FERRO ITALIA di CANNARA

UCCISA DAL NEOLIBERISMO
di Fabrizio Baroni *


manifesto pubblicato il 15 luglio 2003: quasi una profezia!

La chiusura definitiva del colorificio ceramico di Cannara e "la collocazione in mobilità – fino al licenziamento – di tutte le 98 unità lavorative in forza, per effetto della cessazione della attività produttiva…" (come si legge nell’ipotesi d’accordo, ratificato dall’assemblea dei lavoratori a larghissima maggioranza, il 4 settembre scorso) è il risultato di una pratica neoliberista che non trova ostacoli.
La globalizzazione capitalista non è solo la disperata condizione di vita di gran parte del pianeta, la distruzione dello stato sociale, o il crollo dell’economie del sud-est asiatico (1997) e dell’America Latina (Argentina, Perù, Venezuela…), ma è anche un periodo di violenta concorrenza tra le grandi multinazionali. Da qualche anno assistiamo a feroci guerre commerciali, a giganteschi processi di concentrazione del capitale: fusioni ed acquisizioni senza precedenti che generano dolorose ristrutturazioni con migliaia di nuovi disoccupati anche negli stessi paesi capitalisti avanzati e nella stessa Europa, dove la classe operaia era finora riuscita a conquistare una relativa stabilità del posto di lavoro.
La vicenda "Ferro" sta tutta dentro questi meccanismi.
La marcia, verso la concentrazione, della multinazionale statunitense è iniziata nel ’93, con l’estromissione della "Bayer" dal settore della ceramica attraverso l’acquisto dello stabilimento di Cannara (dal 1900 a metà anni ’70 di proprietà Bonaca) e dei laboratori di ricerca e di sviluppo di Maranello (ex-Icc).
Nel maggio del 2000 viene avviata l’opera di acquisizione della Degussa (altro gigante della ceramica internazionale) e l’integrazione dei due gruppi (OM Group e Ferro Corporation) che hanno entrambe la loro sede centrale a Cleveland (Ohio – Usa -) si concretizza nell’arco di tre anni… Con 22 stabilimenti di produzione e centri di assistenza tecnica (distribuiti sui cinque continenti), l’acquisizione amplifica la copertura geografica di ciascun settore di attività e, con un rialzo di 520 milioni di $ fino a vendite consolidate pari a 2.000 milioni di $, l’Azienda punta ad una crescita delle vendite e dei profitti grazie ad un portafoglio di attività in cui è leader (…), maggiori opportunità per migliorare l’efficienza e ridurre i costi (…), avere un riscontro molto positivo da parte degli investitori, anche se naturalmente vi saranno cambiamenti sostanziali che avranno effetto anche sui dipendenti, poiché sia la "Ferro" che "Cerdec Ceramics" (OM Group) sono fornitori leader di fritte e colori per l’industria delle piastrelle (…) e quindi si sovrappongono sia in relazione ai prodotti, sia per quanto riguarda i mercati serviti.
Le frasi in corsivo, pregnanti di retorica liberista, non sono frutto della fantasia di una mente deviata, ma più semplicemente il sunto di un documento aziendale non clandestino, distribuito in fabbrica e, pertanto, a tutti noto sin dagli inizi del 2001.
Già da allora, seguendo i crismi della dottrina neoliberista, il sito produttivo di Cannara – pur efficiente e redditizio, con certificazione di qualità, ecc. – veniva considerato obsoleto e dai costi insopportabili. Già da allora, l’ipotesi di una dismissione (a media scadenza) dell’opificio, anche in relazione all’assenza di investimenti sullo stesso, era tutt’altro che immaginaria.
Infatti, la valutazione profondamente errata di quel documento e il silenzio assoluto, l’immobilismo (soprattutto del Sindacato) che ne è seguito, hanno accelerato l’inizio delle operazioni di chiusura di alcune fabbriche del nuovo gruppo, con licenziamenti degli operai dell’ex-Pardo (nei pressi di Firenze) e di quelli di Sassuolo (ex-Cerdec).
Questo in Italia, nel biennio 2001/2002.
Altrove, in particolare in Europa e nel Nord-America, è avvenuta la stessa identica cosa.

Con questo disegno, che mira ad una redditività superiore (maggiori profitti) attraverso una massimizzazione delle risorse per la produzione (minore forza-lavoro), la "Ferro Corporation" oggi può vantare risultati soddisfacenti solo per gli investitori: un fatturato in crescita del 22,6% con 1769 dipendenti in meno (una riduzione del 18,9%), come viene registrato nel bilancio aziendale del 2002.
Tutto ciò è evidentemente (e colpevolmente) sfuggito.
In tutta la vicenda "Ferro" scorre la pellicola del rullo compressore del pensiero unico dominante e di una classe politica dirigente genuflessa e totalmente asservita ai Poteri forti.
Prevedibilmente, il progetto ambizioso della "Ferro Corporation" è quello di massacrare la concorrenza per un controllo totale del mercato della ceramica. Pertanto, non si fermerà qui: non si escludono nuove ed ulteriori transazioni/acquisizioni, come l’inglobare nel gruppo l’inglese "Johnson Matthey", con conseguenti massicci licenziamenti di operai, soprattutto in Europa (Spagna, Portogallo e definitiva chiusura degli stabilimenti italiani e francesi – Corlo (Mo) e Limoges), forse "privilegiando" realtà ai confini della mercantilizzazione (Cina, VietNam, ex- Unione Sovietica).

Tutte le grandi concentrazioni che si sono realizzate hanno comportato una massiccia riduzione delle capacità produttive, attraverso la chiusura di interi stabilimenti e il licenziamento di migliaia di lavoratori. La "Mercedes" ha massacrato i lavoratori americani della "Crysler"; la "Renault" ha ridotto drasticamente il numero degli occupati alla "Nissan"; la "BMW", con l’acquisizione della "Rover", si è liberata di una parte consistente della vecchia casa inglese. La "Danone" ha fatto la stessa cosa, anche dalle nostre parti, con la "Ponte"; e così pure la "Michelin" in Francia, o la "Good Year" a Latina…
Un elenco lunghissimo di manovre, tutte inscritte nel processo della globalizzazione capitalista. E su tutte grava una chiara complicità delle istituzioni.

Si rifletta sui cambiamenti avvenuti nell’ultimo decennio. Chi governa l’economia del mondo? L’implosione del regime sovietico e la fine dell’equilibrio bipolare nel sistema delle relazioni internazionali ha riportato gli Stati territoriali in balìa dei potenti, in particolare delle multinazionali. Chi non vuole vedere può continuare a non vedere, ma rimane indiscutibile il fatto che i Paesi ad alta industrializzazione hanno adottato la delocalizzazione produttiva come mezzo per spostare parte delle attività produttive (in genere quelle a minore valore aggiunto) in Paesi che si sono recentemente aperti al mercato o che comunque offrono condizioni più favorevoli in termini di minori costi di produzione o più facili condizioni di operatività (Europa centro-orientale, India, Sud-est asiatico, America Latina, Russia, Asia centrale). Questa formula si è dimostrata enormemente vantaggiosa e chi l’ha praticata ha vinto la sua corsa.

E’ la legge della giungla ! E’ il mercato, bellezza ! E’ anche però la totale irrazionalità del sistema !
Dal punto di vista degli interessi degli azionisti, dal punto di vista dei meccanismi capitalistici della globalizzazione, quello che è successo alla "Ferro" è del tutto razionale; ma ciò che è razionale per gli investitori, distruggere capitale fisso (gli stabilimenti) e variabile (i lavoratori che si trovano senza occupazione) per rilanciare i profitti, diventa assolutamente irrazionale per gli operai, per l’indotto, per le collettività e i territori che subiscono i contraccolpi sociali ed economici.
Ora, la nostra incapacità di tradurre le dinamiche industriali e i movimenti transnazionali del lavoro, il clima talvolta esasperato e confuso emerso all’indomani della decisione di chiudere lo stabilimento di Cannara, le profonde croniche divisioni (di natura anche generazionale) tra i lavoratori, nonchè l’indisponibilità degli "addetti ai lavori" (sindacalisti, amministratori locali, politici) ad inoltrarsi sul terreno più arduo dell’autogestione o della regionalizzazione di un’attività che non avrebbe avuto problemi di continuità anche attraverso una gestione a "capitale misto", hanno favorito il percorso di un compromesso "liberatorio": ricorso agli ammortizzatori sociali, incentivazione all’esodo, qualche trasferimento, la vendita del terreno e degli edifici a qualche compratore per una ipotetica riconversione industriale.
Tutto ampiamente previsto. Il copione è lo stesso: monetizzazione dei licenziamenti e tante (troppe) promesse.

(*) – dipendente "Ferro Italia" Cannara
socio fondatore del circolo "primamaggio"

P.S.:
L’assenza di un progetto "forte", realmente alternativo, che inevitabilmente apriva un contenzioso con la multinazionale (ipotesi inizialmente esclusa da tutti, poiché – tranne qualche espressione marginale – tutti hanno assunto in pieno le logiche neoliberali), ha suggerito allo scrivente e a pochissimi altri di elaborare soltanto un documento politico (sottoscritto come collaboratori del circolo culturale "Primomaggio") e di non partecipare a nessuna delle iniziative promosse dal Sindacato e dalla Rsu (tranne che agli scioperi, interpretati però come semplici atti simbolici).
Ragionando a posteriori e in considerazione dei velenosi strascichi che questa brutta storia ha lasciato, lacerando ancor più una classe lavoratrice fin troppo debole (ed omologata), ritengo che questa sia stata la cosa più saggia mai fatta in 31 anni di presenza e (anche) di impegno sindacale dentro questa fabbrica. A differenza del passato, questa volta posso almeno dire di non essere stato portato in giro né dai sindacalisti, né dai politicanti di turno, autori di una passerella elettorale disgustosa.
Alla retorica e alla propaganda di costoro, rispondo con le parole di Vittorio Agnoletto ("Prima Persone" – Editori Laterza): le proposte per contrastare le minacce insite nella strategia impersonale delle multinazionali non possono ridursi a generiche soluzioni "di controllo", ma devono essere formulate in termini di rivendicazione del primato della politica sull’economia…".
A Stefano Vinti, grande "comunicatore" del Prc regionale, l’invito a rimanere nel silenzio quando non si hanno radici in fabbrica e si ha la presunzione di sapere e risolvere tutto calando dall’alto risposte e strategie astratte. Eppure, dovrebbe sapere che la resistenza operaia, quando non supportata da un progetto "forte" e da condizioni (esterne ed interne) favorevoli, è destinata a sciogliersi come neve al sole.

Cannara, 16 settembre 2003

Se avete quache minuto da perdere forse vale la pena di leggere questa ricostruzione certosina della storia della ex Bonaca
Ciao Maurizio 

LA FINE DI UNA FABBRICA IN SALUTE
Sabato 4 ottobre 2003.

Ultimo giorno di lavoro per i 98 dipendenti della “Ferro Italia” di Cannara.

Centotre anni di vita di questa fabbrica vengono buttati nell’immondezzaio, grazie alla scellerata decisione della multinazionale statunitense “Ferro Corporation” di chiudere un sito industriale in salute.
Al macero vengono triturate professionalità, risorse, energie e, soprattutto, decine e decine di persone in carne ed ossa, molte delle quali hanno percorso le fasi più difficili (negli ultimi venti anni, diversi momenti critici e un paio di ristrutturazioni con il pesante carico dei licenziamenti)di questo storico colorificio ceramico.
Chi si occupa di edilizia e di chimica fine, chi si intende di pavimenti e rivestimenti, di stoviglieria e porcellane, di materiali igienico-sanitari, non può non conoscere i prodotti della “Bonaca”, le sue cristalline e le fritte opacizzate, gli smalti lucidi e mattizzati, i suoi “magici” coloranti per ceramica, l’arancio castelli, il giallo al praesodimio, il rosso al selenio, il rosa al ferro, l’ineguagliabile nero M314, il bluè elettrico, il turchese al metavanadato, e così via.
Dal prossimo lunedì, tutto verrà gettato nella spazzatura.
Sono bastate quattro pagine dattiloscritte e poco più di un paio di mesi di trattative per mortificare un secolo di storia della più importante industria di Cannara: un centinaio di persone che se ne vanno a casa, ma altrettante (quelle – ancora in vita – che hanno circolato per anni dentro gli uffici o dentro gli ambienti polverosi dei vecchi capannoni, sputando il sangue e talvolta rimettendoci la salute) che hanno condiviso con i più giovani la sofferenza del momento, imprecando e maledicendo alla fine la calata di questi Attila di inizio millennio.

