presentazione libro
25 febbraio 2005

Bastia Umbra


presentazione del libro "Sahara occidentale: una scelta di libertà"
di Luciano Ardesi


con Luciano Ardesi - presidente Associazione Nazionale di Solidarietà con il Popolo Saharawi

coordina: Mauro Ghiglione

introduce: Luigino Ciotti - Presidente Circolo Culturale "primomaggio"

l'incontro con Luciano Ardesi

Nota In queste pagine è riportata la trascrizione dell’incontro con Luciano Ardesi. Il testo scritto ha subito leggere modificazioni rispetto a quello che è stato effettivamente detto solo da un punto di vista della sintassi e dell’ortografia delle frasi, ma non dal punto di vista contenutistico. A causa di problemi tecnici, nella trascrizione non è stata riportata la parte iniziale dell’intervento di Luigino Ciotti e la parte conclusiva del dibattito con il pubblico.

Luigino Ciotti Pur avendo preso il libro già da un po’, non sono riuscito a leggerlo e fare, come ogni buon relatore, una bella presentazione della persona. Luciano mi scuserà, rimarranno i bei ricordi del dibattito di due anni fa al festival dell’Unità a Perugia. In realtà è la seconda volta che facciamo un’iniziativa sulla questione sahrawi: alcuni anni fa venne un rappresentante della Toscana in ritorno da una riunione nazionale a Roma, ora mi sfugge il nome. La questione del popolo Sahrawi è una di quelle problematiche totalmente dimenticate e ignorate dai cittadini, sia Italiani che nel resto del mondo. Noi siamo così bravi a parlare di questioni dove magari c’è il petrolio e dove mandare delle truppe militari che servono naturalmente a salvaguardare le risorse per il nostro futuro. Ed è strana questa cosa: andiamo ad esportare la democrazia dove c’è comunque un paese sovrano mentre dove non c’è un paese sovrano, come nel Sahara Occidentale, ce ne dimentichiamo totalmente e lasciamo tranquillamente che possa essere nelle mani di un paese straniero, cioè il Marocco. Questa vicenda, che dura da quasi 30 anni, nasce dalla decolonizzazione. Il Sahara Occidentale era in mano della Spagna che poi ha lasciato: allora sono arrivati i Mauritani e i Marocchini che ne hanno occupato il suolo costringendo una parte consistente del popolo Sahrawi a fuggire, ad andare via: in particolare si è rifugiato nel sud dell’ Algeria, nelle tendopoli di Tindouf. Da qui ha ricostruito altre cittadine nel deserto del sud algerino e queste cittadine avevano gli stessi nomi dei paesi del Sahara Occidentale. Ha comunque ricostruito un suo stato, la Rasd, la Repubblica Araba Sahrawi Democratica. Questo popolo, bellissimo e di grande civiltà, io ho avuto l’occasione di visitarlo tre anni fa: è stata una bellissima esperienza e vi invito a farla, anche tramite l’associazione. Ogni anno vengono organizzati dei viaggi che peraltro non costano nemmeno moltissimo ed è un’esperienza bellissima. Stare nel deserto è difficilissimo ma hanno costruito una struttura sociale veramente invidiabile, anche per paesi che hanno ben altre risorse e ben altre ricchezze. Quindi una struttura che funzione, nelle scuole, negli ospedali, addirittura anche come strappare il deserto per produrre ortaggi e frutta; facendo canali d’irrigazione, qualcuno pensa che solo Israele sia capace di fare queste cose! Con molti meno mezzi, anche nell’ Algeria del sud sono stati capaci, i Sahrawi. Insomma, una grande esperienza.

L’associazione porta poi in Italia ogni anno molti bambini Sahrawi, in estate. Devo dire che anche qui avevamo pensato se c’era la possibilità di portarne alcuni: peraltro è anche facile, perché parlano spagnolo ed è quindi molto più semplice comunicare con loro rispetto ad altri ragazzini che vengono da altri paesi. Anche se poi, indubbiamente, sono abituati alle grandezze del deserto e per loro è difficile pensare all’idea della casa o della città così come la concepiamo noi. Non siamo riusciti a mettere in piedi, non abbiamo nemmeno trovato la sensibilità di questa amministrazione che pure di strutture ne ha: penso ai 10 centri sociali che ci sono a Bastia, alle varie scuole che d’estate sono chiuse. Quindi ci sarebbe la possibilità teorica di ospitare bambini Sahrawi, non abbiamo trovato la disponibilità. Devo dire che forse non siamo stati capaci neanche noi di organizzarci in maniera sufficiente, eppure sarebbe una cosa che si potrebbe fare e sarebbe estremamente interessante.

