presentazione libro
Dal Ruanda al Darfur 14 gennaio 2005

Bastia Umbra

Sala del Consiglio Comunale

"Dal Ruanda al Darfur - l'Africa dimenticata"

con
Jean Leonard Touadi, giornalista e saggista e autore del libro,
introduce: Luigino Ciotti, presidente circolo primomaggio
trascrizione della serata

Dal Ruanda al Darfur - l'Africa dimenticata

Luigino Ciotti: Buonasera a tutti. Questa sera abbiamo portato qui da noi Jean Leonard Touadi - giornalista della Rai - per parlare di una guerra dal tragico bilancio di sangue, quella del Darfur, e più in generale dei grandi problemi dimenticati che attanagliano il continente africano. Problemi che sono veramente drammatici. Pensiamo ad esempio alla questione dell'Aids: nel mondo ci sono circa 40 milioni di malati di Aids e 28 milioni e mezzo sono nella sola Africa. In Sudafrica muoiono per Aids 600 persone al giorno, una cifra enorme. All'Aids si aggiunge poi tutta una serie di grave problematiche, come quello del debito estero. Per fare un esempio, la Tanzania ha un debito estero da ripagare che è nove volte superiore a quello che spende per l'istruzione. È emblematico. Che futuro ha l'Africa di fronte a tutto questo, che cosa prospetta ai giovani? Kizerbo, uno storico del Burkina Faso - che è anche amico di Jean Leonard - dice che i giovani rischiano, rispetto alla storia dell'Africa, di trovarsi di fronte ad un passato muto, ad un presente cieco ed ad un futuro sordo. Queste sono le prospettive dell'Africa. Un continente dove il prodotto interno lordo negli ultimi dieci anni è diminuito del 24%; in una situazione in cui il rapporto tra il quinto dei paesi ricchi del mondo rispetto al quinto dei paesi più poveri si è fortemente sbilanciato, da 30 a 1 degli anni Sessanta ad oltre 80 a 1 dei giorni nostri, tanto per dare degli elementi di valutazione. Un continente dove ancora esiste la schiavitù, dove esistono decine di migliaia di bambini soldato, dove in molte zone c'è il drammatico problema dell'acqua e dove migliaia di persone muoiono a causa della fame o dei suoi degli effetti collaterali. Queste sono alcune delle questioni che abbiamo all'interno dell'Africa. Anche se la situazione varia ovviamente da paese a paese, complessivamente le logiche sono simili dappertutto. Un continente dalle innumerevoli zone di guerra dimenticate: la Costa d'Avorio, la Sierra Leone, l'Eritrea, il Sudan, tutta la questione dei grandi laghi, le precedenti esperienze dell' Angola e del Mozambico, tanto per fare degli esempi: zone dove si muore con quelle bombe che spesso fabbrichiamo noi. Tanto per darvi un'unità di misura, quest'anno nel mondo si sono spesi 957 miliardi di dollari solo per le armi - quando poi, con 14 miliardi di dollari annui, si può dare risposta al problema della fame - e di questi 957 miliardi, 416 sono stati spesi dagli Stati Uniti d'America. L' ONU si era presa la responsabilità - i cosiddetti "impegni del millennio" - di agire soprattutto rispetto a tre grandi questioni: ridurre di due terzi la mortalità infantile, cercare di eliminare l'analfabetismo e il risolvere problema dell'acqua potabile. In Occidente si diceva che bastava lo 0,7 % del prodotto interno lordo per eliminare, nel giro di pochi anni, queste problematiche ed erano stati presi degli impegni precisi. Ma questi impegni non sono stati assolutamente rispettati, tranne che in qualche caso, come nei paesi del Nord Europa: gli Stati Uniti d'America però, rispetto alle cifre che spende per le armi, dà solo lo 0,14 %, una percentuale quindi nettamente insufficiente inferiore rispetto a quel 0,7% di cui si parlava (che è stata ritenuta fin da subito una cifra molto bassa, tanto è vero che si pensava di raddoppiarla). Questi sono i dati in cui ci troviamo di fronte oggi.

E rispetto a queste grandi tragedie, che cosa si fa? Pensiamo a questa questione del maremoto, lo tzunami che ha colpito i paesi dell' est asiatico: la quantità di risorse che è destinata alla cooperazione rischia di essere spostata e di finire tutta lì. Quando succede un'emergenza, tutto viene rigirato su di essa e si trascurano i problemi che già esistono. Questo tzunami quotidiano - che sono la morte per fame e per malattie, il fatto che in Africa si muore per partorire o per le cose più stupide (come la diarrea o le polmoniti o perché non ci sono i medicinali o non si ha la possibilità di comprarli, non ci sono i medici, non ci sono le strutture ospedaliere), che non si investe nella sanità così come non si investe nell'istruzione perchè spesso ci sono governi corretti che servono all'Occidente per rapinare meglio le risorse - viene di conseguenza completamente dimenticato. Questa è in sintesi la situazione, se volete anche catastrofica. Però è un dato reale che milioni di persone lasciano la campagna e si accentrano nelle baraccopoli (la Korogocho di cui ci ha parlato padre Zanotelli è solo un esempio). Ma ci sono tante Korogocho, solo a Nairobi ci sono circa cento baraccopoli e questo vale per tutte le grandi città. E rispetto a tutto ciò, che cosa si può fare?

Io, per ora, ho cercato di dare degli elementi in modo tale che Jean Leonard, che è un grande conoscitore della sua terra, ci illustri ancora di più quelle che sono le problematiche dell'Africa per poi successivamente dare la parola a voi, come è nostro costume, per fare domande e approfondire ulteriormente. Grazie.

Jean Leonard Touadi: Io saluto tutti, avrei voluto salutarvi uno ad uno, facendo saluti lunghi come quelli che si fanno in Africa. Però non li farò perché mi hanno sempre detto che quando vai a parlare di sera con gli Italiani e con gli Europei, devi parlare poco; questa è gente che va a letto presto, perché deve lavorare, giustamente! Considerate davvero come se io vi avessi salutati uno ad uno! Per me è sempre un grande piacere tornare non solo in Umbria ma vicino Perugia dove ho passato il mio primo anno di soggiorno in Italia all'Università per Stranieri. Era obbligatorio andare a Perugia, passare l'anno di lingua prima di andare all'Università. Però non conoscevo Bastia, perché le professoresse dell'Università per Stranieri ci dicevano di non frequentare i "burini" per non contaminare la purezza della lingua che noi stavamo imparando! E allora eravamo segregati, il posto più lontano dove potevamo arrivare era Piazza 4 novembre, andare a teatro, a sentire il jazz e poi basta. Ci dicevano di non parlare con i Perugini, figuratevi con quelli di Bastia: sennò perderete tutto quello che state imparando! Davvero, è sempre un piacere ritornare in Umbria perché è legato a questo mio primo contatto: il mio "fidanzamento" con l'Italia inizia con l'Umbria e con Perugia. E ringrazio Luigino per il suo invito, per i suoi inseguimenti, sia telefonici che tramite e-mail: neppure una donna innamorata mi ha mai inseguito in questo modo! Con tanta tigna ha voluto questo incontro e quindi lo ringrazio.

Lavorando io in Rai e facendo l'autore televisivo per guadagnarmi il pane e per fare anche tutto il resto, mi stavo chiedendo come mai oggi, venerdì, a quest'ora della sera, con tutto il ben di Dio che Rai e Mediaset (oppure Raiset, visto che siamo diventati tutti una famiglia!) hanno preparato per voi, come mai delle persone, madri e padri di famiglia, giovani, si ritrovano qua a parlare, a ragionare e a discutere di Africa. Questo davvero ogni volta mi colpisce, perché i tempi che viviamo sono quelli che sapete; sono i tempi dei mezzi di "distrazione di massa". Ora quando si sente questa espressione, mezzi di "distrazione di massa", uno pensa all'uso che abbiamo imparato semanticamente della parola "distrazione" che sta per divertimento. L'antica romano, "panem et circensem"; in qualche modo siamo tornati ai quei tempi là. E invece no, distrazione proprio nel senso letterale della parola latina, "trarre accanto". Mezzi di distrazione di massa che traggano accanto all'essenziale, accanto alle cose che toccano la vita delle persone, la vita di intere comunità: e allora non so se avete visto il grande dibattito che c'è in Rai adesso, se il programma della Antonella Clerici "Il Ristorante" debba fermarsi o andare avanti: i programmi della Ventura, di Bonolis e così via dicendo. Le armi di distrazione di massa. Una congiura organizzata per trarre la massa accanto all'essenziale, fuori dall'essenziale. Quindi mi intriga, mi inquieta anche un po' la vostra presenza qui, stasera. Dovevate essere altrove! Spero che nel dibattito mi darete le ragioni e le motivazioni del vostro esservi distratti da questo ben di Dio creato da Mediaset e da Rai.