BAYER – FERRO: Un secolo di storia industriale

Il colorificio ceramico di Cannara, noto ancora come “Ditta Bonaca”, è stato sicuramente il sito industriale più grande del paese. Costruito nel 1900 da Claudio Bonaca, iniziò con la produzione di ossidi di piombo (minio e litargirio) e con il tempo allargò poi l’attività all’ossido di zinco e ai colori e smalti per ceramica.
L’azienda – sviluppatasi disordinatamente nei pressi del centro storico di Cannara – rimase proprietà esclusiva della famiglia Bonaca fino al 1970 quando, avendo deciso di ampliare il proprio peso sul mercato, gli eredi trovarono un partner nella “Smalton Spa” di Milano, società azionaria a maggioranza “Bayer”.
La partecipazione della Bayer nella Bonaca è pertanto indiretta e tale da non modificare il carattere privato della società. L’azienda diventa società per azioni: 50% proprietà Smalton, 25% del comm. Camillo Bonaca (figlio, ormai ottantenne, del fondatore), 16,66% della signora Wanda Bonaca in Rulli e 8,34% della signora Maria Elisabetta Bonaca in Cicioni. In questo periodo, la “Bonaca s.p.a.” raggiunge una punta massima di 280 dipendenti (nel triennio 73/75), poi una vera e propria crisi di settore riduce le unità lavorative a circa 200.
Accordi tecnici e commerciali tra la Bonaca e la Bayer permettono alla nuova società di poter disporre di tutte le tecnologie utilizzate nei vari stabilimenti della multinazionale tedesca, sparsi in Europa, Stati Uniti e Messico e di poter conoscere le possibilità del mercato anche a livello mondiale.
La necessità di trasferire lo stabilimento dal centro del paese, viene definito con l’identificazione da parte del Comune di Cannara di una zona industriale in località Isola, dove nel 1980 e grazie alle agevolazioni creditizie previste dalla legge n.183/’76, inizia la costruzione del nuovo stabilimento.
Nel 1982, con l’inizio della produzione presso il sito produttivo e l’innalzamento del capitale sociale, la famiglia Bonaca esce dalla Società, pur mantenendone
(con l’erede Avv. Francesco Rulli) la Presidenza onoraria.
Arrivano naturalmente le prime dolorose ristrutturazioni che comportano una riduzione drastica degli organici
(nell’arco di quattro anni si passa da 190 a 108 unità) anche se, a partire dal 1986, aumentano i carichi produttivi attraverso un’avanzata tecnologia per i forni fusori e per il reparto coloranti, con investimenti su nuovi impianti per la produzione di specialità per ceramiche: graniglie e granulati.
Nel 1993 la Bayer cede lo stabilimento di Isola alla Ferro, multinazionale americana, leader mondiale nella produzione di smalti, vernici, vetri e colori per l’industria ceramica, con presenza significativa nel campo dei refrattari speciali, delle materie plastiche, dei prodotti per l’elettronica.
La Ferro Corporation è presente in tutto il mondo con stabilimenti produttivi in 24 paesi e presenza commerciale in oltre 100 nazioni distribuite nei 5 continenti.
Ferro Italia è l’espressione italiana dell’attività internazionale del gruppo ed ha sede nel cuore del comprensorio ceramico più importante del mondo (Sassuolo, in provincia di Modena).
In una prima fase, sotto la direzione Piovan-Ori e nonostante l’ostruzionismo della divisione spagnola (la ramificazione più potente della multinazionale in Europa), la Ferro decide di concentrare tutte le lavorazioni su questo stabilimento: dalla fusione delle fritte, alla produzione dei coloranti, all’assemblaggio dei composti, alla trasformazione dei semilavorati con produzione di macinati e graniglie.
Dal ’98, con la nuova gestione Lachica (dirigente argentino tristemente noto come gestore del “trapasso” di una unità produttiva olandese), l’Azienda si distingue per il blocco degli investimenti in loco annullando di fatto una licenza edilizia approvata per un ampliamento di 2650 mq. del reparto calcinazione coloranti. Una radicale inversione nella strategia aziendale avviene però con la acquisizione dell’ ”OM Group” (Degussa) e del marchio “Cerdec” (agli inizi del 2000).
La produzione lievita, nonostante il mantenimento “all’osso” dei livelli occupazionali, e raggiungerà, nel 2002, la cifra record di 52.470 tonnellate di materiali, senza avere un infortunio e con il sito più certificato in Europa e il primo nella “Ferro Mondo” per qualità del prodotto.
Il resto è storia degli ultimi giorni, con il classico e letale “colpo di spugna” nella cancellazione di una fabbrica e la cessazione di un’attività che per tanti anni è stata “fiore all’occhiello” del paese e del territorio.

L’accordo sottoscritto dalle Parti e votato dai lavoratori.


Venerdì 5 settembre, ore 10. Viene indetta un’assemblea dei lavoratori (l’ultima di una lunghissima serie) per ratificare o bocciare una ipotesi di accordo sottoscritta a Perugia il giorno precedente da Cgil-Cisl-Uil, Rsu aziendale e dalla Direzione “Ferro Italia” assistita dall’Associazione Industriali di Perugia.

Sinteticamente il verbale di accordo recita che:
PREMESSO
° che la FERRO ITALIA s.r.l….occupa attualmente n.266 unità lavorative, di cui n.98 presso l’unità produttiva di Cannara dove viene effettuata la produzione di fritte, smalti e coloranti per la ceramica;
° che la FERRO ITALIA s.r.l. appartiene al Gruppo Multinazionale Statunitense Ferro Corporation…;
° che la Ferro Corporation, nell’ambito dei suoi piani strategici ha sviluppato, negli ultimi anni, un graduale processo di acquisizioni su scala mondiale che ha determinato, tra l’altro, l’acquisizione di siti produttivi (stabilimento di Sassuolo – Mo) per la produzione di coloranti e smalti; stabilimenti Nules/Castellon, in Spagna, per la produzione delle fritte, caratterizzati dalle stesse produzioni realizzate a Cannara;
° che le sfide competitive imposte da un mercato sempre più critico (…) hanno reso indifferibile per il Gruppo (…) l’avvio di un vasto e profondo processo di razionalizzazione organizzativa e di ottimizzazione dei siti produttivi presenti in Europa…;
° che la FERRO ITALIA s.r.l….ha assunto la decisione di cessare l’attività nella Unità produttiva di Cannara, concentrando la produzione degli smalti e coloranti presso lo stabilimento di Sassuolo (Mo) e la produzione delle fritte presso gli stabilimenti spagnoli Nules/Castellon;
° che, pertanto, la FERRO ITALIA s.r.l. in data 4 settembre 2003 ha formalmente attivato la procedura di cui agli artt. 4 e 24 della legge n.223/91, per pervenire al licenziamento per riduzione di personale ed alla conseguente collocazione in mobilità di tutte le n.98 unità lavorative in forza allo stabilimento di Cannara, per effetto della cessazione della attività produttiva;
° che le Organizzazioni Sindacali e la Rsu, nel prendere atto della decisione assunta dall’Azienda e dalla sua irrevocabilità, pur non condividendola e criticandola nel merito, hanno formalmente richiesto alla azienda di evitare soluzioni traumatiche…;
° che, in particolare, le OO.SS. e la Rsu (…) hanno formalmente richiesto alla azienda di elaborare un piano di gestione degli esuberi teso a ridurre, nell’arco dei prossimi 12 mesi, il ricorso all’istituto della mobilità, e tale da consentire all’azienda di avanzare istanza di riconoscimento dell’intervento della Cigs, ai sensi dell’art.1 legge n.223/91 e dell’art.2 DM 18 dicembre 2002…;
° che la FERRO ITALIA s.r.l….in sede ministeriale ha comunicato la propria decisione di aderire a tale richiesta, elaborando un piano di gestione degli esuberi, articolato nei seguenti impegni ed iniziative:
a)…trasferimento di circa n.20 unità lavorative…richieste dallo stabilimento di destinazione;
b)…favorire la ricollocazione del personale esuberante presso altre aziende ed attività del territorio…tenuto anche conto degli impegni assunti in tal senso dalla Regione dell’Umbria;
c)(…); d)(…); e)(…); f) impegno dell’azienda a privilegiare ed agevolare, nell’ambito delle future trattative che interverranno per la cessione dell’immobile e dell’area in cui insiste lo stabilimento di Cannara, ipotesi e soluzioni imprenditoriali che possano favorire continuità produttiva; ipotesi e soluzioni che favoriscano la rioccupazione dei lavoratori della Ferro Italia. Quanto sopra anche in coerenza con gli impegni assunti a livello istituzionale e, tenuto altresì conto del supporto offerto dalle strutture regionali (Sviluppumbria, Gepafin) per la ricerca di iniziative imprenditoriali sostitutive.


SI CONVIENE

1)(…); 2) (…); 3) Le parti convengono circa l’esistenza dei requisiti e dei presupposti che consentano all’azienda di richiedere il riconoscimento del trattamento di Cigs nei confronti di tutte le n.98 unità lavorative…che saranno sospese dal lavoro a decorrere dal 6 Ottobre 2003 e per i successivi 12 mesi…;

4)(…); 5) (…); 6)…I lavoratori che permarranno in forza al termine dei 12 mesi di Cigs, saranno collocati in lista di mobilità. (…) Nei confronti dei lavoratori che ad esito delle procedure di cui sopra, alla scadenza o nel corso dei 12 mesi di Cigs, saranno collocati in mobilità e che sottoscriveranno apposito verbale di conciliazione in sede sindacale per sancire l’inoppugnabile e definitiva risoluzione del rapporto di lavoro e la totale definizione di ogni eventuale pendenza, l’azienda si impegna a corrispondere…una somma a titolo transattivo e come incentivo all’esodo (legge n.291/88) di importo lordo pari a 12 mensilità retributive lorde. 7) (…).

I lavoratori presenti alla votazione (circa 70), quasi all’unanimità (solo tre gli astenuti), dicono “si” all’accordo e i giochi sono fatti…

E’ un suicidio collettivo. In pratica si accettano le estreme condizioni della chiusura dello stabilimento e del proprio licenziamento, anche se con la “morfina” della cassa integrazione straordinaria (un anno) e un gruzzolo di soldi come pillola edulcorata. Poi si andrà tutti nel lungo elenco delle liste di mobilità regionale, in attesa di essere chiamati o per qualche lavoretto “socialmente utile” o, peggio ancora, da qualche padroncino della zona (in un raggio massimo di 50 chilometri) naturalmente con un contratto a tempo determinato, stagionale, part-time, di collaborazione continuata (i famigerati Co.Co.Co.), ecc….

Una brutta, brevissima storia, iniziata qualche mese fa…

La cronaca.

Siamo alla fine di giugno. Qualcuno, nei piani alti (un quadro aziendale? Un caporeparto? Il braccio destro del direttore Lachica?), si accorge che molto più di un qualcosa non funziona come dovrebbe, ci sono meccanismi organizzativi e commerciali che si stanno bloccando; il sospetto è che ci sia un vero e proprio sabotaggio dall’alto, in particolare dalla direzione europea (con fissa dimora in Spagna).

In un primo momento, nonostante un volantino dai toni forti ed allarmistici fatto circolare da un fantomatico “comitato di base”, c’è solo scetticismo e il fastidio di trovarsi di fronte alla solita “sparata” di certuni, ben individuati edal passato (recente) poco trasparente.

E’ proprio la scarsa credibilità dei denuncianti che fa giudicare quantomeno bizzarra la notizia di una imminente chiusura dello stabilimento di Cannara.

D’altronde, come pensare diversamente, se è vero (come è stato poi confermato dalla stessa direzione aziendale) che, nonostante la flessione del mercato della ceramica durante il primo semestre 2003, questo sito produttivo sia riuscito a mantenere lo stesso andamento positivo dell’anno precedente (un fatturato di 71 milioni di Euro, con un utile operativo di 4,6 milioni di Euro, nonostante una perdita annua di 3 milioni di Euro legata all’acquisizione della Cerdec)?

Un secondo volantino, sempre dello stesso organismo sindacale, dal titolo urlato “Stiamo chiudendo !”, risveglia dal torpore i sindacalisti della Rsu e quelli regionali della Fulc, costretti a chiedere alla direzione aziendale la convocazione di un incontro immediato “per avere chiarimenti rispetto all’episodio, capire le strategie aziendali ed ottenere un impegno ad investire risorse e capitali nell’immediato futuro, per allontanare definitivamente dubbi su ipotetiche eventualità di chiusura dell’unità produttiva di Cannara”.

La risposta della “Ferro Italia” non arriva. L’Azienda è reticente.

In fabbrica, ora, c’è disorientamento, preoccupazione e nervosismo; nessuno è più disposto a lavorare, senza garanzie; la produzione, praticamente, si blocca; c’è una specie di “sciopero bianco” per almeno dieci giorni, con capannelli e mini assemblee in tutti i reparti.

Un clima surreale, in mezzo al silenzio assoluto ed imbarazzato del direttore, ing. Lachica.

Dal comportamento insolito ed estremamente permissivo della direzione aziendale, si intuisce perfettamente che c’è qualcosa di marcio e che le procedure per un prossimo smantellamento di questa fabbrica sono già state avviate.

Succede il finimondo. I telefonini mobili non smettono di squillare; vengono allertate le sedi centrali e periferiche sia dei sindacati che dei partiti di riferimento; sono invitati ad intervenire anche i parlamentari eletti nei collegi territoriali; i sindaci di Cannara e Bevagna hanno il loro carico di lavoro, come massimi rappresentanti delle collettività più compromesse.

Si pensa già ad una “unità di crisi”. Il bubbone è scoppiato. Sulla vicenda si tuffano anche gli organi di informazione locale. E’ una macchina micidiale, che mette in difficoltà la stessa multinazionale: viene così “rovinata” l’immagine di un’Azienda che avrebbe sicuramente preferito risolvere la questione, in maniera meno rumorosa, approfittando magari del periodo estivo (e della usuale chiusura periodica dello stabilimento) per inviare a casa di tutti i lavoratori le lettere di licenziamento.