Il problema del Sahara Occidentale è politico perché il tentativo di avere l’autonomia e la libertà dal Marocco non va avanti, non procede anche a causa dell’intervento delle Nazioni Unite, degli Occidentali, in particolare degli Stati Uniti d’America e della Francia. È molto più importante avere amico il Marocco piuttosto che qualche centinaio di migliaia di Sahrawi che non pesano e non contano niente. Tra l’altro è un paese in cui ci sono fosfati, c’è una pesca molto attiva, etc. Però sostanzialmente, siccome è preferibile avere il Marocco amico per questioni geo-politiche, gli Occidentali non hanno mosso una paglia; e nemmeno l’Italia, tranne appunto le associazioni che sono molto forti in particolare in Toscana (ma non solo lì) e che appunto ospitano qualche centinaio di bambini e fanno alcune iniziative, pubblicazioni, organizzano una carovana che va giù in genere in aprile…

Ardesi No, è appena arrivata, giovedì mattina nei campi, fresca fresca!

Luigino Ciotti Ovviamente è molto più informato di me, Luciano, e giustamente, essendo il presidente dell’associazione! Allora io non l’allungo tanto, a me importava moltissimo sottolineare la questione, non solo per l’esperienza personale bellissima. Quando vediamo che dei popoli sono oppressi, che manca la libertà e dove ci sono altre popolazioni che occupano, ingiustamente e illegittimamente, il territorio di altri paesi, per noi diventa una questione essenziale parlarne e cercare di fare in modo che il diritto riabbia il sopravvento. Da un punto di vista politico ci sembra, come dicevo prima, semplicemente assurdo che ci occupiamo di democrazia in paesi dove forse sarebbe preferibile non fare interventi e sarebbe meglio starsene a casa (parlo ovviamente dell’Irak, da cui noi chiediamo il ritiro delle truppe, sia italiane che statunitensi) e non parlare di altre questioni. Ecco il motivo della presentazione di questo libro: torno a dire, mi scuso, per non averlo letto ma è la storia più completa del popolo Sahrawi; per altro infarcito di splendide fotografie, questo il giudizio lo posso già dare, che non sono di Luciano ma sono comunque bellissime e rendono ovviamente la pubblicazione ancora più attraente. Per questo vi invito anche ad acquistarlo e comprarlo. Luciano ha lavorato in Algeria per molti anni come cooperante e ha avuto anche esperienze di questa natura: quindi credo che il passaggio sia stato anche logico e consequenziale. Se ci descrive anche i contenuti del libro proprio per farci capire di più di questo paese, di questo popolo e darci un’ulteriore spinta forse a mobilitarci un po’ di più, per cercare di riottenere quel diritto negato che vi dicevo del popolo Sahrawi. Grazie.

Luciano Ardesi Grazie a Luigino, grazie a Mauro, per avermi dato l’occasione di discutere di questo problema, che come avete sottolineato, è un problema dimenticato: e naturalmente ci saranno altre occasioni di dibattito, anche perché avrai letto il libro e allora potremo parlarne meglio! In questo libro, che è il primo libro che riassume la storia del popolo Sahrawi e delle sue questioni cruciali, mi sono sforzato non solo di fare una cronistoria ma anche di evidenziare alcune originalità. Naturalmente la prima originalità riguarda il popolo stesso, originalità rispetto, e questo è importante sottolinearlo, all’area che noi consideriamo. Il territorio del popolo Sahrawi è stato totalmente occupato dalla Spagna solo a partire dagli anni ‘30 ed è un territorio con delle frontiere artificiali disegnate dalle potenze coloniali. Il popolo Sahrawi si distingue sicuramente in maniera chiara e decisa rispetto ai popoli del Marocco, dell’Algeria mentre con la Mauritania condividono solo e soltanto la lingua e l’origine etnica. Quella parte del deserto che geograficamente si affaccia sull’Oceano Atlantico, storicamente è stata una zona relativamente di grande commercio ma non ha mai consentito il consolidarsi di poteri così come noi lo immaginiamo oggi, con un centro urbano dove risiede un sovrano e da dove partono gli eserciti e le truppe e dove si detiene il potere. No, in quella parte del deserto dove non ci sono città (l’unica città è sorta nel 1910 ad opera da quelli che i Sahrawi considerano essere un nazionalista ante litteram, Ma al Ainin, che ha combattuto sia contro gli Spagnoli che contro i Francesi), l’unica possibilità di tenere insieme una società era quella di creare, tra le numerose tribù che compongono questo popolo, delle forme di solidarietà e di alleanza, creando una sorta di parlamento, l’assemblea dei 40, che si riuniva ogni qualvolta che questo territorio rischiava di essere invasa da altre tribù che non facevano parte di questa confederazione o da altri stati e da altri e potenze, incluse le potenze straniere europee. E tutto questo ha funzionato durante la colonizzazione spagnola ma è anche e soprattutto da quando è nata la lotta di liberazione, da quando nel 1973 è stato costituito il Fronte Polisario; e anche dopo con l’occupazione del territorio da parte del Marocco e della Mauritania.