Vogliamo parlare di Africa. Non è semplice parlare di Africa e di tutte le questioni che Luigino ha prima sollevato. Vorrei cominciare parlando del rapporto tra l'Africa e l'Europa. La mia impressione - ma non è solo un'impressione - è che per l'Europa, l'Africa è ancora una volta quella che si vede camminando tra il Colosseo e l'altare della Patria o ai Fori Imperiali. L'Africa dell' hic sunt leones, l'Africa della terra incognita. Si conosce l'Asia Minore o Superiore, si conosce l'Africa settentrionale, (l'Africa europea dicono alcuni storici: la Cirenaica, la Tripolitania e così via dicendo). Sotto il Sahara è l'hic sunt leones, la terra incognita, quella terra che sappiamo che esiste ma di cui conosciamo poco. E quel poco che conosciamo ci inquieta. Un rapporto sempre tra attrazione per l'ignoto ma anche di paura, come accade per tutte quelle cose che sono a noi ignote; una specie di contraddizione. Un rapporto strano questo tra l'Africa e l'Europa, in cui ancora una volta gli Europei si sforzano di considerare le cose africane come cose a sé, come cose che in realtà non rientrano nell'andamento del mondo e non partecipano della storia cosiddetta normale. È un po' come se tutti voi aveste letto Hegel, quando dice, nel 1830, che in realtà nella storia universale l'Africa non ha dato niente e che è il continente senza storia. Non hanno dato niente all'umanità 'sti negri, perché li dobbiamo inserire nella storia umana? Non hanno inventato la ruota, non hanno inventato la bussola. È il continente senza storia. Ciò che ci interessa dell'Africa è che lì accadono della cose che ci ricordano quello che noi eravamo nella barbaria e quindi vi possiamo osservare l'uomo nella sua purezza selvaggia. Il barbaro per eccellenza. In Africa si sono spostati i confini delle barbarie. Per i Greci, i barbari erano i Macedoni. Per i Romani erano quelli che oggi chiamiamo i Laziali (i burini che vengono allo stadio Olimpico con la caciotta sotto le ascelle e il trattore!). L'Africa rimane nell'immaginario collettivo ai margini della storia del mondo e le cose che accadono laggiù noi non le possiamo capire. C'è come una specie di alone di inconoscibilità. Lì accadono delle cose strane che noi razionali europei non possiamo capire. Una storia a sé.

Quindi la prima cosa che dobbiamo forse imparare stasera è di capire che in realtà l'Africa fa parte della storia del mondo. Reinserire l'Africa nella storia del mondo. Non c'è nulla di ciò che avviene oggi e di ciò che è avvenuto ieri in Africa che non abbia rapporti con il resto del mondo, con voi, con la vostra vita di tutti i giorni, con la vostra politica, la vostra economia, con la vostra cultura (e con la vostra presunta superiorità culturale). L'Africa è sempre stata nella storia del mondo se è vero come è vero che l'uomo, inteso come nostra specie, è nato in questo continente. Anche Bossi e Calderoli possono rivendicare orgogliosamente origini africane, non so se lo sanno! Bisogna che qualcuno un giorno glielo dica. Un'Africa da inserire con urgenza nella storia del mondo. Se noi parliamo del Congo, del Sudan, del Rwanda, attenzione a non dire guerre tribali o guerre etniche. Stiamo parlando di guerre che sono anche vostre e spero stasera di riuscire a convincervi dei legami molteplici che ci sono tra quelle che voi chiamiate guerre etniche e la vostra vita, anche qui a Bastia (Bastia che è così piccola e già vi siete divisi in Bastia Nord e Bastia Sud, confondendo il povero Africano che viene da Roma e non sa dove uscire!). L'Africa come parte della storia del mondo e come parte delle scelte geopolitiche, economiche, delle scelte di civiltà che noi facciamo. Solo quattordici chilometri ci separano dall'Africa, lo stretto di Gibilterra. In realtà quei quattordici chilometri non sono veri, perché Seuta - che è una città spagnola - è in realtà è una città marocchina. Quindi è il continente più vicino a voi, è il continente gemello dell'Europa. Un'altra questione che possiamo dibattere stasera. Gli Stati Uniti possono ignorare l'Africa, geograficamente possono permetterselo: dubito che Gorge Bush sappia dove sia l'Africa, nonostante abbia una consigliera alla sicurezza afro-americana, Coondoleza Rice. L'Europa non può permettersi questo lusso, è troppo vicina e ci sono legami storici, culturali, di dipendenza economica. Gli Europei devono interessarsi all'Africa, per tutti questi legami. Cosa difficile, perchè se uno vuole far fare qualcosa ad un Europeo, deve fargli capire l'interesse che c'è a farla; perché l'Europeo capisce solo il linguaggio dell'interesse, del tornaconto. Ma che ci guadagno? Ebbene, 800 milioni di persone - che diventeranno un miliardo e passa tra dieci anni - alle porte dell'Europa, in questo stato di sbandamento politico ed economico che descriveva prima Luigino, non sono nell'interesse dell'Europa. Quindi l'Europa deve muoversi, o per interesse e per etica. Temo che non avverrà mai per etica perché l'etica, così come le radici cristiane, servono solo per i discorsi e per i dibattiti a Porta a Porta. Ma quando l'Europa deve muoversi, conta solo il suo interesse. Siamo arrivati al punto in cui il buon Ciampi è arrivato ad ipotizzare la levata dell'embargo delle armi alla Cina perché c'è un interesse. De Gaulle diceva, parlando della Francia:"La France n'a pas d'amis, elle n'a que des intérêts." Ebbene l'Europa non ha amici, l'Europa non ha valori, non ha principi; l'Europa capisce solo ed esclusivamente il linguaggio dell'interesse. È brutto dirlo, ma la realtà di oggi purtroppo è così. Avete avuto un anno fa un ministro degli esteri - seppure ad interim - che ha avuto il merito di parlare chiaro sotto questo punto di vista, dicendo che la politica estera italiana deve essere guidata dagli interessi italiani e che le ambasciate italiane all'estero - e quindi anche in Africa - devono diventare dei punti che incentivano il "Made in Italy". Tutti noi giornalisti ci siamo quindi sbizzarriti ad immaginare le ambasciate italiane nel mondo con i salotti in cui sono appesi prosciutti oppure olio extravergine! Questo è commercio, non è politica estera: e un conto è il commercio, un conto è la politica estera. Un grande paese mediterraneo, come l'Italia, non si può accontentare di commerciare, deve avere una politica estera.