Nella logica padronale s’è inceppato qualcosa e, sicuramente, la “Ferro Corporation” alla fine farà pagare ai liquidatori scelti, il prezzo di questo “insopportabile disguido”.

Si scaldano i motori delle rappresentanze istituzionali. Arrivano le prime denunce ufficiali.

In un’interrogazione al Consiglio Regionale dell’Umbria, presentata il 9 luglio, il capogruppo di Rifondazione Comunista, Stefano Vinti, chiede un intervento che serva a salvaguardare i livelli di occupazione “messi in pericolo da una eventuale chiusura dell’impianto che potrebbe pregiudicare in modo rilevante, anche per l’indotto che sino ad oggi si è creato, il tessuto economico di questo comune”. Nella interrogazione, il consigliere puntualizza che i lavoratori sono attualmente impegnati in una mobilitazione che ha portato a tre giornate di sciopero, indetto dalla Rsu, per il 7, 8 e 9 luglio.

Secondo Vinti, “Constatato che la multinazionale americana Ferro Corporation è diventata proprietaria dello stabilimento Isola di Cannara nel 1993…; constatato che La Ferro Italia è stato il primo colorificio italiano ad avere conseguito la certificazione della qualità ed è uno stabilimento fortemente automatizzato…; constatato che lo stabilimento di Cannara rappresenta una realtà occupazionale e produttiva di rilevanza centrale per il territorio, ma anche per diversi comuni limitrofi; (…) considerato che tra i lavoratori è diffusa e motivata la preoccupazione per lo smantellamento…e che questo timore deriva dal comportamento e dalle scelte della direzione aziendale, caratterizzate dall’assenza di investimenti per la ricerca e l’ottimizzazione delle produzioni, dalla precarizzazione e scomparsa di alcune figure professionali, dalla decisione di abbandonare la produzione di prodotti competitivi sul mercato a beneficio di altri che riempiono i magazzini, e inoltre dal fatto che il programma di produzione è garantito fino al 18 luglio e non vi è alcun programma-ordini predisposto per la ripresa dei lavori dopo le ferie di agosto; (…) considerato che, nonostante la produzione dello stabilimento di Cannara abbia un costo del prodotto di £.60/Kg. superiore ad altri siti produttivi a causa dei costi di trasporto, ha compensato sempre con l’elevata qualità questo svantaggio rispetto ai costi e che lo stabilimento di Cannara abbia, così, sempre avuto un risultato economico ampiamente positivo; considerato che la direzione aziendale non ha mai risposto alle sollecitazioni in merito a ipotesi di smantellamento, delocalizzazione o riduzione delle produzioni…; Si interroga la Giunta regionale per conoscere: quali iniziative intenda adottare nei confronti della “Ferro” e (…) quali provvedimenti intenda attuare per salvaguardare i livelli occupazionali messi in pericolo da una eventuale chiusura dello stabilimento…”.

Il giorno stesso, a Roma l’on. Giuseppe Giulietti presenta un’interrogazione parlamentare al Ministro del Lavoro.

Il deputato diessino, nella sua relazione, invita il governo ad “approfondire la situazione aziendale della Ferro Italia di Cannara attraverso il proprio ufficio regionale del lavoro” e a “verificare l’opportunità di una urgente convocazione delle parti, anche in sede regionale, per analizzare le prospettive dell’azienda, dei livelli occupazionali e produttivi”.

Il parlamentare ricorda anche che “l’attuale situazione occupazionale, in un’area già pesantemente colpita nel settore tessile, apre una nuova crisi nel comparto chimico, finora rimasto esente, almeno nell’area di Cannara, da processi di dismissione industriale” e che la “preoccupazione muove dal fatto che nel confronto con l’azienda non si è andati oltre la data del 25/8/2003 nel rappresentare le prospettive produttive. L’Azienda si è genericamente impegnata a convocare una nuova riunione con le OO.SS. entro la data del 25 agosto e a riprendere l’attività produttiva post feriale…”.

Nel frattempo arrivano i primi interventi ed attestati di solidarietà da parte dei sindaci di Cannara (Roberto Barontini) e di Bevagna (Enrico Bastioli).

“I dirigenti americani avrebbero deciso di chiudere la filiale di Cannara e di trasferire i suoi impegni in parte in provincia di Modena, in parte in Portogallo? Non c’è nulla di ufficiale, ma certi segnali sono inequivocabili” sottolinea in un comunicato-stampa il sindaco di Cannara. “Fino a poco tempo fa abbiamo intrattenuto buoni rapporti istituzionali con i dirigenti della Ferro, in particolare con l’amministratore delegato Carlos Lachica, un argentino americanizzato. Da qualche tempo, malgrado nostre sollecitazioni e forti fermenti in fabbrica, non è possibile un confronto. Non siamo disponibili ad abbassare la guardia e presto promuoveremo un consiglio comunale aperto…”.

Ancor più combattivo il sindaco di Bevagna che, oltre a solidarizzare con tutto il personale che opera nell’azienda e ad incontrare i vertici della stessa per riuscire a comprendere le difficoltà, in una nota sottolinea che “la nostra giunta è coinvolta nella vicenda e non solo perché i disagi riguardano anche i 18 dipendenti bevanati che sono impegnati in quell’azienda. Siamo pronti a mettere in campo qualsiasi azione nell’interesse dei lavoratori e di un’azienda che ha grosse potenzialità, che tra l’altro registra utili cospicui e che ha ancora molto da dare. Siamo pronti per qualsiasi iniziativa che dipendenti e amministratori intenderanno mettere in campo per affrontare e risolvere il problema.”.

Mentre prosegue lo stato di agitazione dei lavoratori, l’attenzione dei sindacati è rivolta all’assemblea promossa per il 14 luglio. In quella occasione, alla quale sono state invitate le istituzioni del comprensorio, quelle regionali e provinciali e i parlamentari umbri, dovrebbe emergere un segnale forte per risolvere una situazione assai complessa.

L’assemblea, come facilmente prevedibile, si rivela una vera e propria kermesse elettorale. Consistente e variegata la rappresentanza politica presente all’appuntamento: dall’on. Domenico Benedetti Valentini (presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati), ai senatori Maurizio Ronconi (Udc) e Pier Luigi Castellani (Margherita), dal deputato Giuseppe Giulietti (Ds) all’assessore regionale allo sviluppo Ada Girolamini, fino ai consiglieri regionali Vannio Brozzi (Ds), Fiammetta Modena (Forza Italia) e Stefano Vinti (Prc). Tante le buone parole spese per sostenere la causa dei lavoratori, altrettanti gli applausi ricevuti a scena aperta. Il prossimo anno ci sono le elezioni, amministrative (provinciali e comunali) ed europee. Non è vero? E allora, una rincorsa a chi la spara più grossa…

Tutti promettono qualcosa, ma alla fine (come si vedrà) nessuno si farà più vivo.

Chissà se ci ricorderemo???

Si decide di passare alle due ore giornaliere di sciopero (14-15-16 luglio) fino a che non si avranno risposte certe sul futuro dei dipendenti.

“L’assemblea dei lavoratori
– si legge nel comunicato firmato dalla Rsu e dalla Fulc provinciale – ha analizzato e discusso la difficile situazione aziendale. Nonostante i ripetuti solleciti fatti, l’azienda non ha dato finora risposte soddisfacenti e chiare sul futuro dell’unità produttiva.”. Si teme uno smantellamento o una drastica riduzione della produzione. Ipotesi – continua il documento sindacale – “avvalorata dal fatto che il programma di produzione è garantito fino al 18 luglio. (…) Il timore è che l’azienda multinazionale americana abbia già deciso la delocalizzazione in altra sede, nonostante lo stabilimento di Cannara abbia sempre avuto un risultato economico ampiamente positivo. (…) I lavoratori si riservano di intensificare le iniziative di lotta, qualora l’esito dell’incontro con la direzione aziendale (fissato per il 16 luglio: n.d.r.) non dovesse fornire elementi chiari.”.

Il 15 luglio la vicenda del colorificio ceramico di Cannara approda sui tavoli di Palazzo Madama.

Attraverso un’interrogazione al Ministro Antonio Marzano, il senatore Pier Luigi Castellani chiede di conoscere “quali siano le vere intenzioni della Ferro Corporation in ordine all’azienda di Cannara e se, come appare assolutamente necessario, il Ministro abbia intenzione di promuovere un incontro tra i responsabili della multinazionale, le istituzioni locali e regionali e i sindacati al fine di definire con assoluta chiarezza, non solo la permanenza dell’azienda di Cannara, ma anche l’eventuale sviluppo futuro, tenuto conto della produttività e della validità dell’azienda e dell’impegno che le istituzioni locali hanno profuso per individuare un sito, quale quello di Cannara, ove l’attività risulta assolutamente compatibile.”

 

Lo stesso giorno si svolge un incontro a Perugia (Palazzo Cesaroni, sede regionale dell’Umbria) tra i capigruppo del centrosinistra e le rappresentanze sindacali aziendali. Da qui, la decisione di promuovere l’apertura di un tavolo di trattativa, con i dirigenti della società americana, presso il Ministero delle Attività Produttive. Contemporaneamente, si costituirà un altro tavolo regionale con tutte le associazioni di categoria.

Nell’incontro di Perugia, i consiglieri regionali Paolo Baiardini (Ds), Stefano Vinti (Rifondazione), Giampiero Bocci (Margherita) e Marco Fasolo (Sdi) si impegnano a sottoscrivere una mozione comune della maggioranza da presentare al Consiglio e chiedono alla Giunta regionale un interessamento urgente. Della questione si parla poco dopo nell’aula consiliare e l’assessore Ada Girolamini, rispondendo all’interrogazione presentata da Vannio Brozzi, dice di “non capire le strategie del Gruppo aziendale” e assicura “pressioni che facciano comprendere l’assurdità della situazione”.

 

Nel frattempo, anche l’on. Benedetti Valentini (An) sottopone al Ministro Marzano la “necessità di un’azione incisiva e unitaria fra tutte le istituzioni e i sindacati”.

Della situazione è adesso al corrente anche il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, il quale incontratosi con alcuni sindacalisti, assume l’impegno di portare l’argomento al tavolo negoziale nazionale.

 

“Perché la multinazionale Ferro, che ha sede a Cleveland, negli Stati Uniti, avrebbe preso la decisione di chiudere una fabbrica come quella di Cannara, che è un’azienda modello, che ha ottenuto le certificazioni per la qualità e la sicurezza, che pur essendo una fabbrica chimica, non è mai stata nel mirino degli ambientalisti e in cui da un anno non si verificano incidenti?”. E’ il cruccio dei sindaci di Cannara (Barontini), Bevagna (Bastioli), Foligno (Salari) e Spello (Rosignoli), riuniti in assemblea nei locali della fabbrica, il 16 luglio. “I lavoratori della Ferro (96 dipendenti diretti, 12 lavoratori interinali, e una quarantina coinvolti nell’indotto – manutenzione, manovrazione merci, pulizie, servizi generali, mensa e autotrasporti -) hanno lanciato l’Sos perché Regione e Governo si impegnino a portare la multinazionale al tavolo della trattativa. Loro, i lavoratori – dichiarano all’unisono i sindaci del comprensorio – sono davvero a terra. Sette mesi fa, a Natale, l’azienda aveva festeggiato un anno record e aveva invitato alcuni di loro a lasciare il posto fisso, acquistare un camion e mettersi in proprio come autotrasportatore. La Ferro avrebbe garantito lavoro. Perché adesso sarebbe scattato il ‘tutti a casa’?”.

 

Il 18 luglio, alle ore 17, presso il Teatro comunale di Cannara viene convocato un Consiglio comunale “aperto”. Tra i partecipanti, oltre naturalmente ai sindacalisti e agli amministratori locali, si nota la presenza di numerosi politici (dall’”Ulivo” alla “Casa delle Libertà”, a Rifondazione Comunista); pochi i lavoratori interessati, praticamente assente la cittadinanza.

E’ la solita “passerella”, con tante chiacchiere e poca sostanza. Non è mancato neanche il classico colpo di scena, con la comparsa di alcune lettere anonime, minacce e pesanti accuse ai rappresentanti della Fulc regionale, i quali hanno subito provveduto a sporgere denuncia per diffamazione alle autorità competenti. (Sembra che l’autore delle missive sia proprio da ricercare nella complicata e controversa struttura sindacale confederale).

Intanto, qualche ora prima, nella mattinata, il “circolo culturale primomaggio” aveva distribuito un documento politico, denunciando “un altro chiaro esempio di globalizzazione capitalista” e “…l’amara consapevolezza dell’assenza di strumenti legislativi e sindacali in grado di poter vincere una battaglia in altri tempi scontata” per concludere dicendo che, come altrove (la “Good Year” di Latina, ad esempio), anche a Cannara “il pensiero unico dominante, il neoliberismo imperante tritura tante ‘vittime innocenti’ tra i lavoratori, in nome dell’unico valore esistente, quello del profitto e del ‘dio denaro’. Insomma: nessuno illuda i lavoratori, troppo deboli e indifesi rispetto allo “strapotere delle multinazionali”.