Vi dicevo che si è creata una originalità rispetto ad altre esperienza della regione. Ad esempio che in questa parte del deserto, si erano installati i Francesi che però non hanno messo altro che una caserma ma non sono riusciti a far rifiorire il deserto. Ecco, loro ci sono riusciti: sono riusciti a fare una cosa straordinaria, cioè creare una società in esilio completamente autogovernata. Io sono stato in diversi campi profughi africani, sia dell’Africa meridionale che di quella orientale, che di quella occidentale. Vi posso assicurare che non ho mai trovato delle popolazioni rifugiate che fossero state in grado di gestire l’insieme della propria vita. Perché, come gli altri campi profughi, è chiaro che vivono dell’aiuto esterno fondamentalmente: ma questo aiuto esterno è completamente gestito dai Sahrawi stessi e non è dalle agenzie delle Nazioni Unite come accade altrove. Non ci sono, come mi è capitato di vedere, campi tracciati con la squadra ma gestiti da ONG scandinave, quindi campi belli allineati, tutti dritti in cui sembra di assistere ad un disegno, come del resto è loro costume, di un urbanista moderno e raffinato. Però quei campi così ordinati e così precisi erano gestiti, anche nella distribuzione degli aiuti, da stranieri. Questa è la realtà dei campi profughi in Africa. Bene, qui è stata realizzata questa esperienza straordinaria, di un popolo che autogestisce tutti gli aspetti della vita materiale, cominciando dal nulla. Sono arrivati sotto i bombardamenti dell’aviazione trenta anni fa (fra poco, alla fine dell’anno, saranno 30 anni che questo popolazione è nei campi), senza nulla, fuggendo a piedi, con pochi vestiti addosso, senza suppellettili e senza tende, anche se una parte di loro era ancora una popolazione nomade. E partendo dal nulla, sono riusciti a costruire questa cosa. Oltretutto sono campi in evoluzione. La prima volta che ho visitato questi campi all’inizio degli anni ’70, mi ha colpito una cosa: io mi immaginavo di vedere le tende nomadi. Mi dicevo, questi sono nomadi, sono scappati, si saranno portati dietro le tende. Invece no, non ce l’hanno fatta a portarsi le tende. Le loro tende erano costruite con pezzi di tessuti, raccolti dai vestiti là dove era possibile racimolare qualche cosa e cucite incessantemente perché il vento le strappava. Poi sono venute le tende della solidarietà internazionale, della croce rossa e così via. E adesso hanno cominciato a costruire delle case, in mattoni di sabbia. Adesso si vede la gente che impasta la sabbia e costruisce i mattoni con cui, via via, migliora o aggiusta la propria casa.

Naturalmente io vi ho parlato dell’aspetto materiale della trasformazione dei campi: ma la cosa più straordinaria è l’organizzazione che questa società si è data. Quando ha cominciato ad organizzarsi negli anni ’70 sotto i bombardamenti marocchini, naturalmente si è posta il problema della difesa: tutti gli uomini validi partirono al fronte e i campi profughi sono stati gestiti fondamentalmente dalle donne. Le donne hanno fatto questa straordinaria esperienza di occuparsi non solo dell’economia domestica ma anche dell’economia politica, cioè di occuparsi di tutti gli aspetti della sopravvivenza dei campi: quello della distribuzione degli aiuti, quello di risolvere eventuali conflitti che fossero sorti tra le famiglie o tra le persone. E poi dare un senso alla propria vita, creando delle istituzioni popolari. I campi una volta erano pieni una di tende, grandi tende. Adesso cominciano ad esserci grandi saloni, un po’ come questo (non come questo, diciamo non così bene arredato! ma di queste dimensioni), dove i consigli dei campi si riuniscono e discutono, fanno politica senza microfoni; però con una grande volontà di portare avanti questa difficile esistenza nel deserto, con una volontà politica straordinaria. Questa mi sembra la prima grande originalità di questo popolo.