Abbiamo detto della necessità di reinserire l'Africa nella storia e dell'importanza per l'Europa dell'Africa, il continente gemello. Terzo punto: le vicende africane toccano anche noi. 9 novembre 1989, caduta del muro di Berlino; l'Europa si ritira dallo scenario africano e investe verso il nuovo Eldorado, l'Europa dell'Est. È il momento che gli esperti definiscono "della solitudine geopolitica africana", perché con la guerra fredda - non per rimpiangere la guerra fredda - l'Africa ha avuto un suo ruolo negli equilibri geopolitica mondiali, essendo uno dei teatri di scontro tra Est e Ovest. Alcuni di voi ricorderanno la guerra dell'Ogaden tra la Somalia e l'Etiopia o la guerra in Angola che è una parte rilevante della guerra fredda. Sul territorio angolano si sono contrapposti il blocco occidentale e il blocco sovietico. L'MPELA, l'UNITA, il FRELIMO, tutta questa gente si è schierata con i Sovietici; non certo perché folgorati sulla strada del marxismo-leninismo ma perché in quell'epoca in cui i Portoghesi - che facevano parte della Nato - occupavano l'Angola, nessuna potenza occidentale sosteneva i movimenti di liberazione angolani. Questi hanno dovuto quindi scegliere il nemico delle potenze occidentali, come scelta obbligata. Ricordate la guerra in Mozambico e tante altri conflitti del periodo della guerra fredda. Con la caduta del muro di Berlino, l'Africa ha perso anche questa sua rendita geopolitica. Gli Europei si sono ritirati, gli investimenti sono cessati drasticamente dell'80% e si sono spostati, sia quelli privati che quelli pubblici, nell'Europa dell'Est. È il momento della solitudine geopolitica africana, segnata dalla guerra della Somalia. La ritirata degli Americani dalla Somalia e di tutte le altre potenze europee segna simbolicamente il ritiro della politica occidentale dall'Africa, proprio quando Gorge Bush I - non Gerge Bush II la vendetta!, non so se avete notato che ci stanno preparando un terzo Bush: Colin Powell è andato nel sud-est asiatico accompagnato dal fratello di Bush. Stanno cominciando a presentarlo a livello internazionale e forse ci ritroveremo, come tutte le serie cinematografiche americane, Bush 1, Bush 2 e Bush 3! - prometteva il nuovo ordine mondiale. Con la fine dell'operazione in Somalia, abbiamo assistito alla ritirata simbolica dell'Occidente dall'Africa, apparentemente disinteressandosene. In realtà non è stato così. Al posto degli equilibri della guerra fredda, l'Africa è diventata il laboratorio più interessante di quello che Ignazio Ramon, direttore de "Le monde diplomatique" chiama la geopolitica del cinismo (o anche la geopolitica del caos). L'Africa non è più una posta in gioco geopolitica per i motivi della guerra fredda e delle contrapposizioni tra Est e Ovest. Che cosa è diventata allora l'Africa? Abbiamo detto che gli investimenti sono statti ritirati, che la cooperazione non c'è più, che la crisi del debito sta attanagliando questi paesi e che è cominciata la geopolitica del cinismo. Cerchiamo di delineare i connotati di questa geopolitica del cinismo. A confrontarsi in Africa non sono più le ideologie, non è l'Est o l'Ovest che si combattono; a confrontarsi sono solo e semplicemente i corposi interessi materiali legati alle multinazionali. Il territorio africano viene in qualche modo depotenziato dal punto di vista della capacità degli stati e dei governi di controllare il territorio, la crisi del debito mette in ginocchio il continente e fa si che i governi - che erano governi dittatoriali, però avevano una certa legittimità e comunque avevano la capacità di assicurare un minimo di rete scolastica, un minimo di rete sanitaria, un minimo di infrastrutture e un minimo di garanzia dell'ordine - non riescano più ad avere il controllo di queste cose. Gli stati si sfaldano o li fanno sfaldare, attraverso la Banca Mondiale e Il Fondo Monetario Internazionale che svuotano queste nazioni di tutta la loro forza, attraverso le privatizzazioni. Lo stato centrale non controlla più la periferia e diventa, come lo hanno definito alcuni analisti, lo "stato nullo", lo stato che non c'è più. E quando non c'è più lo stato, incominciano a nascere in alcuni territori i signori della guerra che controllano, per conto terzi, quei territori. Se io ad esempio sono originario di una zona dove ci sono i diamanti, allora mi faccio finanziare dalla De Beers - che è la prima esportatrice di diamanti del mondo - prendo le armi, le do a qualche giovane ed io e la De Beers sfruttiamo il diamante direttamente, senza passare per lo stato centrale. Chi sta nella zona dove c'è il legname fa altrettanto, chi sta nella zona dove c'è il petrolio fa altrettanto, come la Elf o la Shell e così via dicendo. Nell'analisi geopolitica, questa cosa si chiama la "somalizzazione" di un territorio: le multinazionali non passano più attraverso negoziati con i governi ma hanno direttamente accesso alle materie prime. I primi territori a sperimentare questa geopolitica del cinismo sono stati la Sierra Leone e la Liberia che hanno come prodotti essenziali il legname e il diamante (anche se adesso si è scoperto anche il petrolio). La geopolitica del cinismo che ribadisce che l'Africa, dal '500 a oggi, non è altro che un grande serbatoio di materie prime. Nella divisione internazionale del lavoro, fino adesso all'Africa resta questo triste compito di fungere da grande serbatoio di materie prime. Materie prime che prima venivano negoziate con i governi mentre oggi basta rifornire di armi un signore qualunque in modo che crei un piccolo esercito di ribelli. Materie prime scambiate con armi e anche con droga. Armi, materie prime, droga, una specie di trittico, drammatico, delle guerre in Africa. E allora diventa difficile anche fare un negoziato di pace. Se prima i soggetti e i protagonisti della guerra erano l'URSS o gli Stati Uniti, oggi non sono visibili. Inoltre questi signori della guerra non sono credibili, alcuni di loro sono semi-analfabeti. Non sono loro i protagonisti. Dietro queste guerre ci sono dei signori rispettabilissimi: De Beers ha gli uffici a Londra, andate a vedere che uffici che ha la De Beers, primo produttore di diamanti nel mondo. Diamanti insanguinati, insanguinati per decenni, provenienti dalla Sierra Leone, dalla Liberia, dall'Angola (nelle zone controllate dall'Unita), dal Congo Democratico. Questi signori si chiamano Elf , che adesso si è allargata perché ha assorbito anche Total-Fina e dietro alla quale c'erano pure il figlio di Mitterand e attuali collaboratori di Jacques Chirac. Elf che non ha esitato a scatenare una guerra in Congo-Brazzaville o che ha sostenuto la guerra in Angola. E dietro la Elf c'è anche la nostra brava Agip, questo neutrale, quasi simpatico dragone nero su sfondo giallo. L'Agip è presente in tutte quelle zone e lì fa i suoi giochi. Ricordatevi come nel delta del Niger, nel 1993, il poeta Ken Saro-Wira venne impiccato insieme ad altri nove attivisti. Che delitto avrà mai commesso, Ken Saro-Wira il poeta? Quello di aver chiesto che il popolo Ogoni - che vive nel delta del Niger - potesse vivere sulla sua terra senza che l'olio della produzione petrolifera invadesse i campi o senza che i pesci del fiume morissero perché soffocati dalle macchie d'olio. Per avere chiesto questo, Ken Saro-Wira è stato impiccato con nove suoi compagni a Lagos. Nemmeno per un giorno si è fermato il pompaggio dell'olio in Nigeria. E subito dopo la Shell, la presenza più importante nel delta del Niger è quella dell'Agip. Altro che Enrico Mattei, altro che l'Agip buona! Questi signori si chiamano Sabena - la compagnia aerea belga - che ha trasportato per anni quel prodotto che si chiama coltan dalla zona del Congo. Quando ero piccolo, sapevamo di tutti questi traffici e di gente che andava a cercare fortuna per i diamanti, il mercurio o l'uranio (che nel Congo è sfruttato fin dalla seconda guerra mondiale: l'uranio delle bombe atomiche cadute su Hiroshima e Nagasaki proveniva proprio da lì). Oggi scopriamo che c'è un prodotto stranissimo, con il quale, quando eravamo piccoli, ci giocavamo e a cui nessuno dava importanza. Il coltan, nome scientifico colombotantalite. Il coltan serve per fabbricare i cellulari. Quindi non solo diamanti insanguinati ma anche cellulari insanguinati. Il coltan rientra inoltre anche nella componentistica dei computer e in quella degli aerei. Quindi tre settori chiave della new-economy come l'informatica, la telefonia mobile e l'aereospaziale, non possono funzionare senza la colombotantalite. Ebbene, per sfruttare il coltan, le multinazionali europee non hanno esitato a camminare sui cadaveri di quattro milioni di Congolesi, morti in 6-7 anni. Avete mai sentito parlare dei 4 milioni di morti in Congo?

Guerra etnica, si è detto. In uno dei miei scritti, ho detto che ormai tutti abbiamo imparato a conoscere questa espressione, la "guerra etnica", e che come giornalista non posso sostituirla con una nuova, perché prima che la gente ci si abitui dovrebbe passare tanto tempo. Ma, se vogliamo parlare di guerra etnica, allarghiamo però la schiera di coloro che possono far parte delle etnie. La parola guerra etnica può avere senso solo se anche la Sabena, anche l'Agip, anche la De Beers, diventano delle etnie, delle mega etnia. Allora sì che sono guerre etniche! Non so se rendo l'idea. Ogni volta che aprite la Repubblica o il Corriere e vedete questi diamanti che brillano, ricordatevi che dietro c'è non solo il lavoro di ragazzini di dieci anni - che passano quattordici ore al giorno con i piedi dentro il fiume a setacciare il fiume alla ricerca dei diamanti - ma anche che quel diamante - un segno d'amore, come dice una pubblicità famosa! Un diamante è per sempre - è insanguinato. Abbiamo fatto una prova - rischiando anche parecchio - io, Alberizi del Corriere della Sera e Pietro Veronesi di Repubblica. Abbiamo comprato dei diamanti in una zona di guerra del Congo, quando era uscito il trattato internazionale in cui le compagnie si impegnavano a non comprare diamanti dalla zona di guerra. Siamo andati ad Anversa, in Belgio, a vendere queste pietre. Appena le hanno viste e hanno saputo subito da dove veniva il diamante - perché i diamanti non sono tutti uguali- l'hanno comprato e ci hanno chiesto, quasi pregandoci in ginocchio, se avevamo solo quello o se ne avevamo anche altri.

E in questo modo stiamo vivendo anche le guerre nel Congo, nella Sierra Leone, nella Liberia; e pure la guerra che stanno combattendo oggi nel Darfur, visto che c'è anche nel titolo. Il Darfur è una zona grandissima, all'ovest del Sudan e in questo territorio 70000 persone sono già morte e 2 milioni sono state sfollate (con un numero imprecisato, forse 250000, nel Ciad: anche se non si può essere sicuri, perché le etnie sono parenti, per cui alcuni non vanno nei campi a farsi registrare). Lo stesso Sudan che fino a ieri era classificato come uno degli stati canaglia: vi ricordate gli stati canaglia? In uno dei discorsi sullo Stato dell'Unione, Bush ha usato questo nome di stati canaglia e il Sudan è stato il primo ad essere citato. E questo per un motivo semplicissimo: Osama Bin Laden ha vissuto a lungo a Karthoum in Sudan. Gli Americani che all'epoca bombardarono Karthoum oggi sono invece diventati i più grandi sponsor dell'accordo di pace tra il governo islamico di Karthoum e il sud. Per quale motivo c'è stata questa improvvisa folgorazione pacifica del dipartimento di stato? Il Sudan è emblematico della geopolitica del cinismo e della geopolitica del caos. Questo paese si è scoperto improvvisamente - ma forse qualcuno lo sapeva già - pieno di petrolio e per questo motivo sta diventando una posta in gioco geopolitica ed economica importante, non solo per gli Americani. Che cosa fanno gli Americani, che cosa fanno le grandi potenze? Quando la guerra comincia a toccare i loro interessi, a lambire i loro interessi, la fermano. Gli Stati Uniti hanno sponsorizzato la fine della guerra in Sudan, per poter sfruttare gli immensi giacimenti di petrolio del Sudan. Però attenzione, qui non ci sono solo gli Americani. Al petrolio del Sudan è interessato anche la Cina. La Cina ha importato dal Sudan 110 milioni di tonnellate di greggio con un aumento del 21% rispetto all'anno precedente. E la China National Petroleum Corporation (CNPC) è il principale partner del governo islamista di Karthoum per lo sfruttamento del petrolio. Quindi altro che diritti umani, altro che bene della popolazione, lì è solo business.