“Chi potrà mai fermare le multinazionali – conclude il comunicato del ‘circolo culturale’ – se non una forte opposizione sociale e politica (che oggi, purtroppo, non c’è)???”.

 

La quarta settimana di luglio, quella che avrebbe dovuto portare al termine dell’attività produttiva e all’inizio del consueto periodo estivo di ferie, è decisamente la più dura. Sono ore cruciali. Le voci insistenti sulle reali intenzioni della multinazionale americana di non riprendere i lavori alla fine del mese di agosto e di chiudere definitivamente gli impianti, non trovano nessuna smentita o chiarimento da parte dei dirigenti aziendali.

All’interno della fabbrica aumenta il nervosismo, si intensificano le assemblee e gli incontri (più o meno informali) tra rappresentanti e rappresentati; in attesa dell’esito della riunione programmata per il 24 luglio presso il Ministero delle Attività Produttive a Roma, i lavoratori scendono di nuovo in sciopero (due giornate, il 23 e il 24, con assemblea permanente).

“Una decisione inevitabile – avvertono i sindacalisti – di fronte all’assoluto silenzio da parte dell’azienda. Atteggiamento aggravato dal fatto che si è iniziato con ritmo inusuale ad incrementare le spedizioni, e sono venuti meno gli ordini per garantire la regolare manutenzione del periodo feriale. (…) Qualora dall’incontro del 24 presso il Ministero non dovessero arrivare risposte convincenti sul futuro dello stabilimento, i lavoratori daranno il via da subito ad una forma di protesta più estrema e cioè l’occupazione della fabbrica…”.

E’ evidente l’intenzione da parte dei lavoratori di bloccare ogni spedizione, di non consentire che vengano trasportate fuori dalla fabbrica tutte le merci e le materie prime che vi si trovano.

Si avvicina sempre più il rischio di trovarsi senza lavoro nell’arco di brevissimo tempo.

 

Giovedì 24 luglio: il giorno più atteso, quello dell’incontro romano tra le Parti.

Alla riunione, coordinata da un alto funzionario del dicastero (il Dr. Rura), partecipano ben cinque dirigenti della “Ferro”, guidati dal responsabile per l’Italia, Dr. Daniele Bandiera, i segretari nazionali di categoria, i rappresentanti regionali della Fulc, la Rsu aziendale, i parlamentari Pier Luigi Castellani, Giuseppe Giulietti e Domenico Benedetti Valentini, l’assessore regionale Ada Girolamini e i sindaci di Cannara e di Bevagna.

In tale contesto, viene formalizzata l’intenzione, da parte della holding statunitense, di chiudere il sito cannarese, confermando così la fondatezza di tutte le perplessità e preoccupazioni che avevano indotto i dipendenti a mobilitarsi. L’amministratore delegato della “Ferro Italia” “riconosce che lo stabilimento cannarese può vantare un’indubbia efficienza e standard molto alti di qualità, produttività e capacità lavorativa. (…) Ma le strategie di una multinazionale guardano anche altri fattori. La decisione di chiudere questa fabbrica rientra in un processo di riorganizzazione dell’intero gruppo e della necessità di portare la produzione più vicina al mercato, dirottando quindi sugli stabilimenti spagnoli e nell’hinterland sassuolese…”. Ciononostante, “la Ferro Italia si dichiara disponibile ad avviare una trattativa per arrivare ad una soluzione di reciproca soddisfazione”. L’incontro viene aggiornato a mercoledì 30 luglio, alle ore 9,30, sempre presso il Ministero delle Attività Produttive, per affrontare nel merito e più dettagliatamente il problema.

Ora è ufficiale. La multinazionale americana avvierà nei prossimi mesi lo smantellamento dell’opificio e, conseguentemente, le procedure di licenziamento per tutti i lavoratori. Le parole del Dr. Bandiera, pesanti come macigni, sono tutte incluse dentro una logica neoliberista che non si accontenta più di ricavare profitti, ma di produrre altrove (ad esempio in Portogallo e in Spagna) per guadagnare di più e per rispondere così alle pressioni e all’ingordigia degli investitori.

E questo è il segnale preciso della famigerata globalizzazione in corso.

 

La mattina del 25 luglio, viene indetta un’assemblea che, ovviamente, conferma lo stato di agitazione, con sciopero e presidio ad oltranza degli impianti.

Nel frattempo, tanto per non smentire il detto popolare che “la mamma del bischero l’è sempre incinta”, in fabbrica si riesumano le armi della vendetta e della denigrazione verso alcuni lavoratori. Riemergono vecchi rancori mai sopiti e il semplice episodio di un “trasferimento in altra sede di una figura professionale” accolto, seppur con riserva, dal diretto interessato (Furio Cameli, responsabile del controllo qualità e coordinatore del laboratorio), viene artatamente ingigantito e stigmatizzato da un comunicato-stampa delirante, congiuntamente emesso dalla Fulc regionale e dalla Rsu.

“Le OO.SS…, riscontrano l’ennesimo segnale che conferma la strategia dell’azienda, ossia quella di dismettere lo stabilimento di Cannara. Infatti, nella giornata di ieri (n.d.r.: il 26 luglio) siamo venuti a conoscenza, per sua stessa ammissione, dello spostamento presso lo stabilimento Ferro in provincia di Modena di una figura di determinante importanza, il responsabile del controllo qualità della ceramica e coordinatore delle procedure della certificazione della qualità. (…) Arrivano da più parti personaggi prodighi di buoni consigli che vorrebbero indottrinarci e indicarci le migliori strategie per cercare di limitare i danni. I lavoratori sentitamente ringraziano, ma restano convinti che l’unica strategia utile per il mantenimento della unità produttiva sul territorio sia quella da loro intrapresa, che si interromperà solo nel caso in cui l’azienda accettasse una trattativa sindacale degna di tale nome, garantendo allo stesso tempo la continuità produttiva dello stabilimento di Cannara. Pertanto i lavoratori informano tutti coloro che vorrebbero farli recedere dalle proprie decisioni che la strategia ce l’hanno ben chiara, a differenza di altri che predicano bene e razzolano male. I lavoratori non stanno facendo nessun tipo di teatro e rispediscono al mittente tutti quei tentativi, peraltro meschini, che tendono a gettare discredito su tutti i soggetti che si stanno impegnando seriamente per il buon esito della vertenza. La Fulc, inoltre, riafferma tutto il proprio impegno e si dichiara non più disponibile ad accettare illazioni e chiacchiericci che di certo non giovano a nessuno, tanto meno a chi li mette in atto.”

Non si capisce il perché di tanta volgarità, come non si riuscirà mai ad individuare “quei fantomatici” destinatari dell’inquietante messaggio. L’uso del plurale è palesemente improprio, ma tutti gli strumenti sono validi per fare “terra bruciata” intorno a chi vuole mantenere il pallino in mano, senza essere disturbati.

Più di una cosa verrebbe voglia di lanciare a questi signori sindacalisti, mestieranti incarogniti da compromessi al ribasso che, parlando sempre e rigorosamente a nome dei lavoratori, spalmano sterco a volontà su chiunque provi a criticarli. In tutta la vicenda (ora lo si può dire, “a conti fatti”), non c’è stata cosa più vergognosa del comportamento di questi “tromboni dal silenziatore facile”, tanto aizzatori nelle pubbliche assemblee quanto servili e “più realisti del re” in fase di trattativa.

 

“E’ un vero delitto industriale”. Sulla vicenda di Cannara, la cui vertenza ha varcato i confini regionali, c’è intanto l’impegno dei consiglieri regionali Vinti e Laffranco che “invitano le istituzioni ad intraprendere soluzioni per evitare la chiusura della più grossa azienda del territorio di Cannara”. Pronta la replica dell’esecutivo regionale. “Percorrere tutte le soluzioni per evitare lo smantellamento della Ferro Italia di Cannara”. E’ l’indicazione emersa a conclusione del vertice del 28 luglio al quale oltre alla Presidente Rita Lorenzetti hanno partecipato i sindaci di Cannara e di Bevagna.

 

Mercoledì 30 luglio. Si ritorna da Roma con le pigne nel sacco.

La patata bollente riguardante il futuro dello stabilimento cannarese viene rilanciata su un tavolo di confronto da aprire presso l’Assindustria di Perugia.

Il Ministero ha chiesto (ed ottenuto) alla Ferro di “non inviare le comunicazioni di chiusura del sito produttivo di Cannara e di mantenere inalterato lo status attuale, con la riapertura dello stabilimento il 25 agosto prossimo” e ai sindacati di “sospendere le agitazioni in corso e di riprendere le attività lavorative regolarmente, dopo la pausa delle ferie”.

Critiche dal capogruppo regionale di Rifondazione Comunista, Stefano Vinti, che parla “dell’ennesima rapina del territorio da parte delle multinazionali” e si augura che “i tavoli di confronto regionali non siano solo una mossa dilatoria per rinviare le lettere di licenziamento, ma l’occasione per definire un nuovo e qualificato progetto industriale”.

Ancora una volta i lavoratori, riunitisi in assemblea il 31 luglio, praticamente all’unanimità sottoscrivono l’accordo emerso nell’incontro del giorno precedente, presso il Ministero delle Attività Produttive.

 

Lunedì 25 agosto. Il tempo di ritornare in fabbrica, dopo circa un mese di ferie, per riannodare i fili di un discorso interrotto ma lontano da ipotesi risolutive.

Nella riunione fissata per il pomeriggio, presso la sede dell’Associazione Industriali, la holding Usa ribadisce la “imprescindibile decisione di chiudere definitivamente lo stabilimento” dicendosi disposta a trattare su “ipotesi di ricollocazione dei lavoratori, spostamento di alcune professionalità ed attivazione degli ammortizzatori sociali di legge”.

Tutti sembrano aver finalmente capito che l’ipotesi di chiusura non era una minaccia, ma una decisione che la “Ferro Corporation” aveva maturato sin dai tempi dell’acquisizione della Degussa.

Intanto, la irremovibile posizione assunta dalla multinazionale viene pesantemente respinta dall’assemblea dei lavoratori (del 26 agosto); si delegano le strutture sindacali a continuare la trattativa seguendo alcuni precisi criteri, e cioè:

“1) la Ferro Italia deve garantire l’attività produttiva fino alla fine del 2003, tempo necessario per  ricostruire soluzioni alternative per la rioccupazione di tutti i lavoratori;

2)      la Ferro Italia deve mettere a disposizione lo stabilimento per tutte le eventuali soluzioni alternative, comprese quelle di tipo concorrenziale;

3)      la Ferro Italia deve mettere a disposizione lo stabilimento a valori convenienti e comunque deve essere dato a garanzia delle istituzioni per evitare eventuali speculazioni;

4)      attivazione di un tavolo istituzionale per la ricerca di soluzioni alternative imprenditoriali tra: i comuni di Cannara e Bevagna, Regione dell’Umbria, Associazione industriale di Perugia e organizzazioni sindacali;

5)      eventuale ricorso agli ammortizzatori sociali per la gestione e ricollocazione di tutto il personale oggi attualmente in forza alla Ferro Italia stabilimento di Cannara.”

Il richiamo forte ed insistente al tavolo istituzionale è indubbiamente un invito alle forze politiche locali e nazionali ad intervenire. Queste, come avevano più volte promesso durante il mese di luglio, avrebbero dovuto svolgere un ruolo importante, ma la verità è che, tranne Vinti (di Rifondazione Comunista), che almeno si è fatto vivo con un intervento pur discutibile, gli altri se la sono svignata in fretta e furia senza lasciare traccia. Anche questo, tutto ampiamente prevedibile.

 

Siamo ormai alle battute finali; le posizioni delle parti, solo formalmente lontane tra loro, sono ben definite, ma si cerca di trovare un’intesa, per lasciare meno cadaveri possibili sul campo di battaglia. Dopo un paio di  giornate assai movimentate, in cui non sono mancati momenti di estrema tensione tra i lavoratori e segnali di puro isterismo da parte di qualche personaggio, si decide di ritornare ad incontrarsi intorno ad un tavolo.

Vengono fissate, per martedì 2 settembre, due riunioni.

La prima (praticamente un “tavolo politico”), nella sede regionale di Perugia, che analizzerà quanto emerso in questa ultima settimana per trovare una via d’uscita che non penalizzi le legittime aspettative dei lavoratori.

La seconda, presso l’Associazione degli Industriali, dove la contrattazione naturalmente assumerà un carattere più sindacale.

