Svizzera dell’Africa, che era un paese ricco .. cinque anni dopo era tutto finito! Io mi sono chiesto ma come è potuto succedere? Non era possibile capire che sotto queste belle notizie c’era qualcosa che covava?

Giulio Albanese: Purtroppo guardando soprattutto all’Africa tante volte noi sottovalutiamo quello che ha rappresentato per questo continente il crollo del muro di Berlino. È un aspetto che viene solitamente sottaciuto. L’Africa ha sofferto sotto la guerra fredda, era divisa .. ma con il crollo del muro questo continente è diventato davvero terra di conquista! La cosa incredibile è che sono saltate le alleanze, se prima il governo di Maputo era sotto l’influenza di quella che chiamiamo l’ex Unione Sovietica e il Kenia sotto quella statunitense, saltando tutti questi meccanismi oggi succede che un paese come l’Angola, dove vi era una tradizione marxista-leninista, oggi sono i più grandi alleati degli Stati Uniti! Purtroppo gli appetiti con la fine della guerra fredda in Africa sono cresciuti.
Basta pensare al business dei diamanti e del rutilio! La Sierra Leone è stata, come altri Paesi dell’Africa occidentale, soprattutto vittima della massoneria. C’è un tema di cui non si parla mai per il Sud del mondo, quello della massoneria! Voi non potete immaginare i drammi e le tragedie che ha fatto la massoneria in Africa, noi parliamo della P2, ma in Africa altro che P2!
In Sierra Leone ci sono tre massonerie: la prima è quella degli ex schiavi, quelli che erano stati portati in catena negli Stati Uniti e poi ritornati in Africa, nella "terra dei liberi", Freetown, che in America avevano conosciuto tante cose tra cui la massoneria ( che è uno degli elementi fondanti degli Stati Uniti, c’è scritto pure sul dollaro, c’è la piramide … Franklin era massone, Jefferson era massone, Bush? Potrei raccontarvi molto su Bush, voi sapete chi è stato il più grosso finanziatore di Adolf Hitler durante la seconda guerra mondiale? Il papà di John Kennedy e il nonno di J.W. Bush, è tutta roba che è stata pubblicata! Ma chiudiamo qui!). La tragedia è che i massoni, i crio, rientrati in patria hanno creato i templi massonici, se andate a FreeTown, a Monrovia, trovate i templi massonici. Poi c’è la massoneria autoctona, le società segrete che però sono entrate in sinergia con la massoneria crio, e poi c’è la massoneria occidentale, quella inglese, quella italiana, quella francese, che naturalmente era legata al traffico di armi e di diamanti. Tutte queste triangolazioni hanno fatto si che si determinasse una lobby trasversale, da una parte c’erano i governativi e dall’altra i ribelli, ma la massoneria era trasversale a tutte e due queste componenti. Io nel libro lo accenno, perché c’è la testimonianza di un signore che ho intervistato, una bravissima persona che ha sofferto molto nei campi profughi e che è stato il primo a rivelarmi questi retroscena, questi sono argomenti che andrebbero approfonditi e invece non se n’è mai parlato. La responsabilità del Regno Unito, dei francesi, degli americani e della comunità internazionale in Sierra Leone, ma anche in Liberia, sono indicibili.
Noi abbiamo parlato di diamanti, per la Liberia dovremmo parlare delle traversine. Avete mai sentito parlare delle traversine? Voi sapete che in Italia c’è tanto legname della Liberia? I nostri treni passano su quelle traversine di legno, legno proveniente dalla Liberia, che viene importato, se non vedo errato, ancora oggi dal Console liberiano che credo sia italiano che sta a Genova, c’è tutto un business, ci sono tanti intrecci, perché c’è tanto da rubare, da rapinare!
E dico davvero l’Africa è sottoposta ad una grande rapina, le materie prime sono pagate quattro soldi. Prima vi accennavo la questione del niobio, ma voi sapete quanto danno a quel poveraccio che sta lì nella miniera a cielo aperto a scavare? Nella migliore delle ipotesi sono tre euro a settimana, quindi meno di un euro al giorno! Poi noi parliamo di derrate alimentari, aiuti, campagne! La disinformazione regna suprema, ci sono tante questioni che dovremmo affrontare quando si parla di Africa. C’è la questione della cancellazione del debito estero, che è una spada di Damocle sulla testa di questi paesi. Ci sono paesi africani, come il Mozambico, la Nigeria, che il debito l’hanno già restituito tre, quattro, cinque volte! Ma siccome il meccanismo è iniquo, questi devono continuare sempre e comunque a pagare. Anche qui la disinformazione regna suprema. Ricorderete che l’anno scorso sui giornali era uscita la notizia a titoloni "cancellato il debito dell’Africa". Questa era la decisione presa dai grandi della Terra in Scozia: una balla macroscopica perché questi hanno cancellato a una quota di 16 paesi, di cui 12 africani, il debito contratto con alcune istituzioni multilaterali che sono Fondo Monetario Internazionale, Banca mondiale e Banca Africana dello Sviluppo, che è quello più insignificante! Il vero debito che pesa come una spada di Damocle su tutta l’economia africana è quello con gli istituti finanziari privati, con le banche, gente che andrebbe giudicata da un tribunale penale internazionale. Io mi chiedo con che faccia andiamo a parlare di esportare la democrazia se poi permettiamo che vi sia questo scempio? E qui non si tratta di essere cattocomunista o cattiamericani, ma di avere buonsenso. Parlavo recentemente con un mio caro amico algerino, che lavora al Ministero degli Esteri di Algeri il quale mi diceva che in questi tre o quattro anni hanno fatto una politica di austerity, decidendo di accelerare le procedure di restituzione del debito. Da Washington hanno subito risposto "slow down", riduci la velocità, dovete rispettare la tabella di marcia! Altrimenti non aumentano gli interessi! E poi parliamo di democrazia! Ma ci rendiamo conto di quanto siamo dementi!
Ora è chiaro che la questione del debito estero è solo uno dei problemi che assillano l’Africa.
Un altro è la mancanza delle regole, non è la globalizzazione, ma la deregulation! Questo è un mondo senza regole, o meglio le regole ci sono, ma come diceva Giolitti "le leggi si applicano con i nemici, si interpretano con gli amici". È quello che fa Bush, la legge la imponi con i nemici e poi con gli amici la interpreti, stranamente il Pakistan che ha la bomba atomica non crea problemi!
Una deregulation anche di tipo economico: il protezionismo fa disastri in Africa, i contadini africani non riescono a vendere i loro prodotti sui nostri mercati … anche se non possiamo mettere tutti i Paesi sullo stesso piano. La Francia, per quanto riguarda il protezionismo è la prima della classe! Ma questo discorso ci porterebbe molto molto lontano!
L’africa per essere aiutata ha bisogno di regole, di un ordinamento che sia rispettoso dell’economie dei singoli stati.