Era palese che in Sudan - lo hanno detto Human Rights, Mèdecins Sans Frontières, Amnesty International, lo hanno detto tutti i giornalisti che sono andati nel Darfur - si stava consumando un genocidio. E la carta internazionale dell'ONU dice che, quando si osserva che c'è un genocidio, l'ONU deve intervenire. Ma per negare il genocidio sono state usate tante diverse espressioni: chi ha detto eccidi di massi, chi massacri etnici, tutto per non pronunciare la parola "genocidio". La carta dell'ONU definisce come genocidio qualunque degli atti di seguito elencati commessi con l'intenzione di distruggere del tutto o parzialmente un gruppo nazionale, etnico, raziale o religioso, in quanto tale: il massacro dei membri di un gruppo, l'attentato grave all'integrità fisica o mentale di un gruppo, la sottomissione intenzionale di un gruppo, etc.etc. Ora tutto quello che è avvenuto in Sudan si configurava come un genocidio. Invece, che cosa ha detto Kofi Annan? Kofi Annan ha detto: "Perché pronunciare questo nome, quando la comunità internazionale non è pronta ad intervenire come esigerebbe la convenzione?". La parola non si pronuncia e se non si pronuncia non si fa niente. Chi si è opposto alle sanzioni contro il Sudan, al Consiglio di Sicurezza? Gli Stati Uniti erano pronti a delle sanzioni, perché la lobby afro-americana spingeva perché le sanzioni avvenissero. Chi si è opposto invece? La Cina, ha minacciato di esercitare il diritto di veto se fosse passata questa sanzione; l'Algeria, in nome della solidarietà araba (perché il governo di Karthoum è un governo arabo e mussulmano che sta massacrando dei "negri" ed è sostenuto dalla lega araba, il cui portavoce si è dichiarato assolutamente contrario a sanzioni contro il Sudan); la Spagna, che ha degli interessi molto forti in Sudan e che per bocca del suo ministro degli esteri ha annunciato - proprio alla vigilia del voto al consiglio di sicurezza - la sua intenzione di riaprire la sua ambasciata a Karthoum. E l'Italia che cosa ha fatto? L'Italia è stata tra i primi paesi ad andare in Sudan, avendo mandato nel Darfur il sottosegretario Margherita Boniver a fare una missione. Dopo di che veniamo a sapere che la joint-venture italo-britannica Alenia-Marconi System fornisce al governo sudanese sistemi radar per il controllo del traffico aereo. Quattro milioni di dollari solo nel 2002, apparecchiature da 22 milioni di euro installati negli aeroporti - anche in quelli militari - secondo dati dell'Istat (quindi non sono dati di Rifondazione, non sono dati comunisti!). Secondo dati dell'Istat sul commercio estero, l'Italia ha acquistato tra il 1999 e il 2003 petrolio da Karthoum per oltre 144 milioni di euro; 24 milioni nel 1999, 14 milioni nel 2000, 13 milioni nel 2001, 54 milioni nel 2002 e 37 milioni nel 2003.

Un'altra questione: gli aiuti umanitari. Di che cosa parliamo quando diciamo di mandare gli aiuti? Gli Africani sono stufi degli aiuti umanitari, basta aiuti umanitari. Soprattutto quando questi sono portati da pompieri che abitano la stessa casa dei piromani. Forse la cosa più utile che gli Africani possono chiedervi non è tanto di venire a fare i pompieri ma quello di combattere a casa vostra i piromani. È l'aiuto più grande che potete fare all'Africa. Smettete di venire a fare i pompieri. Voi dite: ma è il nostro spirito cristiano - visto che le radici cristiane sono diventate di moda. Pure Ferrara ha scoperto le sue radici cristiane, che saranno belle grosse! Sono tuberi le radici cristiane di Ferrara! - è la nostra indole, la nostra solidarietà e buon cuore, andare ad aiutare gli altri fa parte delle nostre radici cristiane. Voi dite che è la nostra indole. Noi vi chiediamo invece di non venire ad aiutarci ma di agire in casa vostra. I problemi dell' Africa non sono problemi dell'umanitario ma di scelte politiche e di indirizzo economico. Finchè non capiremo questo, l'aiuto potrà essere infinito e non basterà mai. Dobbiamo andare alla radici, ai nodi, alle strutture del peccato. Questa parola non è mia ma è del Pontefice. In uno dei rari momenti di ispirazione in cui lo Spirito Santo passa ogni tanto a Roma, il Papa - trattando della globalizzazione in una delle sue encicliche - ha parlato di strutture di peccato. Basta quindi con l'aiuto, affrontiamo veramente i problemi. Mi fa male al cuore che una persona sensibile come Veltroni, che si è fatto il giro dell'Africa e che ha visto quello che ha visto, nel tornare a Roma, scrive un librettino dal titolo "Forse Dio è malato" - non so se l'avete visto in giro. Stendiamo un velo pietoso, se qualcuno l'ha visto nascondetelo perché non fa onore al nostro sindaco e neanche al suo partito! - e si limita a fare la proposta dei pozzi in Monzambico. Forse servono anche i pozzi in Mozambico, ma il segretario di un grande partito della sinistra - vice presidente dell'internazionale socialista nel momento di quel viaggio- non può fare quel viaggio e poi non fare una proposta politica su grandi nodi quali l'organizzazione mondiale del commercio, la questione del debito, quella del brevetto, la questione della privatizzazione dell'acqua. Sono problemi politici di cui noi Africani non abbiamo le chiavi; le chiavi stanno qui a Roma, a Parigi, a Bruxelles. Basta con gli aiuti, non ce la facciamo più!

Abbiamo un po' l'impressione di rivivere il '500 quando chi ci veniva a battezzare e chi ci veniva a colonizzare arrivavano dalla stessa nave e parlavano la stessa lingua. Di questo bisogna parlare, le guerre non sono etniche ma sono causate da questi problemi. Così avviene nella guerra in Congo o in quella in Sudan oppure in un'altra guerra, quella in Costa d'Avorio. Sulla Costa d'Avorio ho scritto recentemente un articolo per la rivista del gruppo Abele, intitolato "Narcomafie, il cioccolato insanguinato". Vi vedo là tutti pesanti di torrone, panettone, non negate eh?! Ebbene il primo paese produttore di cacao al mondo, la Costa d'Avorio, sta vivendo una crisi incredibile, una guerra incredibile. C'è anche un giornalista ivoriano piuttosto famoso qui in Umbria, fa questo programma "Nero su bianco", Laurent De Bai. In Costa d'Avorio la posta in gioco non sono le rivalità etniche, ma gli interessi economici. C'è la Francia che non vuole cedere il potere nel golfo di Guinea, una zona che molti in geopolitica chiamano "l'altro golfo". Cosa sta avvenendo nel golfo di Guinea? Sta avvenendo che il Medio Oriente è entrato in una crisi profondissima che - forse voi non ve ne rendete conto - vi sta facendo rischiare di avere il tracollo negli approvvigionamenti di petrolio e di gas naturale. Il Medio Oriente è messo molto male. E l'Iraq non è che il primo punto. C'è l'Arabia Saudita che sta lì lì per scoppiare; nei piani degli Americani, si pensava che la crisi dell'Arabia Saudita sarebbe venuta prima dell'Iraq (in previsione della crisi in Arabia Saudita, hanno intanto deciso di prendersi l'Iraq). Quindi la crisi del Medio Oriente. Ciascuno naturalmente corre ai ripari. E quali sono le alternative? Le alternative sono innanzitutto il Mar Nero e il Caucaso che ha delle riverse di petrolio e di gas naturale molto più importanti di quelle del Medio Oriente. Questo è il motivo per cui gli Americani spingono per l'ingresso della Turchia nell'Unione Europea, perché attraverso la Turchia può passare il petrolio e il gas di queste zone. Anche il vostro ministro degli esteri - questa volta senza bandana! - è stato uno dei grandi avvocati della causa della Turchia. Anche lì però il disordine è tale che queste risorse non sono sfruttabili a breve. Occorreranno almeno 10-15 anni per pacificare la Cecenia, l'Abchasia, il Kazakistan, il Kirzighistan: tutti questi nomi a voi forse non dicono niente ma domani il vostro approvvigionamento in petrolio e gas naturali dipenderà da questi paesi. Tutti cercano comunque di trovare degli approvvigionamenti alternativi: il Venenzuela o la Libia per esempio. Il presidente del Consiglio è andato ad inaugurare una pipeline che deve portare il gas dalla Libia alla Sicilia, arrivando fino a definire Gheddafi un campione della libertà. Cosa non si fa per un po' di petrolio! In questo contesto anche il petrolio africano diventa appetibile (quando parlo di petrolio africano parlo di quei paesi che vanno dalla Sierra leone giù giù fino all'Angola). Gli Stati Uniti hanno già chiesto e ottenuto di installare delle basi militari a Sao Tomè e Principe che è una piccola isola al largo della Guinea Equatoriale. Da lì possono controllare l'Angola, il Gabon, il Congo-Brazzaville, la Nigeria e il Camerun che da soli fanno il 70% della produzione petrolifera africana. Nella ridefinizione delle politiche strategiche fatta nel 2000 degli Stati Unità, l'Africa ne diventa una priorità strategica. Da qui al 2015, gli USA vogliono importare almeno il 30% del loro fabbisogno petrolifero dall'Africa. La posta in gioco in quella zona è altissima. Per darvi un'idea del futuro petrolifero dell'Africa, nel 2008 l'Angola produrrà più petrolio del Kuwait. Questo significa che la geopolitica del cinismo è solo all'inizio, le guerre sono solo all'inizio, le sofferenze per le persone sono solo all'inizio. E i Francesi - che sono già ben radicati in quel territorio - non intendono lasciare campo libero agli Americani. Anche la guerra in Costa d'Avorio, come lo è stato la guerra in Angola, è da leggere in questa ottica. Altro che guerra etnica! Qual è il prezzo che i popoli ricchi sono pronti a far pagare agli altri pur di approvvigionarsi di benzina, di diamanti, di oro, di uranio? Bastano un milione di morti o ne servono due, tre o quattro? Su quanti cadaveri le multinazionali sono pronte a camminare pur di avere accesso alle materie prime?