L’incontro di Palazzo Donini (sede della Giunta Regionale) – al quale partecipano la Presidente Maria Rita Lorenzetti, l’assessore alle attività produttive Ada Girolamini, i sindaci dei comuni di Cannara e Bevagna, i direttori di Sviluppumbria e dell’Associazione Industriali di Perugia, i rappresentanti dell’azienda, delle organizzazioni sindacali e dei lavoratori – presenta un “verbale di riunione”, in cui si parla di “un percorso per la salvaguardia dei posti di lavoro, nell’interesse prioritario dello sviluppo economico e dei livelli occupazionali”, prende atto che “non appare percorribile la continuità aziendale” e unanimemente viene ritenuta prioritaria “la ricerca di alternative imprenditoriali che operino nel settore e con tecnologie compatibili”. In ogni caso, la Ferro si “impegna a mettere a disposizione gli assets immobiliari a condizioni fortemente agevolate (4 milioni di euro: n.d.r.) per favorire l’insediamento di iniziative imprenditoriali che, in via preferenziale, favoriscano la rioccupazione dei lavoratori della Ferro Italia”. Nel documento si dice anche che “l’Associazione Industriali si impegna alla ricollocazione nelle imprese del territorio circostante degli eventuali ulteriori esuberi”, mentre la regione si impegna “a mettere a disposizione le proprie strutture (Sviluppumbria e Gepafin) nella ricerca di iniziative sostitutive e per il sostegno finanziario delle stesse; (…) a dare priorità nella strumentazione incentivante (programmazione negoziata) alle iniziative che creeranno occupazione, a partire dalla ricollocazione dei lavoratori della Ferro Italia”. E poi ancora, i convenuti all’incontro si salutano auspicando che “il percorso indicato contribuisca ad eliminare pregiudiziali e rigidità, affidando all’accordo tra le parti la definizione di termini, tempi e modalità…”.

Belle parole, grandi promesse, pacche cordiali sulle spalle tra vecchi e nuovi fautori del liberismo.

In attesa di mettere nero su bianco sui tavoli dell’Assoindustria (l’incontro finale viene riaggiornato al 4 settembre), in fabbrica cominciano a serpeggiare i segnali profondi di una spaccatura e, nel corso dell’assemblea del 3 settembre, caratterizzata dai toni a tratti aspri e amplificati, i lavoratori decidono di bocciare l’ipotesi della cassa integrazione e degli eventuali incentivi di esodo.

Ipotesi, quest’ultima, che era emersa a conclusione del “faccia a faccia” di martedì pomeriggio (all’associazione degli industriali) e che in pratica aveva ribaltato quanto precedentemente concordato poche ore prima, nel confronto a Palazzo Donini, al termine del quale la decisione meno indolore sembrava essere quella di favorire l’insediamento immediato (o in un tempo ragionevolmente breve) di altre iniziative imprenditoriali, incluse quelle concorrenziali alla “Ferro”.

Sono ore di angoscia, decisive, ma i piedi degli operai sembrano proprio franare in un burrone.

Molto fumo e niente arrosto, si può dire. Due mesi di aspettative e di grandi illusioni bruciati nel volgere di qualche ora.

Infatti, non rappresenta un sicuro punto di appoggio quanto sottoscritto finora. Promesse, impegni e tutto ciò che rientra nella normale dialettica della politica, ma di certezza soltanto la chiusura dello stabilimento e il conseguente disimpegno da parte della multinazionale americana.

Ci troviamo forse davanti all’ennesima “bufala”, perché come hanno fatto notare in molti: “se è vero che esiste una concreta possibilità di acquisto dello stabilimento da parte di soggetti disposti a garantire la continuità produttiva e che questa possibilità può essere verificata in un periodo di tempo non estremamente lungo, perché non si è perseguita con forza la strada della continuità lavorativa fino alla fine dell’anno?”. Un interrogativo destinato a rimanere senza risposta.

 

Giovedì 4 settembre. Ultimo round. Cinque ore per sancire la conclusione della lunga trattativa che ha visto di fronte, nei mesi estivi, i lavoratori e i dirigenti italiani della “Ferro Corporation”.

In quattro pagine si mette la firma sul decreto di chiusura del colorificio ceramico di Cannara.

Si uccide così una fabbrica in salute; un ulteriore cadavere sulla strada del neoliberismo.

Sentite cosa dichiara alla stampa locale, l’amministratore delegato Daniele Bandiera, all’indomani della firma sull’accordo! “Si è sempre parlato solo di fatturato, che è positivo, invece bisognerebbe parlare di costi e di efficienza produttiva. Purtroppo a Cannara non erano più sufficienti ad affrontare l’attuale situazione del mercato. (…) La produzione di piastrelle ceramiche già da qualche anno registra una contrazione, essendo attaccata dalla concorrenza della Spagna e della Turchia e ora sta arrivando la Cina in modo molto prepotente”.

Concorrenza stracciante, quindi? “Con lo stabilimento di Cannara – prosegue il Dr. Bandiera – abbiamo lavorato a pieno regime per tentare di vedere se riuscivamo ad arrivare a costi concorrenziali almeno con la Spagna. Purtroppo così non è stato e dopo due anni dall’acquisizione dello stabilimento della Cerdec a Sassuolo abbiamo sentito la necessità di concentrare qui tutta la Ferro Italia, tenendo presente il criterio del minor costo della produzione. (…) Confermo che il sito di Cannara era efficiente e produttivo ma con costi che attraverso studi di mercato apparivano troppo elevati per fronteggiare la competitività di mercato”.

Avete capito bene? Davvero illuminante. E’ un concentrato di capitalismo selvaggio che prevede anche la chiusura di una fabbrica efficiente e produttiva (con utili notevoli, come nel nostro caso), quando c’è la possibilità di commercializzare gli stessi materiali – provenienti da paesi in via di sviluppo – guadagnando molto di più.

E’ il magico e fantastico mercato, bellezza!!!

Chissà se l’avranno capito anche i signori sindacalisti e gli illustri politicanti d’ogni risma?

Le reazioni del giorno dopo confermano l’assoluta subalternità delle OO.SS. alla cultura dominante, quella del neoliberismo. In un comunicato-stampa del 5 settembre, la Fulc dà un giudizio sostanzialmente positivo all’accordo siglato (quello che è stato sintetizzato nella parte iniziale di questo “dossier”) ed “esprime la propria soddisfazione per il primo esito della trattativa, che ha consentito attraverso il coinvolgimento di tanti soggetti di costruire un percorso condiviso, che ha come obiettivo quello di non far pagare solo ai lavoratori il prezzo di una decisione da loro non voluta. (…) Crediamo di poter affermare che il confronto che si è sviluppato in questi mesi, seppur difficile e non privo di momenti di tensione, sia stato non solo utile ma necessario.”.

Non manca, come al solito, la frecciatina verso chi nei giorni scorsi ha parlato di rioccupazione della fabbrica. “Se avessimo ascoltato – concludono i sindacalisti – i consigli di chi aveva come unico scopo quello di alzare le barricate, senza confrontarsi con i lavoratori in maniera diretta, sicuramente non avremmo tutelato gli interessi di coloro che rappresentiamo…”.

Guai a criticare i signori del Sindacato!!!

Sconcertanti, al limite della spudoratezza, le affermazioni rilasciate alla stampa locale da anonimi sindacalisti: “I posti di lavoro non erano garantiti ieri, né possiamo conoscere se saranno garantiti domani” (da “La Nazione” del 5/9/2003).

Infine, da registrare la “coda velenosa” che sempre accompagna un evento triste, come la dismissione di una attività lavorativa e l’espulsione dal ciclo produttivo di decine e decine di persone. Lo scontro (durissimo) tra il capogruppo regionale del Prc (Vinti) e i rappresentanti della Fulc provinciale, è degno di essere integralmente trascritto su queste pagine.

 

Dal “Corriere dell’Umbria” del 10 settembre 2003: L’intervento.

“Ferro Italia”: Non un accordo ma una resa sulla pelle dei lavoratori.

 

L’accordo che sancisce la chiusura definitiva della Ferro di Cannara è una grave sconfitta dei lavoratori, il territorio e le istituzioni locali. L’arroganza e la politica piratesca della multinazionale hanno avuto ragione sulla totale incapacità dei sindacati e della Regione dell’Umbria di costruire una vertenza regionale e nazionale in grado di salvaguardare i diritti dei lavoratori, la storia e la ricchezza produttiva dell’impianto di Cannara.

Alle ragioni della multinazionale e del profitto chi poteva non ha voluto sostenere le ragioni e i diritti del lavoro e dell’Umbria. I proclami roboanti di difesa dell’esistenza della Ferro, della continuità produttiva, della salvaguardia dei livelli occupazionali si sono sciolti come un cubetto di ghiaccio esposto alla calura di questa estate. Tutti ora possono giudicare quanto insignificanti e opportuniste siano state le prese di posizione dei sindacati, delle forze politiche dell’Ulivo e della Casa della libertà, dei parlamentari umbri. Basterebbe solo andarle a rileggere.

La multinazionale Ferro ha raggiunto tutti gli obiettivi che si era prefissata, e c’è da ritenere che si sia essa stessa stupita dei tempi brevi con cui ci è riuscita, anche grazie alla sponda politica ricevuta al tavolo nazionale dal governo Berlusconi. Una facilità che lascia più di qualche dubbio sulla volontà di qualcuno di opporsi a questo “delitto industriale”. La Ferro incassa gli utili miliardari del 2002, regala misere briciole ai lavoratori, procede nella ristrutturazione.

L’Umbria vede evaporare uno dei suoi gioielli produttivi, disperdere un patrimonio tecnico e di competenze elevate, buttare al macero investimenti pubblici. Il messaggio che viene da questa deprimente vicenda è che le multinazionali possono transitare in Umbria senza nessuna responsabilizzazione nei confronti della comunità, utilizzando il territorio e le istituzioni a piacimento, piegando le ragioni e i diritti dei lavoratori ai loro fini e interessi di parte.

Se ce ne fosse stato ancora bisogno, la vicenda della Ferro ha dimostrato una volta di più che la politica della “concertazione”, che un sindacato aconflittuale che sposa le ragioni del mercato, una Regione senza un’idea di politiche industriali sottopongono il territorio alle scorribande di soggetti imprenditoriali, impoveriscono il lavoro e abbassano i livelli occupazionali.

Il consenso “estorto” all’assemblea dei lavoratori della Ferro sull’accordo sindacale indica il voto di chi non è stato posto di fronte ad una sola possibilità: o accettare la cassa integrazione o essere licenziato.

E’ stato imposto da chi è stato d’accordo (da sempre?) con la chiusura dello stabilimento.

Il posto di lavoro si difende con la lotta e con la difesa del sistema produttivo regionale. Rifondazione si impegna a verificare che le misere tutele concesse ai lavoratori nell’accordo-resa siano rispettate.

Stefano Vinti

(Presidente Gruppo Regionale PRC)

 

Dal “Corriere dell’Umbria” del 13 Settembre 2003:

Dura replica dei sindacati al Prc. “Parlare di consenso estorto ai dipendenti è vergognoso”

Ferro: ”I lavoratori hanno disgusto della propaganda”

 

Non è neanche degno di commento quanto asserito dal presidente del gruppo regionale Prc, Stefano Vinti, sulla chiusura della trattativa con la Ferro Italia.

Mi sembra alquanto meschino denigrare il lavoro degli altri senza conoscere le situazioni vissute e senza essersi mai rapportati direttamente con chicchessia. Non si può sparare a zero contro tutto e tutti dopo aver latitato durante il corso dell’intera vicenda.

Se Vinti, che tra l’altro viene lautamente retribuito con i soldi dei contribuenti, ritiene di avere armi e soluzioni per affrontare le problematiche del mondo del lavoro, scenda in campo. Ma lo faccia in maniera propositiva e costruttiva, non solo criticando e cercando di buttare tutto allo sfascio”.

Francesca Rossi

(Segretario Regionale della Femca Cisl)

 

Anche se rispetto le opinioni di ognuno, non posso accettare che si faccia della propaganda su una situazione come questa. E’ poco serio. Non c’è stata alcuna speculazione da parte di nessuno, se non quella che sta facendo Vinti con le sue esternazioni. Anzi, abbiamo lavorato con il concorso di tutti, senza distinzione di alcun genere, per uno scopo comune e personalmente ho molto apprezzato questo spirito di squadra.

Parlare di consenso estorto ai lavoratori è semplicemente vergognoso. C’è stato infatti un confronto continuo e costante con tutte le maestranze, alle quali abbiamo sempre spiegato ogni scenario possibile. Da loro abbiamo poi ricevuto un mandato specifico sulla base del quale è stato siglato l’accordo, che non rappresenta una svendita, ma un punto importante per cercare di garantire una continuità produttiva sul territorio.

Il nostro scopo è far si che possa subentrare un’altra impresa che garantisca gli stessi livelli occupazionali. Sembra, in effetti, che ci sia già più di un interesse su quell’area. Ogni cosa dovrà comunque essere attentamente valutata.”

Massimiliano Presciutti

(Segretario Provinciale della Filcea Cgil)

 

Parole durissime su entrambe i fronti. Molte contraddizioni e, forse, qualche furberia di troppo.

Su questo Sindacato e il suo comportamento, a dir poco ondivago, abbiamo più volte espresso il nostro negativissimo giudizio.

Sul lavoro di Vinti e la sua reazione conclusiva ci asteniamo qui dal commentarle. (In allegato riportiamo il parere personale di uno dei “nostri”). Nell’”intervento” (più o meno opinabile) di Vinti c’è il dato incontestabile dell’”opportunismo” dei politicanti (esteso a se stesso?), i “proclami roboanti” della difesa (possibile?) della continuità produttiva, il riprovevole teatrino della politica, gli interventi plateali e, come al solito, le grandi “sparate ad effetto” e le promesse non mantenute.

 

Chi l’ha sparata più grossa? Della serie: “Le grandi balle…”

 

Dal “Corriere dell’Umbria” del 12/7/2003: “Tutti al capezzale della Ferro”.