Un altro dato di originalità è stato quello che vi vado a dire. Si parla in questi tempi di pace e di guerra; ahimè, soprattutto si parla di guerra. È vero, questo è un popolo che è ricorso alle armi: è ricorso alle armi perché ha dovuto fare fronte ad una aggressione armata. Ma questo popolo ha sempre saputo usare le armi non per fare la guerra. Fin dal primo momento, il Fronte Polisario ha fatto appello al popolo fratello marocchino, che non considera affatto come un nemico ma che, al pari di tutti gli altri popoli della regione (il popolo mauritano, algerino, tunisino, libico), considera un popolo fratello del Maghreb. Dicevo, si è trovato a combattere il potere marocchino, ma avendo ben chiaro che l’obiettivo era quello di costruire una regione di pace. Quindi, quando è stato possibile dimostrare al Marocco che con le armi non avrebbe potuto schiacciare il popolo Sahrawi, si è arrivati rapidamente ad un cessate il fuoco e ad un piano di pace elaborato sotto gli auspici delle Nazioni Unite. Ma questo piano di pace, ahimè, è rimasto bloccato. Voi sapete, il Marocco pretende che questo ed altri territori gli appartengano storicamente. Il Marocco rivendica non solo il Sahara Occidentale ma rivendicava tutta la Mauritania, la parte occidentale del Mali e la parte occidentale dell’Algeria. Poi, non potendo occupare queste regioni, ha occupato, con una guerra scellerata, il Sahara Occidentale, l’ ex colonia spagnola. Quello che non si aspettava era probabilmente la reazione del popolo Sahrawi e soprattutto la capacità del popolo Sahrawi di portare un messaggio, diciamo, positivo rispetto anche alle divisioni, alle lacerazioni che pure dividono ancora oggi l’Africa. Il Sahara Occidentale dice, i Sahrawi dicono, noi vogliamo l’indipendenza perché vogliamo creare un’unità maghrebina e un’unità africana. Non a caso la Repubblica Araba Sahrawi Democratica è stata ammessa nel 1980 alla allora Organizzazione dell’Unità Africana, oggi chiamata Unione Africana. Ha effettivamente occupato questo seggio a partite dal 1984 e da allora la RASD fa parte di tutte le strutture dell’Africa unita; portando avanti questo messaggio, cioè che è possibile superare i conflitti per via pacifica, a condizione che il diritto internazionale venga rispettato.

Ecco quindi, come hanno già fatto i Palestinesi, ma forse con ancora maggiore determinazione, i Sahrawi si sono identificati nella legalità e nel diritto internazionale, rivendicando il principio dell’ autodeterminazione dei popoli coloniali (visto che il Sahara Occidentale non è mai stato decolonizzato dopo l’occupazione spagnola). Quindi a mio avviso un messaggio di grande modernità, che è quello della legalità internazionale; un messaggio che già molto prima dell’11 settembre aveva respinto il terrorismo come forma di lotta politica e armata, come invece hanno fatto altri popoli che pur giustamente rivendicavano la propria libertà. Il Fronte Polisario ha fatto questa scelta deliberata, di non usare mai il terrorismo; anche perché lo avrebbe dovuto usare contro quello che considera uno dei popoli fratelli della regione, il popolo Marocchino. Questa quindi è un’altra originalità del popolo Sahrawi.