In tutta questa situazione, concludo parlando del popolo africano; vittima degli interessi esterni e vittima della sua classe politica, la quale non altro che un gruppo di potere che gestisce per conto terzi le ricchezze di questi paesi. Come durante la schiavitù quando non erano i negrieri che andavano all'interno delle terre a catturare gli schiavi bensì i re della costa a cui veniva dato questo incarico, allo stesso modo oggi i governi africani non sono altro che i mandatari di questi interessi extra-africani. A me fa ridere quando ci parlano male della nostra classe politica; nessuno dei grandi dittatori che abbiamo avuto avrebbe potuto restare anche solo un'ora al potere senza l'appoggio politico, economico e finanziario di cui ha goduto all'estero. Non so se vi ricordate Mobutu Sese Seko Kuku Ngbendu Wa Zabanga, tale era il suo nome durante il suo impero! Prima si chiamava Joseph-Désiré Mobuto, poi ha deciso di dire basta ai nomi occidentali, basta con la cravatta, etc; torniamo all'autenticità, da oggi in poi mi chiamo Mobutu Sese Seko Kuku Ngbendu Wa Zabanga. E tutti i giornali, radio, televisioni dovevano pronunciare il nome sempre per intero. Siccome più della metà del telegiornale raccontava i suoi fatti, solo la pronuncia del nome prendeva un terzo del telegiornale! Rendendosi conto del ridicolo, Mobuto a metà degli anni '80 dice: "Beh, sono al potere da più di vent'anni, da ora in poi sono il papà di tutti gli Zairesi, chiamatemi pure papà." e quindi nel telegiornale:"Stamattina papà ha ricevuto il presidente...". " Domani papà e mamma si recheranno in visita...". Voi ridete ma è così. Nella sigla del telegiornale c'erano delle grosse nuvole bianche con un puntino nero; poi le nuvole scendevano e mano a mano che scendevano compariva il faccione di Mobuto. Non ridete tanto perché l'aria che si tira qui non è poi così lontana! A parte questi fatti anedottici, quest'uomo è stato un dramma per l'Africa. È riuscito a rendere povero uno dei paesi più ricchi del mondo - non solo dell'Africa - lo Zaire. Ha creato questa specie di "cleptocrazia" durata 30 anni. Ebbene, per questo signore, la Francia ha mandato tre volte dei contingenti in Congo ogni volta che il potere di Mobuto era minacciato. Ricordatevi le tre guerre di Kolwezi. Un personaggio, Mobuto, che veniva ricevuto in pompa magna in tutte le cancellerie occidentali. E quindi che cosa possono fare i popoli in Africa in mezzo a tutto questo marasma?

Un invito che vi vorrei fare in questo incontro è di sforzarvi di leggere la storia, il presente, il futuro dell'Africa non solo attraverso i vari Mobuto ma sforzarvi anche di vedere l'altra parte; il popolo, la gente. Ecco perché quando l'editore, quando ha ricevuto il mio manoscritto, ha detto di intitolarlo "Il sogno tradito" (questo era il titolo che aveva proposto, padre Ottavio). Ma il sogno tradito sarebbe stato guardare le cose solo al negativo: e infatti tutto quello che vi ho detto adesso è molto negativo, non potrebbe essere altrimenti. Vi ho solo raccontato quello che sta avvenendo. Questa è la fotografia dell'Africa. Se però noi ci sforziamo di andare oltre la fotografia e facciamo la radiografia delle società africane, voi troverete che ci sono motivi per non essere così pessimisti. La capacità del popolo africano di resistere, di attaccarsi alla vita nonostante tutto dica morte, pandemie, Aids, crisi del debito, disoccupazione, inflazione - che raggiunge in certi paesi il 100% - mancanza di ospedali. Ebbene questo popolo resiste, sorride alla vita e si inventa un presente fatto di cose semplici. Se volete capire cosa voglio dire, andate a leggere Serge Latouche, "L'altra Africa". L'Africa dell'informale, dei contadini che si organizzano; l'Africa che sta riscoprendo i saperi tradizionali, sia nella medicina che nelle piccole tecnologie, l'Africa delle donne, che sono una forza della natura incredibile. Lo vedo nella mia famiglia, mia nonna, mia madre; donne che hanno conosciuto tragedie che se ve le raccontassi stasera, solo a sentirle vi sentite male. E che invece stanno in piedi, ogni giorno, si alzano, resistono, creano legami di solidarietà tra di loro. Vi racconto solo questo: finita la guerra in Congo, non sapevo se mia mamma fosse viva oppure morta ma alla fine riesco ad avere notizie. E mamma mi dice: "La nostra casa è distrutta, ma..." " Però voi siete vivi, va bene ricominciamo ". Le mando un po' di soldi attraverso quei ladri organizzati della Western Union (è l'unico canale che abbiamo per mandare i soldi in paese. Prendono il 14% sui soldi versati, però con la garanzia che se mamma mi chiama stasera e ha un problema, io mando i soldi e nel giro di trenta minuti lei li può andare a prendere). Le mando dunque questi soldi. Passa un giorno, passano due giorni e la chiamo per sapere se li ha ricevuti. E lei mi risponde ridendo:" Non solo li ho ricevuti, ma ho chiamato le mie amiche e abbiamo mangiato e bevuto con questi soldi!". Lì per lì una cosa di questo genere la potrebbe prendere male, ma riflettendoci mi sono detto che i miei soldi oggi arrivano e domani non possono arrivare; in questo lei invece ha fatto un investimento sociale, ha fatto un investimento relazionale. I miei soldi non ci sono sempre, ma le sue amiche ci saranno sempre e lei sa che potrà sempre in ogni momento contare sulla solidarietà di queste sue amiche. Ecco, questa è l'Africa dell'economia informale; che non monetizza tutto ma che gioca sulla riattivazione di valori che l'economia ufficiale e la mercatizzazione hanno espulso. Quell'Africa che riesce a non trasformare le relazioni sociali in relazioni economiche come purtroppo ha fatto invece l'Europa che è diventata una società di mercato. E l'economia informale si ferma laddove il profitto diventa prevalente. Questa Africa che sta lì e che resiste, a mio avviso può essere il volano da utilizzare per risolvere tutti i drammi che vi ho raccontato. Quindi, ripartire dall'Africa. Io vi faccio una confessione, io sono nato attorno agli anni '60 ed sono stato uno di quelli che veniva mandato in Europa - a studiare nei collegi dei gesuiti - con la missione ossessiva di andare a rubare il segreto della potenza europea. Come dice il romanziere senegalese Cheikh Hamidou Kane nel libro "L'ambigua avventura", "andate dagli europei a imparare l'arte di vincere senza avere ragione": arte nella quale siete insuperabili! Oramai sono passati molti anni ma più vivo qua e più vado in Africa (e sempre più spesso ci vado), sto scoprendo che quel segreto che cercavamo in Europa sta ancora giù; nella saggezza di questi anziani, nella capacità di resistenza di queste mamme. E più la globalizzazione mostra i suoi volti più cattivi, più mi dico che bisogna scavare in Africa e non in Europa se vogliamo trovare la chiave per la soluzione dei nostri problemi. Che cosa ci manca? Ci manca una classe dirigente che abbia quelle caratteristiche che Gramsci delineava (si può ancora accettare Gramsci?); mancano gli intellettuali organici, perché la scuola africana, nel momento in cui noi mettiamo piede a scuola, comincia il cammino di allontanamento dalla nostra società e dai nostri popoli. E più dura la nostra presenza e più si allunga la distanza tra noi e le istanze profonde di questi popoli. Quando poi torniamo, dopo 20-25 anni, e tentiamo di imporre a quei popoli soluzioni apprese altrove, lì nasce il corto circuito. Quindi un nostro vero problema è trovare degli intellettuali obbedienti - nel senso latino di "ab-audiens" - che siano in ascolto dei loro popoli, che prendano queste aspirazioni e le traducano in progetti politici. Se questo non avverrà, se continuerà questo corto circuito, l'Africa dell'informale e l'Africa ufficiale continueranno a camminare per strade parallele. Mi consola il fatto che il problema di trovare una classe politica adeguata, obbediente, organica, non è solo un problema africano! Grazie.