 

Il senatore Maurizio Ronconi (Udc) in una nota auspica la necessità “di assoluta determinazione, intransigenza e sinergia da parte di tutte le istituzioni umbre. Non deve passare il disegno della proprietà di concentrare le attività in altre regioni…Per parte mia ho interessato in via urgente il ministro del Welfare affinchè il governo assuma idonee iniziative”.

Il problema sul tavolo del ministro Maroni non è mai arrivato.

 

Dal “Corriere dell’Umbria” del 20/7/2003: “Ferro Italia, Valentini spera ancora. Per il senatore umbro ci sono le possibilità di salvare l’azienda”.

 

Sulla “Ferro Italia” interviene l’onorevole Domenico Benedetti Valentini, deputato di Alleanza Nazionale. “Per la sconcertante prospettiva che gira sullo stabilimento – si legge in una nota – ho già preso contatto con il ministro delle Attività Produttive, ottenendo la disponibilità del suo Ministero a fornire una autorevole sede di confronto con il gruppo industriale. Di cui abbiamo bisogno e diritto di conoscere le reali intenzioni. (…) Potrebbero ancora crearsi le condizioni per un recupero della situazione. (…) Non è possibile rassegnarsi alla disattivazione di uno stabilimento moderno, redditivo ed ecologicamente compatibile”.

Lasciamo perdere l’”ecologicamente compatibile”; oltre alla “rassegnazione alla disattivazione”, abbiamo alla fine registrato (senza alcuna sorpresa) il totale disimpegno del post-fascista Valentini, presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati.

 

Dal “Corriere dell’Umbria” del 25/7/2003. “Pochi spiragli per la Ferro”.

 

E’ ancora l’on. Benedetti Valentini a “spararla” grossa. “Una vicenda sconcertante – definisce questo caso il deputato umbro di An – Non è concepibile che nello scenario di recessione che attraversa l’Europa industriale, si disattivi un sito produttivo con reddito… Se andrà avanti l’annunciata chiusura senza accettabili motivazioni come minimo dovremo far diventare quello della Ferro Italia di Cannara un caso nazionale, una sorta di assurdo o di paradosso di fronte al quale il ceto politico, industriale e sindacale a livello italiano non può rimanere inerte.”

Dov’è il “caso nazionale”? Suvvia, onorevole! Quante altre situazioni, anche più drammatiche della “Ferro”, avrebbero dovuto scatenare “casi nazionali”? Un po’ di contegno, per favore…!

Ma l’onorevole, nella sua esternazione, continua a prenderci per il naso dicendo che “purtroppo non siamo in un’economia partecipativa ma siamo in una economia di mercato: deve però esservi un generalizzato senso di responsabilità e di etica economica che impedisca soluzioni irrazionali e punitive per i territori che più si sono sacrificati”.

Come è questa? Ci avete riempito la testa (e qualcos’altro) con le magnificenze dell’”economia di mercato”, ed ora parlate spudoratamente di “etica economica”, lamentandovi perchè “purtroppo non siamo in un’economia partecipativa”!?!

State almeno zitti, maledetti!!!

 

Sullo stesso servizio, il segretario della Filcea Cgil, Presciutti, conferma la linea “dura” del Sindacato. “La nostra richiesta era e resta quella del mantenimento dell’unità produttiva. Non ci troviamo di fronte ad una crisi per cui è aberrante la scelta della Ferro Corporation. Noi, certamente, non intendiamo consentirla e faremo tutto il possibile per scongiurare questo assurdo epilogo.

Come si sa, il “mantenimento dell’unità produttiva” è stata un’ipotesi praticamente saltata quasi all’inizio della trattativa, ma il Sindacato era distratto e, abbandonando troppo presto la linea “dura” (se mai sia essa esistita), ha sicuramente facilitato “l’assurdo epilogo”.

 

Dal “Corriere dell’Umbria” del 26 Settembre 2003: “Fronte comune sulla Ferro Italia”.

 

Ancora i post-fascisti di An in prima fila sulla vicenda del colorificio di Cannara. Il vicepresidente del consiglio regionale, Pietro Laffranco, dichiara convinto che “questo importante polo industriale non può scomparire: sarebbe la sconfitta di tutti, dalla politica all’imprenditoria sana, sino ai sindacati. Ci impegneremo perché si faccia tutto quanto il possibile per impedire la chiusura di uno stabilimento che è altamente produttivo e dà utili significativi alla multinazionale che ne è proprietaria.”

Il signor Laffranco, come tantissimi altri (diessini, ex-democristiani, berlusconiani, ciellini e chi più ne ha più ne metta…), se l’è svignata ai primi ululati della multinazionale, come un cane bastonato.

Chissà se almeno ancora considera una “sconfitta di tutti” la scomparsa di un polo industriale e, soprattutto, il licenziamento di un centinaio di lavoratori?

 

Dal “Manifesto” del 27 Agosto 2003: “Un comitato operaio a Cannara – I lavoratori autorganizzati occupano la Ferro Italia e ne impediscono la chiusura”

 

Scrive Guido Maraspin che la “vicenda che viene definita ‘mafia multinazionale’, coinvolge i lavoratori della Ferro Italia riuniti nel Comitato di Base, l’unico coordinamento sindacale completamente autorganizzato che si batte da più di un mese contro la chiusura dello stabilimento di Cannara.”. Dopo una sintetica e corretta descrizione della realtà aziendale (utili, fatturato, prevenzione infortuni, certificazione qualità, ecc.), il corrispondente da Perugia del “giornale comunista” dice che “è saltato fuori il rospo: l’azienda chiude e per i lavoratori la richiesta di ammortizzatori ‘in uscita’, i diritti totalmente calpestati. Da qui la mobilitazione, l’autorganizzazione operaia, l’apertura di una vertenza approdata il 24 luglio scorso al ministero delle attività produttive. (…) Una prima, piccola, ma importante vittoria del Comitato di Base che è riuscito a trascinare nella lotta anche i confederali. All’inizio piuttosto freddi per essere stati scavalcati dalla mobilitazione spontanea dei lavoratori e poco convinti degli obiettivi.”

Vorremmo che non si fossero illusi i lettori del “Manifesto” nel leggere un articolo scritto con troppa enfasi e, quindi, fuorviante.

Magari ci fosse stato un “comitato operaio” capace di cacciare a pedate i burocrati sindacali di Cgil, Cisl e Uil? Ci sarebbero sicuramente stati risultati diversi, alla fine della trattativa ma, “tra il dire e il fare”…ci sono purtroppo ancora i confederali a mantenere saldamente in mano il monopolio della contrattazione. Ciò accade ovunque, anche dentro la “Ferro” dove l’articolista sembra proprio immergersi in un’isola felice (sindacalmente parlando)… Attenzione alle esagerazioni!

Crediamo poi che il “comitato operaio”, riportato a caratteri cubitali nel titolo, altro non sia stato che un semplice “comitato sindacale di base”, autonomo e nato per l’occasione, “diretto” dal responsabile produzione coloranti (quadro – livello A), dal capo del settore commerciale (quadro – livello A) e dal responsabile laboratorio controllo coloranti (impiegato – livello B): un organismo dalla scarsa rappresentatività, con un seguito di una dozzina di operai (del reparto “calcinazione colori”) e fortemente inviso dal resto dei lavoratori.

Domanda: se ci fosse stata questa supposta elevata combattività operaia dentro la “Ferro”, perché lo spirito rivoluzionario e la tendenza alla “mobilitazione spontanea” dei lavoratori non sono emersi al momento dell’epilogo della vertenza? Bisognava impedire la chiusura definitiva della fabbrica e quindi il licenziamento di tutti…Mica bruscolini!!!

 

Se poi, qualcuno dei lettori del “Manifesto” si è imbarcato nel sito internet di Indymedia Umbria – come ha invitato a fare il giornale – allora avrà potuto trovare tutte le bestialità, gli insulti e le stupidaggini che alcuni soggetti (naturalmente nascosti dietro pseudonimi - PsycoX, Comitato sfigati di base, il Bastardo, Baby) hanno fatto partire dalla loro velenosa quanto inutile bocca…

 

Dal “Corriere dell’Umbria” del 27 Agosto 2003: “Ferro Italia, le condizioni poste dai lavoratori”

 

Siamo ad un passo dal baratro, ormai tutto è stato stabilito, ma sentite cosa ha ancora da dire Francesca Rossi, segretaria regionale della Femca-Cisl. Purtroppo ci siamo trovati a gestire questa questione in quella che è la sua fase terminale senza aver avuto notizia delle intenzioni dell’azienda con il dovuto anticipo. Qui rischiamo di perdere una entità produttiva di grande rilevanza, la più grande azienda chimica della zona. E’ una cosa che non possiamo e non vogliamo consentire.”

Semplicemente ipocrita.

 

Dal Gruppo consiliare di Rifondazione Comunista – Comunicato stampa del 27 Agosto 2003.

 

Ci spiace dover terminare questa rubrica (che forse tende un po’ a ridicolizzare certi personaggi politici e sindacali) lanciando una rampognata a Stefano Vinti e al suo Partito che, insieme, hanno perso un’altra buona occasione per dimostrare una diversità e un tocco di fierezza che non guasta.

Vinti, che giustamente parla di “logiche concertative nella trattativa col gigante multinazionale, abbandonando da subito il conflitto, con il risultato di aprire un confronto al massimo ribasso. (…) I parlamentari umbri del centrodestra e dell’ulivo, le istituzioni regionali, i sindacati hanno finito per disattendere tutte le promesse fatte nell’assemblea territoriale aperta di metà luglio: cioè mantenere attivo il sito produttivo di Cannara…” ritiene che “l’unica possibile soluzione a questa sciagurata vicenda sia la ripresa della lotta e del conflitto da parte dei lavoratori, dei sindacati, dell’intero territorio. (…) Soltanto la riapertura di elementi conflittuali da parte dei lavoratori…potrà ridare uno spiraglio di soluzione in positivo della vertenza Ferro e la speranza di mantenere attivo il sito di Cannara.”

Se Vinti, invece di lanciare proclami gladiatori, avesse avuto l’umiltà di scendere tra i terrestri che da qualche mucchietto di lustri lavorano in questa fabbrica, cercando magari il confronto e il dialogo con qualche compagno (stanco ma non pentito) di sua conoscenza, avrebbe forse capito l’inutilità della sua idea di riaprire “gli elementi conflittuali” senza il supporto di una proposta alternativa (l’autogestione, il rilancio di una società a “capitale misto”), praticabile e dirompente, capace di cacciare una multinazionale e garantire il mantenimento del sito industriale.

Perché Rifondazione Comunista (che non è fortunatamente soltanto Vinti) non ha avuto il coraggio di praticare percorsi diversi? Perché il Partito, anche sulle questioni inerenti il lavoro, rimane incredibilmente incollato al carro delle istituzioni locali? Paura di rompere con la Lorenzetti che beatamente accoglie a braccia aperte le multinazionali, minacciando tutti coloro che mostrano ostilità verso questi corsari dell’economia mondiale? Non si vogliono rompere gli equilibri politici, evitare una rottura in Umbria per non prestare il fianco alla destra? E’ già accaduto altre volte (il piano regionale sui rifiuti, ad esempio), ma questa la chiamiamo subalternità e – ora aggiungiamo – inutilità di un Partito che soltanto a parole si definisce antagonista.

 

Conclusioni

 

Alcuni hanno salutato l’accordo del 4 settembre come una vittoria, altri invece – nonostante abbiano alzato la manina nel momento cruciale del voto – l’hanno digerito male.

Davvero ci vuole un bel coraggio a dire che quanto sottoscritto rappresenti un sicuro punto d’appoggio per i lavoratori della Ferro di Cannara. Di certo c’è solo la chiusura di uno stabilimento sufficientemente rodato e l’uscita di scena dalla realtà locale di una multinazionale che, in un decennio, ha rosicchiato quanto più possibile.

Il resto è soltanto un fiume di parole scritte per illudere gli ingenui: promesse, impegni a verificare, a favorire, ad individuare forme di agevolazioni, a privilegiare…

Il classico scatolone vuoto tutto da riempire.

Si poteva fare di più? C’è alla fine chi ha parlato anche di tradimento quando si è volatilizzata la speranza di salvare i posti di lavoro e di mantenere questa presenza produttiva. Avrebbero dovuto essere obiettivi inderogabili da perseguire e qualcuno si era perfino impegnato a trasferire in ambito nazionale la questione, nel caso l’Azienda avesse persistito nell’intento del disimpegno.

(Se avete letto attentamente quanto qui riportato, certamente non vi sarà sfuggito l’autore del tradimento!).

Senza andare a cercare inutili capri espiatori, alla domanda (Si poteva fare di più?), posta oziosamente da qualcuno alla “fine dell’opera”, si potrebbe rispondere anche in maniera affermativa. Riteniamo però che solo puntando sull’autogestione o cercando soluzioni societarie di compartecipazione pubblica si sarebbe potuta salvare la fabbrica e garantire la continuità produttiva, anche se questo avrebbe significato l’apertura inevitabile di una nuova fase di conflitto con la holding statunitense, in condizioni oggettivamente difficili e, dunque, senza la dovuta certezza di vincere una battaglia importante. Su tutta la vicenda, approdata a conclusioni negative, è pesata come un macigno la mancanza di un reale protagonismo operaio, che non può essere confuso con la teatralità, gli isterismi e le sceneggiate allestite da egocentrici personaggi, trasformisti alla Houdini totalmente incapaci di tradurre una realtà lavorativa complessa e diversificata nei suoi bisogni e necessità, tremendamente arroccata dopo un decennio di arretramenti e sconfitte cocenti.