Ma detto ciò, ci sono dall’altra parte molti aspetti negativi e anche questo ho cercato di mettere in evidenza nel libro. Il primo aspetto riguarda la responsabilità della Comunità Internazionale e delle Nazioni Unite in particolare. Se c’è un movimento di liberazione nazionale che si appella ai principi di libertà, di democrazia e del diritto, che pure l’Occidente sbandiera a destra e a sinistra, come mai nel caso del Sahara Occidentale questi principi non trovano i paesi occidentali e l’Unione Europea in prima fila affinché vengano rispettati? In modo particolare, l’Unione Europea non è mai riuscita a prendere una posizione netta e chiara nei confronti di questo problema. Il Parlamento Europeo ha spesso approvato delle risoluzioni a favore dell’autodeterminazione del popolo Sahrawi ma né la Commissione né il Consiglio dell’Unione Europea (quindi ministri, presidenti del consiglio, capi del governo dell’Unione Europea) non hanno mai investito la loro volontà politica su questa questione. E non solo non hanno investito, ma c’è anche uno di questi paesi dell’Unione Europea, vale a dire la Francia, che ha impedito qualsiasi iniziativa aldilà di quella umanitaria. L’Unione Europea dà, è vero, degli aiuti umanitari (peraltro insufficienti a questo popolo) ma per l’opposizione della Francia, non ha mai preso delle iniziative politiche. Ad esempio, la Francia non ha voluto che l’Unione Europea respingesse la pretesa del Marocco di firmare un accordo di pesca che non includesse anche le acque territoriali sahrawi. Il Marocco ritiene che quelle acque sono sue, ritiene che un accordo di pesca con lo stato marocchino debba comprendere anche le acque territoriali sahrawi. L’Unione Europea ha fatto finta di non vedere questo problema e naturalmente, le nostre flottiglie, in modo particolare gli Spagnoli, vanno a pescare nelle acque territoriali del Sahara Occidentale rubando in questo modo al popolo Sahrawi una risorsa naturale molto importante: quelle coste sono infatti, insieme a quelle del Senegal, tra le più pescose del mondo. Bene, questa è una, come dire, originalità negativa della questione del Sahara Occidentale. Come mai la Francia ha fatto questa scelta di appoggiare il Marocco e di non invece il popolo Sahrawi? Ricorderete ad un certo punto con Mitterand, la Francia, un po’ come oggi fa Bush con l’Iraq, si mise in testa (eravamo agli inizi degli anni ’90) di condizionare gli aiuti al rispetto della democrazia, al rispetto dei diritti umani, e così via. Però non si sognò mai di porre questo problema al Marocco.

E vorrei parlarvi a questo punto di un’altra originalità, a cui dedico ben un capitolo. Come mai ho dedicato un capitolo al Marocco? Il Marocco gode giustamente di buona fama, è un paese magnifico, è un popolo magnifico, questo bisogna dirlo. Ma, ahimè, ha un sistema di potere che, se vogliamo, è anch’esso un qualcosa di molto originale; tragicamente originale! Il Marocco è una monarchia, non come le monarchie dell’Unione Europea. Il re del Marocco non è una regina Elisabetta, non è un re Juan Carlos: è un re che governa, che ha l’essenza del potere. C’è una lunga tradizione di monarchia assoluta; così assoluta che è talmente forte nei confronti dei propri sudditi che si è potuta concedere anche la possibilità di giocare alla democrazia. Il Marocco, ad esempio, è stato per molti anni il solo paese arabo dove esisteva un parlamento eletto; è stato il solo parlamento dei paesi arabi dove ci fosse un deputato comunista, uno solo, ma c’era. Un deputato comunista, in Marocco: un deputato comunista che però diceva il Sahara Occidentale è marocchino, altrimenti non lo avrebbero fatto sedere in quel parlamento. E come è possibile che un paese che ha una tradizione millenaria di libertà (perché il Marocco, a differenza di tutti gli altri paesi del Maghreb non è mai stata una colonia. È diventato un protettorato ma non è mai diventato mai una vera e propria colonia francese), come mai. è diventata una dittatura? Perché il potere è totalmente nelle mani del re che si può concedere queste concessioni: un parlamento, un governo che è talvolta addirittura di coalizione. Il governo che precede l’attuale era addirittura presieduto da un ministro socialista. Ma è un paese che ha fondamentalmente un’assoluta mancanza di libertà. Quindi si capisce come mai questo paese abbia potuto occupare un altro, perché è un paese che non ha la libertà al proprio interno. È vero, ultimamente ci sono state, come dire, delle aperture. C’è stata, ad esempio, la riforma del codice della famiglia che lascia così maggiore indipendenza alle donne. È stata recentemente istituita una commissione, chiamiamola verità (un po’ sulle tracce di quella del Sudafrica per far luce sui crimini sull’apartheid) per far luce sui crimini perpetrati durante il regno del padre dell’attuale re Mohamed VI, il precedente era Hassan II. Però pensate una commissione verità che potrà dire che ci sono state delle torture, che ci sono stati casi di prigionieri uccisi, di persone scomparse: ma questa commissione verità si dovrà arrestare davanti ai nomi di coloro che hanno commesso questi crimini. Si potrà dire la verità sui peccati, ma non la verità sui peccatori. Anche qui una messinscena che non rimette in causa il sistema di potere. Quindi ho cercato di andare oltre la vernice che si è dato questo paese, un paese aperto al turismo, ospitale, etc; ma che nella verità ha questi buchi neri. Un giorno Hassan II disse: «« Ogni re ha il suo giardino segreto e anche io ho i miei giardini segreti »». Aveva risposto così ad una delegazione di Amnesty International che chiedeva informazioni su delle persone scomparse marocchine e sahrawi.. Bene, questo giardino segreto è rimasto ancora in gran parte segreto e il Marocco continua a restare un giardino segreto.