Gli ospiti rispondono alle domande e agli interventi del pubblico

Nota: Per problemi con l'impianto di registrazione, non è stato possibile riportare tutte le domande e gli intereventi posti dal pubblico nonché alcune parti delle risposte di Jean Leonard Touadi


Primo intervento pubblico: La prima cosa che volevo dire è dare una risposta a quella domanda che ci era stata fatta all'inizio, sul perché eravamo qua stasera. Io sono qua stasera perché mio padre mi diceva sempre una cosa, che non dovevo fare agli altri ciò che non mi piaceva fosse fatto a me. E da questo pensiero semplice, cerco di capire quello che succede ora in Africa e che poi probabilmente - non so cosa ci riserverà il futuro - può succedere benissimo anche in Italia. Un'altra cosa che volevo chiedere: io faccio l'agricoltore e lavoro con molti immigrati di cui la maggiorparte sono africani. Lavoro in una azienda che fa tabacco e con la legge della Comunità Europea che hanno approvato da poco, c'è la possibilità di fare il tabacco fino al 2006 dopodichè verranno dati incentivi per la sua dismissione. Questo tabacco verrà fatto poi in Africa. Mi chiedo allora che guerra si scatenerà in Africa per il tabacco visto che si sono scatenate guerre per tutto! Ho poi una curiosità. Molti degli operai che lavorano con me, soprattutto le donne, cambiano spesso nome. Mi sono ritrovato con queste ragazze che provenivano dall'Africa e che si chiamavano chi Natalina, chi Anna, chi Rachele e ho chiesto il motivo di tutti questi nomi italiani. E loro mi hanno risposto che quando vengono in Italia, cambiano nome! Infine un'ultima cosa sulla guerra da combattere a casa nostra. Lei faceva il discorso che in Africa non volete più gli aiuti umanitari ma volete essere lasciati in pace e inoltre ha detto che le guerre contro questi metodi di mercato devono essere combattute all'interno dei propri paesi, quindi anche all'interno dell'Italia. L'ultima volta che è stato presentato un libro, quello su Ho Chi Min, un compagno raccontava che una volta una delegazione italiana del PC - tra cui anche Occhetto - era andata da lui e che gli fu fatta la seguente domanda: "Come noi comunisti italiani possiamo venirvi a dare una mano?" e Ho Chi Min rispose, molto tranquillamente: "Combattendo la nostra guerra all'interno del vostro paese".

Secondo intervento pubblico: Volevo rispondere a quell'inquietudine che all'inizio ci avevi detto, l'inquietudine mia ma che forse riguarda tutto il genere umano. L'Africa ci inquieta perché forse è quella zona dove un tempo lontano c'era l'Eden. Ma siccome siamo stati cacciati a calci in culo, forse ci ricordiamo questa inquietudine! E poi, volendo ricordare alcuni concetti di Jung come quello di ombra, voi siete la nostra ombra: ombra non nel senso negativo del termine, perché poi le due cose stanno insieme e non sono separate. È la nostra coscienza, è la nostra anima: non per niente, l'animismo è di casa in Africa. Molto spesso il nostro Cattolicesimo e le religioni ci fanno perdere il contatto con la nostra propria anima. Io personalmente sono sempre stato attratto dall'Africa, mi affascina dell'Africa il mistero. Spesso parlando dei paesi dell' Asia e dell'India si dice che quei popoli o si amano o non si amano. Io credo che con l'Africa non capiti questa cosa, ma si viene sempre affascinati.
Un'altra cosa su cui mi veniva da riflettere era che tutti si preoccupano, a livello mondiale, della Cina che comincia ad essere determinante nei consumi a livello internazionale. Si tralasciano però i veri problemi che sono anche i problemi dell'Africa. Quello di cui sono convinto e di cui cerco di convincere gli altri è che, per risolvere tali problemi, bisogna iniziare ad essere essenziali nella vita, essenziali nel mangiare, essenziali nel comprare, essenziali in tutto. E già la scelta di cercare di fare delle scelte dove si fa attenzione a quello che si acquista, da dove arriva, come si fa, non basta più. Va bene il commercio equo e solidale, ma non basta. Bisogna invece ridursi al minimo.

Luigino Ciotti: Per chi vuole approfondire le questioni dell'Africa, vi ricordo che c'è la rivista dei Comboniani, Nigrizia, che è fatta molto bene. E poi ci sono un paio di siti, www.chiamafrica.it e www.misna.org che sono altrettanto importanti. Vi segnalo poi che la Caritas locale ha prodotto recentemente un video su Kasumo, dove hanno costruito due scuole anche grazie al contributo di diversi Bastioli.


Terzo intervento pubblico: Erri di Luca, qualche tempo fa, su un articolo di Liberazione molto interessante che riguardava la questione degli emigranti, parlando come se fosse un emigrante e non un cittadino italiano, diceva: " Noi siamo i piedi del mondo, siamo quelli che fanno i chilometri per arrivare nel posto dove serviamo al momento ". In Africa - e non solo - è comunque aumentato il flusso delle giovani generazioni che spesso non hanno speranza e rivolgono la loro speranza verso l' "amica" Europa. Mi chiedo allora se la domanda di questi giovani è direttamente proporzionale al disinteresse dell' Europa e al cinismo della geopolitica o è soltanto - come dice qualcuno - la demografia in eccesso (fanno tanti figli, l'economia è debole e si parte)? E questa bomba dell'immigrazione che ci investirà indipendentemente dalle leggi che si possono fare in un paese (anche Roma fece delle legge che i Barbari non potevano entrare nell'impero. I barbari sono passati) è da valutare positivamente o invece ci creerà dei problemi che dovremo affrontare in qualche modo?


Jean Leonard Touadi: Non comincerò dicendo che sarò breve perché significa che sarò lunghissimo! Però non darò risposte ai vostri interrogativi, mi angosciano come angosciano voi. Mano a mano che vi ascoltavo mi veniva da rigirarvi a voi stessi le domande che mi avete fatto...

Velocemente sul discorso degli agricoltori e del tabacco che si sposterà da qui all'Africa. Non ho informazioni precise a riguardo, so solo che gli agricoltori africani, così come quelli boliviani o colombiani, stanno cominciando a strappare dalla terra il caffè e il cacao per coltivare cose più redditizie, per coltivare quelle merci che l'Europa cerca e paga di più. E questo è drammatico, è una cosa che non dovrebbe avvenire ma che invece sta già avvenendo. Gli Africani hanno capito quello che avevano capito gli Spagnoli all'epoca; cioè che - essendo il clima e la vegetazione simili in certe parti dell'Africa e dall'altra parte dell'Atlantico - certe piante, se crescono rigogliose in Bolivia e in Colombia, allora crescono rigogliose anche nella foresta equatoriale del Centro Africa o del Congo. Ma questa roba non si consuma in Africa. E anche in questo caso si tratta di fare delle scelte. Che cosa preferite? Comprare il caffè o il cacao al giusto prezzo o vedere i vostri mercati inondati di droga? Scelte estremamente semplici. E la legge del mercato vuole che le persone producano ciò che il mercato chiede. Non so se è la risposta alla tua domanda, però sicuramente ci sono questi spostamenti...