Un bambino dal pubblico chiede a Padre Albanese perché non aveva portato via con lui quel bambino soldato che aveva incontrato …

Giulio Albanese: Grazie per questa domanda! L’ho incontrato nuovamente a Freetown un anno e mezzo fa.
Io non l’ho portato con me perché quando l’ho incontrato c’era ancora la guerra e figurati se il suo comandante me l’avrebbe regalato! Nessuno dei combattenti poteva in quel momento lasciare il movimento del ruf. Ma il destinato ha voluto che a Freetown ricontrassi sia kimansinobla, che adesso fa l’autista e si è salvato anche se non è riuscito a tornare a scuola perché la sua era una famiglia veramente povera, il padre fu ucciso, la madre era sola ecc.., ma anche Caporal aiwei, che ha una storia davvero toccante.
Questo bamboccetto, che avevamo incontrato nel bush, era riuscito a scappare dai ribelli e si era consegnato alle trupin ape dell’ECOMOG, della forza di interposizione dei paesi dell’Africa Occidentale, composta prevalentemente da soldati nigeriani. Io cominciai a intervistarlo e aveva tutte le braccia coperte di tatuaggi, erano tante crocette … gli chiesi che cosa significavano e lui mi disse che erano tutti i soldati che aveva ucciso! L’ho rivisto a Freetown in un centro gestito dai salesiani, ha iniziato l’università, non ha un computer ma a Freetown ha trovato un internet caffè ed ha un indirizzo di posta elettronica tramite il quale ci sentiamo ogni settimana ed è interessante il fatto che sia riuscito a superare positivamente le sue precedenti esperienze ma è anche stato molto fortunato perché ha avuto la possibilità di tornare a scuola. Il grande problema è che la maggior parte dei ragazzi, terminata la guerra, il fatto che siano stati firmati accordi di pace non significa che sia scoppiata la pace. La Sierra Leone fino all’anno scorso era il fanalino di coda nella classifica dei Paesi UNDP da punto di vista dello sviluppo e quindi capite che i ragazzi fanno fatica a sbarcare il lunario e se non trovano un lavoro vengono risucchiati dalla malavita organizzata e le ragazze sono costrette a prostituirsi … perché è l’unico modo per mangiare un boccone!
Il fatto che sia finita la guerra non significa che sia scoppiata la pace.
Lo stesso vale per l’Angola, un paese meraviglioso, che ha sofferto pene indicibili con la guerra civile combattuta prima per i diamanti e poi quando ci si è resi conto che il business dei diamanti non rendeva più allora si è fatta la pace. L’Angola è stato uno dei primi paesi africani in cui si è combattuto volutamente per il controllo dei giacimenti di diamanti, poi quando ci si è resi conto che c’era un altro business molto più conveniente che era quello del petrolio, allora si è fatta la pace, perché politicamente in quel momento serviva la pace, per poter avviare i lavori di sfruttamento di questo immenso bacino petrolifero. Nel 2002 si sono resi conto che il bacino petrolifero dell’Angola è tre-quattro volte quello che era stato stimato nell’1989. Tra l’altro il petrolio che c’è in Angola è tutto di qualità light, a basso tenore di zolfo, cioè adatto alla produzione della nostra benzina ecologica. In Angola sembra che sia scoppiata la pace perché ormai da quattro/cinque anni non c’è più questa guerra tra il governo di Luanda e l’UNITA di Savimbi, però la guerra continua perché la gente continua a saltare sulle mine .. è il paese in Africa con il più alto numero di mine antiuomo seminate sottoterra, 14 milioni di mine antiuomo su una popolazione di 10 milioni e mezzo di persone. Ogni giorno saltano come birilli un centinaio di persone e nessuno dice niente. Noi avevamo il primato con la Valsella di Castenedolo, lo dico perchè me le portavano in missione queste ciambelle! Per fortuna devo dire che non le facciamo più, la FIAT aveva tentato di trasferire questo business a Singapore, ma visto che anche Singapore ha aderito al Trattato di Ottawa, non si fanno più. Però ce ne sono ancora molte in circolazione in Africa!