Io credo che quell’altro giardino fiorito, non solo in senso metaforico, che si trova nello stato accanto, potranno fiorire ben altri fiori. I fiori della democrazia, della libertà, dell’esercizio di un potere democratico, dove comunque c’è una dialettica. E questo è l’ultimo messaggio che voglio dire, e voglio naturalmente ricollegarmi al tema di grande attualità della guerra in Iraq. Il Sahara Occidentale è la smentita di tutto quello che si potuto dire sui popoli arabi e mussulmani in questi ultimi anni. Non parlo solo del caso estremo della Oriana Fallaci. È la smentita più assoluta e completa di tutti i pregiudizi, ma anche la smentita del fatto che la democrazia in questi paesi, non si può costruire, perché sottosviluppati, perché non hanno cultura, etc.etc. La democrazia in questo paese è stata costruita, è stata costruita dal nulla e senza intervento straniero. Bene, io sono convinto, proprio partendo da questa esperienza (possiamo discutere giornate intere sulle ragioni della guerra in Iraq), che è questo che ha fatto paura a Bush, agli Americani e ai suoi amici: che un popolo potesse prendere in mano il proprio destino. Perché popoli che sanno prendere in mano il proprio destino esistono. Questo popolo è il popolo Sahrawi.

Applausi

DOMANDE ED INTERVENTI DEL PUBBLICO Domanda pubblico Sulla geografia del Sahara Occidentale. Il Marocco si è insediato nella parte settentrionale del paese, lasciando stare comunque quella restante. Però il Sahara è un paese piuttosto esteso. Può spiegare più dettagliatamente la situazione in questo stato?

Luciano Ardesi Il Sahara Occidentale attualmente è diviso in due da un muro costruito dai Marocchini con l’ausilio dei tecnici e dei consiglieri israeliani e americani (la specialità continua!). Nella parte occidentale del muro ci sono i territori occupati dove sono installati oltre 100000 militari marocchini e altrettanti coloni. La parte settentrionale di questo stato è stata maggiormente popolata perché nel nord ci sono le miniere di fosfati che sono poi la grande risorsa del paese. Per quel che riguarda invece le coste, là ci sono le flottiglie straniere che passano ma non hanno bisogno di approdi. Dall’altra parte, nella parte orientale del muro, ci sono i territori liberati in cui ci sono diverse migliaia di Sahrawi che sono rimasti nomadi. Vivono quindi di pastorizia, allevano cammelli e capre, spostandosi continuamente a seconda della situazione climatica laddove con le piogge, peraltro piuttosto rare, si creano dei pascoli. Aldilà della frontiera del Sahara Occidentale, in Algeria, c’è quella parte della popolazione che trenta anni fa è scappata. Oggi sono oltre 150.000 persone; ripeto, in una situazione di completa autorganizzazione.

Domanda pubblico Quanti sono più o meno i Sahrawi?

Luciano Ardesi Beh è difficile, mettete conto che ci sono 150.000 nei campi profughi, ce ne sono 30.000 nei territori occupati, qualche migliaio, e quindi siamo già a 200.000, nei territori liberati. Esistono diverse migliaia anche in Mauritania e una piccola diaspora di qualche migliaio di persone in Spagna (e questo per ragioni storiche). In questo momento, il numero della popolazione in esilio è più numerosa di quella che è all’interno. Però anche quelli che sono all’interno, e questo non l’ho sottolineato, da oramai cinque anni hanno iniziato una lotta quotidiana contro l’occupazione. In modo particolare i giovani che hanno studiato, che cercano di studiare, che cercano di trovare lavoro e che vengono sistematicamente discriminati. E soprattutto i giovani che protestano, sono quelli che poi sono sistematicamente arrestati, torturati. La cosa significativa è che una parte delle organizzazioni di difesa dei diritti umani marocchine prende posizione contro le azioni dell’esercito e della polizia marocchina nei territori occupati: ma è una presa di posizione molto timida perché ad esempio c’era un’organizzazione che si era schierata a favore del popolo Sahrawi e aveva cercato di aprire una sede nei territori occupati. È stata chiusa e messa fuori legge. Ci sono dunque grosse difficoltà naturalmente, per queste forme di solidarietà da popolo a popolo. Però qualcosa è iniziato anche lì.