Per quanto riguarda il cambio di nome, può essere anche un fatto culturale. I nomi africani sono nomi di circostanza. Solo adesso abbiamo imparato, con il diritto coloniale, ad avere i nomi del papà. La persona nasceva e gli veniva dato il nome a seconda della circostanza della sua nascita, a seconda del momento che stava vivendo la famiglia; tanto è vero che mia moglie si diverte molto a chiamarmi con il cognome di mia mamma che si chiama "Basebiuna", coloro che sanno mentire! Perché prima della nascita di mia madre, mia nonna aveva già avuto tre figlie (tre figlie erano quasi una sciagura!). La sua famiglia incominciò a chiamarla "la donna sterile". Quando poi è nata mia madre, l'hanno chiamata "Basebiuna", la vergogna delle bugie, ecco è nata. Però questo nome fa gioco a mia moglie per altri motivi! Quindi può essere anche un fatto culturale, il non attaccarsi ai nomi perché i nomi cambiano a seconda delle circostanze. Ma può essere una cosa ancora più brutta, forse più grave, che consiste nella difficoltà e nella fatica di dire agli altri come mi chiamo. Se vuoi entrare in contatto con me, devi imparare a dire come mi chiamo. Su questo spesso gli Italiani non si rendono conto, ma è un disagio sentire quando vai negli uffici: "Cheee???" "Mi chiamo Touadi... ". Ci sono nomi più complicati di Touadi, pensate solo a Calderoli! Calderoli è più complicato di Touadi! Eppure....Questo fa sì che molti Africani vogliano abbreviare il momento dell'incontro interculturale offrendo agli Italiani una cosa facile e che dà loro meno noia. E questo è un fallimento, secondo il mio punto di vista, dei rapporti interculturali. Significa che una delle due parti si annulla per fare contenta l'altra. Questo è ciò che, da qualche anno a questa parte, mi sta un po' costando l'amicizia con Magdi Hallam, un mio grande amico. Lui dice che noi siamo i nuovi italiani, di pelle scura, con nomi diversi, ma siamo la nuova Italia. L'Italia deve imparare a capire che non è fatta solo da persone bianche nate nel paese. La cittadinanza è un fatto di valori, di accettazione, di regole comuni e non solo di biologia. Sono più Italiano io del pronipote di un Italiano che vive in Australia. Questo sicuramente. Però nel nostro essere Italiani, dobbiamo portare a questa nazione che ci ha accolto lo specifico di ciascuna delle nostre culture. Questo farà ricca l'Italia. Se noi ci accontentiamo di servire al paese che ci accoglie ciò che vuole sentire, non c'è lo scambio. È quello che rimprovero a Magdi Hallam, che spesso serve agli Italiani ciò che vogliono sentire. Mi dispiace per lui, ha fatto una brillante carriera, per noi è un onore che uno di noi sia diventato il vice direttore del Corriere della Sera; strappato da Repubblica a suon di miliardi, con un' operazione tutta da capire su cosa è successo. Con questa specularità per cui se Pisano dice una cosa, te lo ritrovi nell'articolo di Magdi Hallam il giorno dopo. E poi quello che Magdi Hallam scrive, il ministro dell'interno la cita tale e quale. Lui si è fatto una villa miliardaria, è ricco e sono contento per lui. Però la multiculturalità è qualcosa di diverso. È come nelle copie, come dire che noi andiamo d'accordo perchè siamo uguali! Cretini, che cosa vi scambiate?! Il profeta Kalil Jibram diceva: " Servitevi il vino l'un l'altro ma non bevete dalla stessa coppa ". Quindi questo cambio di nome - temo - sia in qualche modo il fallimento del rapporto interculturale. Ribadisco allora l'importanza che voi ci aiutate a combattere qui da voi, che facciate la vostra parte di lotta qui. Anche noi Africani chiaramente dobbiamo fare la nostra parte, questo lo dico sempre. Ieri sera ero ad un dibattito a Milano sulla Costa d'Avorio e ho detto a questi Africani (che si lamentavano con i francesi): " Attenzione, sono quarant'anni che siamo indipendenti, quanta fetta di responsabilità abbiamo avuto? 50, 40, 30? 20, 10, 5%? Ma anche di questo cinque, che cosa ne abbiamo fatto? Finchè non sapremo render conto ai nostri popoli di che cosa abbiamo fatto di quel margine di autonomia che abbiamo avuto, le nostre grida contro le leggi e contro lo sfruttamento degli altri, non avranno credibilità (discorso che è difficile far passare in Africa, quasi ti tirano i pomodori). Quando però noi abbiamo fatto la nostra parte, c'è un punto dove noi ci fermiamo. La questione del debito, la questione dei brevetti per le medicine; la questione del "doping" sui prodotti (ad esempio il cotone nostro che incontra il cotone americano che è finanziato. E questo significa che non c'è nemmeno mercato libero perché se tu ricevi sussidi e il tuo cotone arriva sul mercato a prezzo ridotto mentre il mio non ha avuto sussidi, non c'è mercato), la questione della globalizzazione che diventa anche un inganno. La questione delle armi: il kalashnikov è la cosa che si può più facilmente acquistare in Africa, compreso in Angola. Laddove le medicine, il pane, i quaderni, le penne non arrivano, le armi arrivano sempre e comunque. Chi li manda, chi li vende? Quali sono le banche? Forse anche i vostri risparmi, non so quanti risparmi avete in banca se non li avete sprecati in Cirio oppure in Parmalat? Quello che è rimasto forse sta alimentando il circuito della compravendita delle armi. Queste sono battaglie che noi non possiamo fare. Allora, io non è che vi dico di non venire. Se proprio ve l'ha prescritto il medico, venite pure in Africa! Ma la cosa più importante è che voi facciate queste battaglie, per liberare le comunità e i popoli, perché non ce la fanno più. Si dice che questi "negri" non hanno voglia di lavorare. Andate in qualunque città africana, si muovono tutti. Si muovono i bambini, si muovono le mamme, tutti a correre, camminano, si fanno dei chilometri, a volte con quattro arance sulla testa, arance sbucciate con un po' di sale sulla testa. Chilometri e chilometri, come fanno i senegalesi sulle vostre spiagge durante l'estate. Per portare a casa che cosa? Un pesciolino rinseccolito con quattro fagioli neri. Questo non è un popolo pigro, questo è un popolo che ha davvero la cultura della resistenza, che ha imparato a sue spese ad ottimizzare l'anarchia che c'è oggi in Africa. È il punto di forza delle nostre popolazioni. Però anche quando avremo fatto questo, ci sono delle cose che non dipendono da noi. Chi vende le armi, chi traffica in droga, chi in petrolio. Che ci possiamo fare? Questa è una battaglia che affidiamo alla parte più illuminata, alla parte migliore dell'Europa. Non lo dico perché siete qui ma quando a volte leggo i giornali e mi chiedo in che razza di paese mi trovo, mi basta vivere una serata come questa per capire che l'Italia non è quella che viene rappresentata in televisione, così come anche l'Africa non è sempre quella che viene rappresentata. Questa gente va aiutata e questo nemmeno a volte non lo capiscono nemmeno le ONG. Anzi, sono soprattutto le ONG che non lo capiscono o i missionari che a volte vivono questa mistica del "deus ex machina" che arriva e risolve tutti i problemi. Io ho incontrato spesso dei missionari che magari stanno in un villaggio da trent'anni che girano ancora personalmente a chiudere dappertutto senza lasciare l'incarico ad altri perché non si fidano di nessuno. Non ti fidi di nessuno? Ma in questo modo stai decretando la fine, il fallimento della tua missione. Se io fossi il tuo vescovo, dopo una frase di questo genere, ti rimanderei in Italia. Se dopo trent'anni non ti fidi di quel villaggio e pensi che non cambierà nulla, io ti rimando a casa. Ti faccio anche un piacere, che cosa stai facendo là? Quindi, se c'è un senso oggi nell'aiutare l'Africa, è nel fare questa parte di lotta qui da voi su queste questioni che sono centrali: il debito, i farmaci, la privatizzazione dell'acqua. In paesi dove piove otto mesi su dodici, se privatizzi l'acqua, hai ammazzato milioni di persone. È quello che sta succedendo oggi. La Leonesse des Eaux, una compagnia francese, sta comprando tutte le fonti d'acqua nell'Africa Occidentale. La voglia di liberté, egalité, fraternitè!

Niente da dire sul discorso dell'inquietudine, il mistero dell'Africa che sta lì e forse rimarrà sempre, perché io stesso li ritrovo in Africa ogni volta che ci torno, pur essendo io un Africano nato e cresciuto in Africa fino all'età di 19 anni. Non so nemmeno perché mi hanno mandato in Europa, non avevo mai pensato di arrivare a 45 anni a mangiare spaghetti! Non sono potuto tornare perché il paese è in guerra. Però ecco, questa idea di ritrovare qualcosa di primordiale. È sbagliato dire primitivo o selvaggio, però sicuramente c'è qualcosa di primordiale, di arcaico nel senso proprio di "archè", principio, fondamento, inizio. Ed è un sentimento fortissimo. Dopo di che c'è anche quel mal d'Africa così alla "matriciana", quello di Licia Colò, tanto per intenderci! Questa multiculturalità semplicistica di Licia Colò dove la cultura dell'altro rimane sempre e comunque un folklore ad uso e costume degli Occidentali. Brava ragazza e si presenta pure bene, Dio la benedica. Però sta facendo un' intercultura alla matriciana, la cultura dell'altro piegata ad elementi folkloristici, residuali ad uso e consumo degli Occidentali. E a lunga scadenza, non so se è bene o un male. A volte dico che è meglio non fare multicultura piuttosto che farla mala, perché lascia delle cose profonde. Sono cose che dico anche a lei, anche lei lo sa.

Importante, secondo me, è il richiamo all'essenzialità. Un invito che faccio sempre agli Europei e a tutti è il ritorno all'essenzialità, fare lo sforzo di sottrarre buona parte della nostra vita alla logica del profitto e del dare/ricevere. Chiunque riesce a fare questo ne trae giovamento. E non dovete riscoprire questo in Africa, fa parte della vostra cultura. Leggete Erich Fromm, "Avere o essere", un libro eccezionale. È una scelta importante se io voglio vivere secondo la modalità dell'essere o secondo la modalità dell'avere. Cambia molto. Tutta la televisione sempre spingerci verso la modalità dell'avere. Invece dobbiamo ribellarci. Quando Zanotelli dice che oggi la vera idolatria da combattere è quella dei supermercati, dice una cosa molto vera e anche molto profetica. La società europea tornerà secondo me ad essere felice quando cesserà di credere che il benessere inteso come cumulo quantitativo di beni corrisponde allo stare bene come fatto relazionale e valoriale. Però questo è difficile. L'essere essenziale, forse l'Africa ci comunica anche questo. Potere essere felici con poco. Anche se pure lì la seduzione della modernità sta avanzando attraverso i satelliti geostazionari, le antenne paraboliche. Sotto questo punto di vista, esse rischiano di diventare per l'Africa antenne diaboliche! Perché introducono degli elementi antropologici che distruggono dei pilastri essenziali dell'antropologia africana come ne hanno distrutti pure in Europa. Non credo che questi valori siano africani, sono valori semplicemente umani. Ecco perché quando li ritroviamo, abbiamo la sensazione di aver ritrovato qualcosa che ci apparteneva, la primordialità.

La questione demografica è secondo me una falsa questione perché se da un lato c'è il boom demografico in quasi tutti i paesi del sud del mondo, basta solo andare a guardare il tasso di mortalità per rendersi conto che il boom demografico, stante queste condizioni, non avverrà mai. Se mi muoiono cinque figli su dieci - e l'Aids sta completando il resto - la mia impressione (ma non è solo la mia) è che parlare di pianificazione demografica prima di parlare di sviluppo è mettere il carro dinanzi ai buoi. La mia sensazione, molto empirica ma forse vera, è suffragata anche da studi: laddove c'è un minimo di innalzamento di condizioni economiche e sociali, di alfabetizzazione delle donne, la demografia cala. Con un minimo di benessere materiale, di innalzamento delle condizioni di vita, di cultura per le donne soprattutto, la demografia cala. Allora che cosa bisogna fare? Sterilizzare tutti gli Africani?! Oppure fare in modo che le donne possano andare a scuola e che le condizioni economiche e sociali migliorino? L'ho visto nella mia famiglia, il passaggio dal numero di figli di mia nonna al numero di figli di mia madre al numero di figli di mia sorella. L'innalzamento delle condizioni di vita e della cultura, della capacità di andare a scuola, di avere accesso a conoscenze, etc. etc. ha portato di per sé ad una riduzione drastica della natalità. Mia sorella ha due figli il che per mia nonna che ne ha avuti dodici è un grande scandalo! Nel frattempo c'è passata la scuola, il fatto che mia sorella lavora, l'emancipazione, la cultura e così via dicendo. Per cui non confondiamo le cose, io non credo molto nella bomba demografica. Credo invece che l'immigrazione sia un grosso problema, grossissimo: talmente grosso che non possiamo affidarlo a Calderoli e Bossi. Purtroppo la politica d'immigrazione in questo paese è fatta da Castelli, Calderoli e Bossi, però questa non è colpa mia!