Ciò che è stato possibile infine constatare è che nella sostanziale confusione in cui ha navigato, per oltre due mesi, la quasi totalità dei lavoratori, hanno probabilmente inciso questioni di carattere più politico-generale; é certo che le dinamiche economiche e le controriforme sociali introdotte dagli ultimi governi liberisti non possono che aver accentuato frammentazioni ed incomunicabilità già esistenti e di natura generazionale tra i lavoratori, oltre che una comprensibile e naturale stanchezza e demoralizzazione.   

 

Bibliografia

 

- “Comitato di base Lavoratori Ferro Italia” – Fine giugno 2003 – “Stiamo chiudendo” (volantino diffuso in fabbrica).

- “Gruppo Consiliare Rifondazione Comunista” – 9/7/2003 – Interrogazione del consigliere regionale Stefano Vinti.

- “Camera Deputati” – 9/7/2003 – Interrogazione Parlamentare al Ministro del Lavoro – a cura dell’on.G.Giulietti.

- “ACS” – 10/7/2003 – “La Ferro di Cannara rischia il trasferimento. Vinti sollecita un intervento della Giunta”.

- “Corriere dell’Umbria” – 10/7/2003 – “Il  mondo del lavoro - Timori alla Ferro Italia”.

- “La Nazione” – 11/7/2003 – “Crisi nera alla Ferro Italia. Cannara/ La fabbrica di vernici rischia la chiusura”.

- “Corriere dell’Umbria” – 11/7/2003 – “Finisce in Parlamento la questione Ferro Italia

- “Corriere dell’Umbria” – 12/7/2003 – “Tutti al capezzale della Ferro. Il problema sul tavolo del ministro Maroni.”

- “Corriere dell’Umbria” – 13/7/2003 – “A fianco dei lavoratori della Ferro. Anche il sindaco Bastioli all’assemblea di domattina in fabbrica”.

- “La Nazione” – 15/772003 – “Ferro Italia futuro incerto. Si fa sciopero”.

- “Corriere dell’Umbria” – 15/7/2003 – “Politici mobilitati per la Ferro”.

- “Il Messaggero” – 15/7/2003 – “Ferie e lavoro, è l’estate della paura. In assemblea i 140 della Ferro di Cannara          lanciano l’Sos a regione e Governo”.

- “Corriere dell’Umbria” – 16/7/2003 – “Caso Ferro Italia sul tavolo di Marzano. Il senatore Castellani ha presentato un’interrogazione”.

- “La Nazione” – 16/7/2003 – “Ferro Italia, No al trasferimento dello stabilimento. Centoquaranta lavoratori ancora col fiato sospeso”.

- “Corriere dell’Umbria” – 16/7/2003 – “Stato di agitazione alla Ferro Italia. Già previsti scioperi per domani e martedì: futuro dei lavoratori incerto”.

- “La Nazione” – 17/7/2003 – “Ferro Italia, Comune e Regione sollecitano l’intervento del governo nazionale”.

- “Corriere dell’Umbria” – 18/7/2003 – “Tavolo nazionale per la Ferro Italia. Oggi intanto se ne parla nel consiglio comunale aperto”.

- Circolo Culturale “Primomaggio” – 18/7/2003 – “La Ferro di Cannara chiude? Un altro chiaro esempio di globalizzazione capitalista”.

- “Corriere dell’Umbria” – 19/7/2003 – “Requiem per una fabbrica in salute. Il circolo ‘Primomaggio’ sul caso della Ferro Italia in via di chiusura”.

- “Corriere dell’Umbria” – 20/7/2003 – “Ferro Italia, Valentini spera ancora. Per il senatore umbro ci sono le possibilità di salvare l’azienda.”

- “La Nazione” – 21/7/2003 – “Ferro Italia, la questione si fa rovente. Chiesto un immediato tavolo di trattative”.

- “La Nazione” – 23/7/2003 – “Ferro Italia, decisi due giorni di sciopero. Ancora una riunione al ministero per definire il futuro aziendale”.

- “Corriere dell’Umbria” – 23/7/2003 – “Due giorni di sciopero alla Ferro Italia. Il sindacato adotta la linea dura; solidarietà dai Ds”.

- “Corriere dell’Umbria” – 24/7/2003 – “Ore cruciali per il futuro della Ferro Italia”.

- “La Nazione” – 25/7/2003 – “Ferro Italia, adesso si parla di chiusura. Incontro al ministero tra organismi sindacali, azienda e politici. Nuovo vertice mercoledì”.

- “Corriere dell’Umbria” – 25/7/2003 – “Pochi spiragli per la ferro Italia. I sindacati: ‘Assurdo chiudere, lo stabilimento è sano’. Cannara/ Ma al termine del vertice al ministero l’azienda si dice disponibile alla trattativa”.

- “Corriere dell’Umbria” – 26/7/2003 – “Fronte comune sulla Ferro Italia. Forze politiche di ogni schieramento impegnate per salvare l’azienda”.

- “La Nazione” – 27/7/2003 – “Ferro Italia, domani summit in Regione. E poi scatterà l’appello al Ministro. La vertenza/ per scongiurare i 150 licenziamenti”.

- “Corriere dell’Umbria” – 27/7/2003 – “Ferro Italia, compatti contro la chiusura. Domani in Regione incontro con la presidente Lorenzetti. Cannara/ Rsu e Fulc denunciano il tentativo di disorientare la battaglia dei lavoratori”.

- “La Nazione” – 28/7/2003 – “Ferro Italia, i sindacati alzano il tiro: ’E’ un vero delitto industriale’. Accesa assemblea in fabbrica dopo l’incontro al Ministero. Mobilitazione generale dei parlamentari umbri”.

- “La Nazione” – 29/7/2003 – “Ferro Italia, trovare la soluzione. Incontro con la regione Umbria. Cannara/ Mobilitazione generale”.

- “Corriere dell’Umbria” – 31/7/2003 – “La vertenza torna all’Assindustria. Ferro Italia, il ministro invita le parti a un nuovo confronto”.

- “La Nazione” – 31/7/2003 – “Aziende in crisi/ Siglato un accordo al ministero per proseguire l’attività produttiva di Cannara. Ferro Italia, si apre uno spiraglio. Ma la mobilitazione resta.”

- “Corriere dell’Umbria” – 1/8/2003 – “Cannara/ L’assemblea dei lavoratori approva all’unanimità il patto siglato al ministero. Ferro Italia, si all’accordo. Agosto tranquillo. A settembre il negoziato sul tavolo umbro”.

- “Corriere dell’Umbria” – 24/8/2003 – “Il futuro della Ferro in un incontro pubblico”.

- “Il Giornale dell’Umbria” – 26/8/2003 – “Ferro di Cannara, si parla di mobilità. Oggi assemblea straordinaria in fabbrica”. “Agonia per la Ferro di Cannara”.

- Mandato della Assemblea per la trattativa Ferro Italia stabilimento di Cannara del 26/8/2003.

- “Il Manifesto” – 27/8/2003 – “Un comitato operaio a Cannara. I lavoratori autorganizzati occupano la Ferro Italia e ne impediscono la chiusura”.

- “La Nazione” – 27/8/2003 – “Ferro Italia, torna l’incubo-chiusura. Allarme lavoro/ Cento posti a rischio nello stabilimento di Cannara. Si teme l’imminente trasferimento a Sassuolo di 15 dipendenti”.

- “Corriere dell’Umbria” – 27/8/2003 – “Ferro Italia, le condizioni poste dai lavoratori. Quattro i punti fermi nella conduzione della vertenza sulla chiusura dello stabilimento”.

- Comunicato-stampa del Partito della Rifondazione Comunista – Comitato Regionale Umbro – del 27/8/2003

- “La Nazione” – 28/8/2003 – “La Ferro Italia al collasso. Allarme/ I lavoratori dell’azienda temono la chiusura imminente”.

- “Corriere dell’Umbria” – 28/8/2003 – “Rifondazione Comunista alza i toni sul futuro dello stabilimento. Bisogna occupare la Ferro Italia”.

- “La Nazione” – 29/8/2003 – “Cannara/ I lavoratori continuano la loro battaglia per salvare il posto. Ferro Italia, nuovo tavolo di trattative”.

- “Corriere dell’Umbria” – 30/8/2003 – “Ferro Italia, appello ai parlamentari”.

- “La Nazione” – 3/9/2003 –  Aziende in crisi/ Ferro Italia. Ore di agonia”.

- “Corriere dell’Umbria” – 3/9/2003 – “Ferro Italia, ecco il capolinea. Promesse per i lavoratori aspettando il tavolo Assindustria. Incontro in Regione. Speranza di alternative imprenditoriali, agevolazioni e impegno per riassunzioni”.

- “La Nazione” – 4/9/2003 – “Ferro Italia, ore decisive. Affollata assemblea in fabbrica. No alla cassa integrazione”.

- “Corriere dell’Umbria” – 4/9/2003 – “Ferro Italia, si poteva fare di più. Delusione dopo l’incontro istituzionale: non ha aggiunto nulla. Il futuro dell’azienda chimica arrivata alla chiusura oggi torna al tavolo dell’Assindustria”.

- Verbale di accordo sottoscritto da Ferro Italia, Cgil-Cisl-Uil e Rsu – 4/9/2003-

- “La Nazione” – 5/9/2003 – “Requiem per Ferro Italia. L’azienda chiude i battenti. In crisi/ circa 150 posti a rischio”.

- “Corriere dell’Umbria” – 5/9/2003 – “La votazione dell’accordo. Favorevoli in 95”. “Ferro Italia: c’è la firma sull’accordo. Si all’intesa in Assindustria. Oggi sarà presentata ai lavoratori. Ieri a Perugia l’amministrazione delegato italiano della holding. Ancora top secret sui contenuti”.

- “La Nazione” – 6/9/2003 – “Riconversione ultima speranza. Ferro Italia chiusa/ Tutti i dettagli dell’accordo siglato con i lavoratori nella sede dell’Assoindustriali”. “Ferro Italia/ la posizione dell’Azienda. Parla Daniele Bandiera: Una decisione sofferta”.

- “Corriere dell’Umbria” – 6/9/2003 – “In quattro pagine la fine della Ferro. Cassa integrazione per 12 mesi, mobilità, incentivi all’esodo. Illustrati in un’assemblea aziendale i termini dell’accordo per i dipendenti”. “Intervista con l’amministratore delegato per l’Italia, Daniele Bandiera ‘Ci servivano costi minori di produzione’”.

- “Corriere dell’Umbria” – 10/9/2003 – “Ferro Italia: Non un accordo ma una resa sulla pelle dei lavoratori”.

- “Corriere dell’Umbria” – 13/9/2003 – “Ferro: ‘I lavoratori hanno disgusto della propaganda’. Dura replica dei sindacati al Prc. ‘Parlare di consenso estorto ai dipendenti è vergognoso’”.

 

 

(*) Questo “dossier” è stato elaborato da alcuni lavoratori “Ferro Italia” di Cannara – collaboratori e aderenti al circolo culturale “Primomaggio” – che, stanchi di essere portati in giro dai “rappresentanti dei lavoratori”, si sono considerati, fin dall’inizio di questa brutta storia, soggetti “ fuori dal coro”, preferendo la strada del silenzio (pur doloroso) al rischio di incrementare la confusione e il nervosismo fin troppo elevati.

Un segnale che può anche essere interpretato come disimpegno o rassegnazione.

Sicuramente, questo “essere fuori”, che è atteggiamento passivo, ha quantomeno evitato la collisione (anche fisica?) sia con i mestieranti (esterni) che con altri attori protagonisti di tutta la vertenza.

Gli autori di questo scritto, pertanto, dichiarano di:

a)       non aver partecipato a nessuna delle  iniziative promosse dalle confederazioni sindacali, a causa del netto dissenso rispetto alle loro note strategie concertative;

b)       aver diffuso un solo documento politico come prova tangibile dell’impotenza attuale del movimento operaio;

c)       aver accuratamente evitato di “sporcarsi le mani”,  fino a disertare l’assemblea conclusiva del 4 settembre scorso;

d)       aver rispettato, pur con  imbarazzo e sofferenza, le decisioni prese a larghissima maggioranza dall’assemblea dei lavoratori.

(finito di stampare il 7 Ottobre 2003)

Una risposta (doverosa) al compagno Vinti

 

Conosco Stefano Vinti, attuale segretario regionale del Prc, da almeno un paio di decenni; abbiamo la stessa radice politica (Democrazia Proletaria) e, fino a qualche anno fa, l’appartenenza allo stesso partito. Vinti, come è noto, è la massima espressione regionale di Rifondazione Comunista; pluridecorato sul campo (probabilmente a causa del non disprezzabile risultato elettorale ottenuto dal partito in Umbria sotto la sua dirigenza), il “nostro” è oggi contemporaneamente segretario e capogruppo al consiglio regionale nonché membro della direzione nazionale del Prc.