Domanda pubblico Non è stato possibile riportare la domanda a causa di problemi tecnici nella registrazione; si trattava comunque di una domanda sulle iniziative umanitarie.

Luciano Ardesi Comincio con la carovana perché è arrivata giovedì mattina nei campi ed è stata la sedicesima carovana che abbiamo organizzato a partire negli anni ’80. Ogni anno vengono raccolti dei fondi oppure si cerca presso le amministrazioni dei veicoli dimessi ma ancora in buone condizioni, compresi talvolta anche gli autobus di trasporto. Con i fondi raccolti, questi camion e questi pulman o questi automobili fuori strada vengono riparati e vengono messi nelle condizioni di affrontare le condizioni piuttosto dure di quella parte del deserto. Questi mezzi vengono poi caricati di aiuti umanitari. La carovana si chiama così, perché fino al ‘92 aveva al seguito delle persone. I camion erano riempiti di merci ma i pulman erano invece pieni di persone. 50, 60 persone, ogni anno, andavano via mare fino a OUAHRANA (Algeria), poi via terra fino a Tindouf. Sono circa 2000 km, la strada però è buona ed è asfaltata, fino a Tindouf. E con 16 carovane abbiamo portato, in tutti questi anni, qualcosa come oltre 200 veicoli: quest’anno 9, ma erano tutti belli pieni. Quest’ anno peraltro si è ripreso a portare la caravana con degli accompagnatori, perché le condizioni di viaggio in Algeria oggi sono molto ma molto migliorate rispetto a qualche anno fa. Noi dal ’92, le carovane le abbiamo continuate a fare, però senza gli accompagnatori italiani. Da due anni abbiamo ricominciato. Questo è uno dei tanti programmi che facciamo.

Per quanto riguarda invece l’accoglienza dei bambini durante l’estate, devo precisare che la Toscana è stata la regione pioniera ma ormai abbiamo bambini ospitati da tutte le parti d’Italia, al nord come al sud (anche se la Toscana e l’Emilia Romagna continuano a prendere la parte preponderante). Ogni anno vengono circa 500 bambini (speriamo di potere aumentare sempre più) e vengono ospitati per due mesi, grossomodo dai primi di luglio fino al 31 agosto, perché quella data è la data limite visto che di solito sono ospitati in strutture scolastiche (o che comunque sono di ausilio alle strutture scolastiche) e il primo di settembre devono essere riconsegnate. Quindi il 30 di agosto si sbaracca tutto. Assieme ai bambini vengono degli accompagnatori Sahrawi: c’è anche qualche caso di ospitalità in famiglia e a questi bambini vengono offerte attività ricreative e ludiche. Soprattutto quello che si cerca di fare è di mettere in contatto la realtà dei bambini con la nostra società. È per loro una forma, come dire, complementare di educazione e di maturazione ma è anche una forma affinché la società italiana prenda contatto con questa realtà.

Domanda pubblico Non è stato possibile riportare cosa è stato richiesto a causa di problemi tecnici nella registrazione. Presumibilmente era una domanda sull’organizzazione dei campi profughi dei Sahrawi .

Luciano Ardesi Diciamo che le cose in trent’anni sono molto cambiate. Vi facevo prima l’esempio delle tende; adesso ci sono delle case o meglio delle costruzioni con mattoni di sabbia e con il tetto di lamiera, il tutto messo insieme con della sabbia e così via. In trent’anni c’è stato anche un accumulo dei beni e della capacità di arrangiarsi. Ormai ci sono Sahrawi che sanno riparare le macchine e che sanno trafficare l’elettricità: questa viene dai pannelli solari, ad esempio tutte (o quasi) le abitazioni hanno un pannello solare perché a forza di carovane, di voli charter, di visite e di progetti di cooperazione, le case si sono potute attrezzare con un minimo di confort. Così pure un altro grosso progetto è stato quello di fornire loro le bombole del gas per cucinare, perché se avessero usato i pochi alberi della regione, quello sarebbe diventato ancora di più il deserto dei deserti! E lì c’è stato un grosso sforzo, il gas viene naturalmente dall’Algeria, ma ci sono dei finanziamenti in modo da poter sostenere il governo algerino nel lavoro di sostegno per questo elemento fondamentale della vita quotidiana. Dal punto di vista collettivo, sono due le cose straordinarie. Una, gli ospedali; è stata creata una struttura piramidale di sanità per cui ci sono dei dispensari dove c’è il personale Sahrawi, diciamo infermieri o infermiere, che hanno ricevuto una formazione molto rapida e che sono in grado di capire se la patologia richiede interventi semplici e che possono essere trattati sul posto oppure richiedono di andare ad una struttura più complessa. Vi è poi l’ospedale nazionale dove c’è anche una camera operatoria. Nei casi più gravi naturalmente si ricorre all’estero e anche in Italia noi abbiamo potuto curare alcune patologie particolarmente difficili da curare.