Quarto intervento pubblico Innanzitutto desidero complimentarmi con lei per la padronanza della nostra lingua e per la brillantezza dell'esposizione, affatto noiosa. Vale 150000 "Porta a Porta" questo incontro, a dir poco! La mia domanda è un pochino particolare. Negli anni '70 Thomas Bernhard, uno scrittore austriaco, nel ricevere un premio letterario, determinò un notevole scalpore affermando che la cultura austriaca e quella europea erano minacciata dalla presenza della cultura araba. Oggi in Italia c'è qualcuno che afferma quanto le sto dicendo, e forse lo avrà sentito, che la cultura italiana ed europea è minacciata da quella africana. Esiste un pericolo? Io non l'ho visto. Grazie.


Jean Leonard Touadi: La questione che ha posto sul mondo arabo, se la cultura araba minaccia la cultura italiana, io la rovescerei e mi chiederei che cosa è la cultura italiana oggi. Sto andando in giro cercando un po' di sfidare gli Italiani a dirmi oggi che cosa intendono per la cultura italiana. Non oso pensare che la cultura italiana è quella che va in onda sull' "Isola dei famosi", "Panariello", "Grande Fratello" etc. Non penso nemmeno che la cultura italiana sia solo quell'operazione di archeologia culturale che riguarda il passato, il glorioso Rinascimento o il Risorgimento, il mondo romano e così via dicendo. Di che cosa culturalmente vive l'Italia oggi? Che cosa sta esprimendo, nella contemporaneità? Che cosa sta attivando per far passare tutto quel patrimonio che ha reso grande l'Italia, che ha fatto invidiare a tutto il mondo gli Italiani, che cosa sta facendo l'Italia per travasare questo alle nuove generazioni? Chi fa qualcosa per evitare il corto circuito tra questo grande patrimonio e i giovani di oggi che rischiano di avere solo delle cose molto vaghe e generiche di quello che i loro antenati hanno vissuto? Dove posso trovare oggi la cultura italiana, dove la posso toccare, dove la posso esprimere? Se io la voglio vivere, dove vado? Sulle grandi questioni di cui stiamo parlando adesso, la globalizzazione, il mondo, l'incontro/scontro tra le civiltà, io posso citarvi cinque, otto, dieci autori significativi francesi o significativi inglesi. In questo momento, tolto Cacciari che più o meno sta su quella linea di dire "diamo risposte a questi problemi", quali sono gli autori significativi italiani? Stento a credere che voi vogliate mettere in questa lista Giuliano Ferrara, Vittorio Feltri, Renato Farina e così via dicendo.

Quando gli Italiani dicono che vogliono difendere la propria identità, io capisco bene che un discorso strumentale; è un'identità che vogliono riscoprire per brandirla come spada, per dire "tu non sei dei nostri". Però mi interessa questo discorso della riscoperta delle radici, perché se gli Italiani davvero riescono a riscoprire la vera identità italiana, quell'identità ha molte cose da dire su ciò di cui stiamo parlando adesso. Quell'identità infatti afferma l'importanza della centralità della cultura. Quell'identità afferma l'importanza della centralità della persona. Quell'identità sostiene l'importanza della centralità della cultura del diritto. Insomma, quell'identità dice tante cose che ci possono dare delle risposte. E se c'è una cosa che a me dispiace è come l'Europa abbia abdicato - nel momento della firma dell'accordo di Maastricht - a tutto il suo passato per aderire ad un tipo di capitalismo di stampo anglo-sassone. Ciò che è passato nell'accordo di Maastricht non è la tradizione europea della socialdemocrazia, della dottrina sociale della Chiesa, della centralità della persona. Ciò che è passato nell'accordo di Maastricht è l'impianto capitalistico di stampo anglosassone, quello weberiano e protestante in cui primeggia l'individuo. Se sono ricco è perché sono stato fedele a Dio e Dio mi gratifica. La cultura cristiano-cattolica dice invece solidarietà. Attenzione a Lazzaro, attenzione a colui che cade vittima, attenzione ai poveri. Una cultura questa espressa per la prima volta in modo organico dalla Rerum Novarum di Leone XIII nel 1893 e sul franto laico espressa dalla socialdemocrazia che diceva di riformare il capitalismo insediando il welfare (questa parola che per l'economia neo-liberale è diventata quasi una parolaccia, tanto che le vostre brave Unità Sanitarie Locali sono diventati "Aziende Sanitarie Locali". Il malato non è più una persona, è un utente. E le sale di chirurgia devono rendere conto delle operazioni che vengono effettuate quasi nello stesso modo in cui il magazziniere rende conto delle merci che entrano o escono). Dove sta in tutto ciò l'identità italiana? Allora, di fronte a questa incertezza e a questo smarrimento totale, qualunque cultura che abbia un minimo di coerenza e di forza, fa paura. Altrimenti non posso pensare come 400-500 mila immigrati possano minacciare la cultura di 58 milioni di italiani! È un'aberrazione. Se la minacciano, significa che la cultura d'origine sta attraversando una fase di grande debolezza. Dopo di che ci sono dei conti aperti tra l'Occidente e il mondo arabo, dei conti storici. Lepanto o i diversi nodi che non sono stati risolti con il crollo dell'impero ottomano. E in questa situazione, l'Occidente che cosa ha fatto? Si è solo precipitato sulle spoglie dell'impero ottomano dividendolo tra britannici e francesi, senza affrontare la questione culturale. Quindi stiamo facendo, con tanti secoli di distanza, i conti con i problemi che non avevamo risolto ieri, i problemi storici tra il mondo arabo e il mondo cristiano. Però possiamo dire che il cavallo di Troia è oramai oltre le mura. Non possiamo pensare di cacciarlo, di ridefinire la nostra identità e poi semmai di rincontrarli. Sono già qui.

I Mussulmani in Italia. Cosa vuoi fare con loro. Arrivare allo scontro? Come stanno facendo su i vari Borghezio che a Lodi hanno portato i maiali su un terreno destinato a far sorgere una moschea. Questa è la soluzione che noi diamo ad un problema annoso come questo? Quindi c'è la necessità, su questi problemi, di essere molto seri: non ci si può scherzare su questioni di tale genere. E allora qual è la scorciatoia? La scorciatoia è di dire che loro hanno un valore forte e di contrapporre anche noi un valore forte: che troviamo nel Cristianesimo. Il Cristianesimo "à la carte", prendendo solo quello che mi serve per costruirmi un'identità e lasciando fuori tutto il resto. Per cui i grandi liberali come Ferrara, Feltri, Panebianco, oggi sono diventati i difensori dei valori cristiani, traviando lo stesso messaggio cristiano, proprio perché Cristiano significa essere aperto all'universale. Cristo non è Europeo, Cristo è nato in Medio Oriente ed è stato ammazzato perché ha rifiutato di identificarsi con una religione di stato. " Il mio regno non è di questo mondo." ha detto agli Ebrei. E gli Ebrei hanno risposto: " Bene, se il tuo regno non è di questo mondo, a questo punto non ci interessa, perché noi aspettavamo il Messia che doveva liberarci dai Romani. Se sei venuto per questo, ti sosteniamo. Se non sei venuto per questo, non ci servi più ". Non so se vi rendete conto. Proprio colui che ha creato questa religione, sta ridiventando in Europa la persona attorno al quale coagulare una religione culturale e sociologica. Non è bastato il cesaropapismo del Medioevo che ha traviato lo stato e la religione. Grazie a Dio, il concilio ha liberato la religione e lo stato. Non possiamo tornare indietro. E i Cristiani che non sono Europei, possono fare la stessa operazione? Che facciamo, ci accaparriamo gli abiti di questo cristianesimo, un pezzettino all'uno, un pezzettino all'altro? Non è seria questa cosa. E che Ruini, Ratzinger entrino in questa operazione, davvero è una cosa che mi scandalizza. È scandalosa, dal punto di vista dottrinale, prima ancora che dal punto di vista morale e politico. Però si sa, lo Spirito Santo non soggiorna a Roma! Io mi auguro davvero che muoia presto questo Papa (Giovanni Paolo II, n.d.r.). Sono cinque anni che non controlla più niente. La fanno da padrone i vari Ruini e Ratzinger. Che muoia, che ci sia un uomo nella forza delle sue capacità fisiche e mentali e che decida. Non mi puoi scrivere un'enciclica aperta, rifiutare la guerra e avere invece dietro di te tutti i tuoi collaboratori che costruiscono una fortezza cristiana contro i Mussulmani. Non è coerente tutto questo, almeno dal mio punto di vista.

Basta, concludo così. Solo un'ultima constatazione, quella che una serata come quella che abbiamo vissuto oggi ci dice che dobbiamo reimparare a passare il tempo insieme. Grazie.