Nell’immaginario collettivo, il Prc in Umbria è Stefano Vinti: uno che ha percorso gradualmente tutte le tappe del carrierismo politico (prima anonimo sindacalista Cgil, poi leader della corrente sindacale “Essere Sindacato” per essere quindi eletto segretario provinciale del Prc), naturalmente sgomitando e “facendo le scarpe” a qualcun altro, come nella migliore tradizione di qualsiasi movimento comunista.

Vinti è uno che conta anche dentro Palazzo Cesaroni e, se solo volesse, sarebbe in grado di mettere in difficoltà in qualsiasi momento una Giunta regionale politicamente sconcertante.

Ad onor del vero, come coordinatore/organizzatore di partito, non è un gran che… Anzi, si è rivelato una vera e propria frana: i circoli non funzionano, alcuni hanno chiuso i battenti, le iniziative sono scarsissime e praticamente limitate alle “feste” di “Liberazione”, la democrazia interna latita e c’è chi parla addirittura di epurazioni nei confronti dei dissidenti e i non allineati…. Qualcuno lo considera un piccolo “padre-padrone” del partito.

Vinti ha però il fiuto del segugio, ha capito perfettamente che aria tira anche nella “rossa” (?) Umbria e, forte della sua maniacale voglia di conquistare amicizie e spazi editoriali, ha puntato tutto sulla comunicazione e, a costo di essere associato a un minuscolo berlusconi locale, sotto questo aspetto ha dimostrato di essere davvero un “grande”, un professore.

Sulla stampa è diventato un presenzialista, puntuale come un orologio svizzero.

 

Ora, come semplice osservatore, non più attivista politico, comunista non pentito, forse eretico, sicuramente lontano dall’ortodossia di partito e (politicamente parlando) perennemente indeciso sul “che fare da grande”, mi diverto ad inseguire sulla stampa locale i suoi numerosi interventi.

Alcuni li trovo interessanti, analitici, buoni per una riflessione; altri invece sono intriganti, solo propagandistici e fastidiosamente ripetitivi.

Va riconosciuta a Vinti l’encomiabile propensione a mettere il dito su tutto, con una accentuata ostinazione sulle piaghe più purulente come quelle del lavoro.

Solo negli ultimi tre mesi, da quando cioè si è fatta preoccupante la crisi di alcuni settori produttivi (tessile, chimica, siderurgia e metalmeccanica), e incerto il futuro di centinaia e centinaia di lavoratori umbri, egli ha avuto una particolare attenzione (esternando almeno una trentina di volte, soprattutto sul “corrierino” e sul “giornalino”) alle vicende legate alla “Viasystem”,“Ast-Thyssen Krupp”,“Linkweld”  di Terni, “Itelco” di Orvieto, “Alcantara” di Nera Montoro, “Ims” (ex-Pozzi) di Spoleto, “Selti” di Todi, “Trafomec” di Tavernelle, “Carini” di Gualdo Tadino, “Sangalli” di Magione e “Ferro Italia” di Cannara.

Più che incuriosito, (dovrei dire) direttamente interessato, visto che su quest’ultima fabbrica c’ho vissuto trent’anni e passa della mia vita per poi – come troppo frequentemente accade – essere triturato nella macina degli esuberi, mi sono andato a leggere più volte ciò che il “nostro” ha detto (spesso ricorrendo a mezzucci di pura propaganda) sulle questioni legate all’industria chimica regionale e in particolare al colorificio ceramico di Cannara.

Provate, per esempio, a leggere i suoi interventi sul “Corriere dell’Umbria”, a partire da “Terni, Narni, Cannara: stop al declino della chimica” (del 4 agosto), proseguendo per “Multinazionali, costruire un tavolo” (del 5 settembre), fino ai “Distretti industriali per uscire dalla crisi economica” (del 30 settembre). Ci sono degli spunti interessanti, analisi pure azzeccate, ma l’impressione generale è che la troppa verbosità rischia di far perdere la bussola al lettore, lo disorienta per poi ipnotizzarlo. Attenzione al tranello! Vinti non è il semplice editorialista di un giornale comunista, che ha legittimamente la facoltà di esternare la propria indignazione contro un governo devastante “che può vantare lo smantellamento e il definitivo declino del sistema industriale italiano”; Vinti ha naturalmente il diritto/dovere di elaborare analisi e teorie economiche auspicabilmente alternative a quelle neoliberiste (come alcune volte ha fatto intendere), ma non può e non deve dimenticare il suo ruolo di amministratore e di co-responsabile politico delle scelte regionali, per cui diventa scarsamente credibile quando il suo ragionamento è limitato all’ammissione dei ”ritardi del sistema istituzionale nel costruire un metodo di confronto con le multinazionali che producono in Umbria” e al semplice riconoscimento che “senza un modello comportamentale che preveda un confronto continuo, l’atteggiamento delle multinazionali verso il territorio tenderà alla totale deregulation”.

Qui non si tratta di compiere scelte “barricadere” con finalità elettoralistiche, come hanno più volte minacciosamente denunciato i signori liberaldemocratici suoi alleati di giunta, ma dimostrare il coraggio della non subalternità alle politiche servili dei governi (centrale e periferici) verso le multinazionali. Tentare di invertire, con la proposta, la pessima tendenza di costruire una società che riduce drasticamente le certezze. 

Chi ha occhi per vedere, non può non essersi accorto che questa deregulation è in atto – in Umbria - da almeno qualche anno. La Nestlè con la Perugina o la Thyssen Krupp con le Acciaierie di Terni, la Danone con la Pasta Ponte o la Ferro Corporation con la Bonaca, e via discorrendo…!

Non è ovviamente soltanto un problema di multinazionali che, favorite come sono state dalla mania privatizzatrice dei vari governi preposti alla svendita dell’industria nazionale, possono anche giocare la carta ricattatoria della delocalizzazione, ma esiste un più serio problema che ha determinato una forte regressione dei diritti del lavoro e della civiltà del lavoro.

Allora: si vuole costruire in Umbria uno strumento specifico per il confronto con le multinazionali? Benissimo. Ma le stesse cose erano state praticamente dette, in aggiunta ad altre cose intelligenti, oltre cinque mesi fa dallo stesso Vinti.

Scriveva il segretario regionale del Prc sulla stampa locale che “E’ vero o non è vero che con il Patto per lo sviluppo e l’innovazione si sono assunte delle responsabilità e degli impegni che ancora sono solo parole scritte sulla sabbia? (…) Rifondazione Comunista ritiene necessaria una vera e grande vertenza regionale (…) Alle organizzazioni datoriali dell’Umbria chiediamo di scegliere con decisione la strada dell’innovazione…, di investire in ricerca tecnologica, di lavorare per salvaguardare i livelli di civiltà del lavoro e la coesione sociale (…) I dati della Direzione provinciale del lavoro di Perugia…ci interrogano anche implicitamente sulla riduzione dei diritti sociali nelle fabbriche, della dispersione delle garanzie minime del lavoro, dell’avanzare impetuoso delle nuove tipologie del lavoro precario senza garanzie, senza diritti. In Umbria sembra quasi che la struttura economica e produttiva abbia scelto la via neoliberista, mixando riduzione dei diritti sociali, compressione del lavoro, sussunzione del territorio e del patrimonio ambientale per la valorizzazione del profitto (…) Su questi temi si avverte anche uno spaventoso ritardo della politica, del confronto e del dibattito, una inerzia delle istituzioni locali, ad iniziare dalla giunta regionale…” (dal “Corriere dell’Umbria” del 24/4/2003 – “E’ tempo di aprire una vertenza regionale”).

Parole pesantissime quanto condivisibili ma, a distanza di tanto tempo e in una situazione politicamente invariata e di crescente precarizzazione del lavoro, sento ancor più forte il morso di chi è stato letteralmente preso per i fondelli…

Nell’ultimo dei suoi lunghissimi scritti, il “nostro” ha rispolverato un po’ di sano “politichese” tanto per rendere ancor più incomprensibili alcuni concetti e far crescere la collera di chi – nel frattempo – è rimasto senza lavoro.

Dice che “vanno sviluppate opportunità che debbono servire a dotare di uno strumento di intervento efficace il Patto per lo sviluppo, al fine di ricostruire la personalità economica del territorio, arricchendolo di competenze in rete per accrescere la competitività del nostro sistema di imprese…”; ed ancora che “si tratta di inaugurare una dimensione nuova dello sviluppo locale, basato su una legge quadro regionale di interventi, tendenti all’attivazione di un modello articolato di sviluppo basato sulla distrettualità, in un contesto di dimensione territoriale dello sviluppo…”.

Più chiaro di così!!! Ho provato a leggere questi passaggi ad alcuni lavoratori della “Ferro”, recentemente licenziati (come il sottoscritto). Fortuna che ho ancora gambe buone per scappare…!

 

Vinti, come detto, è intervenuto più volte (anche meritoriamente) sulla vicenda “Ferro”.

In più di una occasione ha mostrato però di vivere altrove, quasi a confermare l’abissale distanza – e perfino l’incomunicabilità – che permane tra due mondi separati, quello politico e quello del lavoro.

Ad un certo punto della trattativa (siamo intorno alla fine del mese di agosto), quando le rituali logiche concertative sindacali si erano ormai propagate come una metastasi in tutto il corpo operaio, Vinti ha commesso l’incredibile errore di rilanciare la palla dell’occupazione dello stabilimento per aprire un forte conflitto territoriale, senza capire quali sentimenti stavano prevalendo in una fabbrica già fortemente individualista/opportunista e scarsamente sindacalizzata/politicizzata.

Nessuno se lo è filato, perché tutti avevano già capito l’epilogo di un film già visto altrove…

Non contento della sua solitudine, il “nostro”, parlando di “consenso estorto all’assemblea dei lavoratori”, ce l’ha messa tutta per farsi malmenare perfino da un sindacato notoriamente screditato.

Una sortita infelice, la sua, che è stata pesantemente apostrofata anche da quegli operai – in verità, una piccola componente minoritaria – suoi elettori o potenziali tali.

A mio modesto parere, Vinti avrebbe dovuto fare una cosa semplicissima: scendere dal cadreghino di Palazzo Cesaroni, misurarsi con i lavoratori della Ferro attraverso la convocazione di un’assemblea pubblica davanti ai cancelli o in piazza, capirne le necessità e i bisogni e, soltanto allora, agire negli opportuni luoghi istituzionali facendo le dovute pressioni e magari avanzando proposte concrete ed alternative rispetto a quelle sposate dai concertatori di professione.

Invece di ululare invano alla luna, come egli ha preferito fare (a giochi fatti), Vinti e compagni – in qualità di “ago della bilancia” degli equilibri politici regionali – avrebbero almeno potuto far tacere la signora Lorenzetti, la cui genuflessione nei confronti delle multinazionali è fin troppo nota ed inquietante (“E’ impensabile aprire un conflitto con una multinazionale alla quale invece dobbiamo tenere una particolare attenzione e un occhio di riguardo…” – avrebbe pubblicamente detto la “presidentessa” nel corso della trattativa).

Vinti è anche libero di pensare ad un voto estorto ai lavoratori nella fase conclusiva della vicenda.

Non avendo partecipato volutamente alle assemblee, non posso essere certo che si sia fatto ricorso anche a questi mezzucci di basso profilo; conoscendo però quei lestofanti dei “confederali”, ritengo che questa possa essere un’ipotesi verosimile. E’ certo, comunque, che – tranne gli assenti (una ventina e per diversi motivi) – l’accordo è stato ratificato dalla quasi totalità dei lavoratori (soltanto tre astenuti).

Perché? Provo a dare una risposta.

Nell’accordo sono previste: a) la cessazione dell’attività produttiva e, quindi, la chiusura definitiva dello stabilimento a partire dal 6 ottobre 2003; b) la Cassa Integrazione Straordinaria per tutte le 98 unità lavorative per 12 mesi (80% della retribuzione); c) il ricorso alla mobilità (alla scadenza della Cigs e con un trattamento economico di poco inferiore) per uno, due o tre anni, secondo l’età anagrafica del dipendente; d) una somma a titolo transattivo di importo lordo pari a 12 mensilità retributive lorde.

Non credo che ci possa essere qualcuno felice di essersi trovato in queste condizioni; a nessuno fa piacere d’essere licenziato, per di più in una situazione paradossale (non di crisi) come quella creatasi alla “Ferro”.

Ciò premesso, pongo però necessariamente una domanda a Vinti.  In assenza di proposte “forti”, che nessuno dei politici ha pensato mai di elaborare e sostenere in una lunga e difficile trattativa, proposte radicali capaci di garantire almeno per un decennio la continuità produttiva e, di conseguenza, il mantenimento dei livelli occupazionali, cosa avrebbero dovuto fare gli operai? Continuare la lotta? Per che cosa? Dimostrare di poter resistere tre/quattro mesi per andare poi verso una inevitabile sconfitta, con un pugno di mosche in mano?

Beh! Sui lavoratori della “Ferro” si può dire tutto il male possibile ed immaginabile, ma una cosa è certa: non sono fessi!

 

 

Fabrizio Baroni

(dipendente “Bonaca-Bayer-Ferro” dal 12/2/1973)

 

Cannara, 9 ottobre 2003