Donna del pubblico: Lei ha individuato nella mancanza di informazione una grave carenza e non pensa che la Chiesa debba fare questa informazione, debba modificare la scala dei peccati e uscire fuori dalla cosiddetta "carità pelosa"?

Giulio Albanese: Sicuramente la carità pelosa è presente anche nelle Chiese cristiane. Da un punto di vista evangelico le dico che dobbiamo convertirci tutti al nostro Signore Gesù Cristo.
La verità qual è? È che all’interno della Chiesa vi sono varie componenti, sto parlando in particolare dell’Africa Subsahariana, anzi vi sono sostanzialmente due filoni: uno molto tradizionale che ha un approccio paternalistico, ed è quello più diffuso, ma ce n’è uno più impegnato sulla formazione della società civile, parliamo di piccoli gruppi, che svolgono un ruolo innovativo ma che non è stato ancora sufficientemente recepito. Purtroppo succede che quando ti presenti alla gente come benefattore, nel momento in cui tu inneschi questo meccanismo culturale, tentare di cambiare approccio diventa molto difficile, non so se riesco a spiegarmi, noi abbiamo una grande responsabilità che è quella di aver fomentato la dipendenza innescando questi meccanismi psicologici che genera una vera e propria schiavitù culturale a tutti gli effetti.
Per quanto riguarda la nostra Chiesa, italiana ed europea, io ho la sensazione che siamo molto distanti ancora, ci manca una vera coscienza di cooperazione missionaria, noi intendiamo il rapporto con le Chiese sorelle sempre secondo la logica del ricco epulone, mandare missionari, mandare offerte, non siamo sufficientemente liberi per porci in un atteggiamento diverso. L’Africa ci può anche dare molto, la missione non è solo dare, ma anche ricevere! Siamo ancora in alto mare da questo punto di vista! Ci manca, lo ripeto, l’educazione alla mondialità.
Qui non si tratta solo di fare la denuncia, non si tratta semplicemente di essere picconatori, ma anche di essere propositivi, un approccio diverso, perché non ci si può limitare alla denuncia. Cioè io vedo anche nel mondo missionario una grande ingenuità. Quando tu presenti la questione della globalizzazione e poi dici che l’antidoto è il commercio equo e solidale, facciamo ridere i polli!
Anche io credo nel commercio equo, anche per finalità educative, ma io non posso pensare che l’economia mondiale si regga sul commercio equo e solidale, altrimenti sono davvero un imbecille! A mio avviso sarebbe necessaria a livello di società civile, di Chiese, una riflessione non solo sociale, economica, ma anche teologica sull’economia, e da questo punto di vista siamo ancora in alto mare. Vi erano stati dei momenti, negli anni ’80, in cui sembrava che questo tipo di riflessione si stesse avviando, subito dopo la pubblicazione di un’enciclica che a me piacque tanto, di Giovanni Paolo II "Sollicitudo Rei Socialis" che devo dire, prima ancora che crollasse il muro, aveva prefigurato il rapporto nord-sud, però poi siamo stati risucchiati dal sistema.