L’altra impresa collettiva è stata quella dell’educazione. Non so se avete letto, sul Corriere della Sera di ieri o di oggi, un articolo che sottolineava come i paesi arabi sono i paesi con la più alta densità di analfabeti. Il tasso di analfabetismo nei paesi arabi è il più alto del mondo. Bene, tra i Sahrawi il 100 per cento della popolazione è alfabeta, il 100 % dei bambini e delle bambine sono andati a scuola, sanno leggere e scrivere. È l’unico paese arabo e l’unica realtà araba che è riuscita in questa sfida: che è eccezionale, perché non vuol dire solo essere capaci di gestire la sopravvivenza quotidiana (cosa fondamentale e importantissima nella quale ci sono riusciti), ma vuol dire anche aver saputo investire nel futuro. Per questo dico che i Sahrawi hanno un futuro automatico. Questo popolo ha fatto una scelta di libertà, come dicevo nel sottotitolo del libro, ma una scelta di libertà che lo sta già oggi proiettando nel futuro. Visto che dobbiamo parlare di situazioni tragiche ma fortunatamente superate, io non so se ricordate l’apartheid sudafricana. Ebbene l’Africa National Congress si battè fin dagli anni ’50, ’60 (insomma da quando questo sistema di apartheid incominciò ad essere messo in piedi scientificamente) investendo sempre nell’ educazione dei propri quadri o comunque della popolazione nera. Quando l’African National Congress chiedeva all’Europa, al mondo, alle Nazioni Unite di darle una mano a sconfiggere l’apartheid (vi ricordo che negli anni ’80 Regan sosteneva che bisognava, per tenere in piedi la diga contro il comunismo, tenere in piedi la diga dell’aparthaid) e di rispettare i valori democratici di libertà e di uguaglianza che andava sbandierando per il mondo, chiedeva anche, ai paesi europei soprattutto, di concedere borse di studio ai giovani Sudafricani. Che cosa è successo oggi? È successo che l’African National Congress ha saputo prendere il potere che prima era monopolio dei bianchi e oggi gestisce quello che è diventato lo stato più forte in Africa, dal punto di vista economico, dal punto di vista politico, dal punto di vista sociale e culturale. I Sahrawi stanno facendo questo: vogliono dimostrare che il giorno in cui avranno l’indipendenza, di poter gestire questo paese (cosa peraltro che già fanno visto che stanno gestendo, come dicevo prima, 150000 persone: quindi è la gestione di una piccola-media città italiana. E hanno dimostrato di essere in grado di farlo). Certo avranno bisogno di una fase di transizione, ci sarà ancora bisogno di aiuti e di investimenti dall’estero ma dal punto di vista umano, saranno in grado di gestire questo paese.

Intervento di un primo ragazzo marocchino del pubblico Il popolo Sahrawi è diviso in due parti, una parte vive in territorio marocchino, una parte vive in territorio algerino a Tindouf. Allora questo problema è secondo me tra il governo algerino e il governo marocchino e le tanti parti interessate con il Marocco e con l’Algeria. Soffre solo il popolo, sia marocchino, sia sahrawino, sia algerino. Chi gode sono i tre governi dell’Algeria, del Sahrawi e del Marocco. I Marocchini già pagano tante tasse, li levono dal lavoro per mandarli nel deserto. Gli Algerini lo stesso. Questa cosa è durata troppo, trent’anni, anche di più, ci vuole una soluzione a questo problema.. Lo sappiamo tutti, non è una guerra tra popoli, non centra niente. È un problema tra il governo marocchino e il governo algerino.

Luciano Ardesi Rispondo molto volentieri perché questo mi dà l’occasione di dire cose che avevo trascurato. Innanzitutto voglio ricordare che è stato il Marocco che ha invaso questo territorio, non sono stati gli Algerini. È chiaro che il conflitto è stato tra i Sahrawi e il governo marocchino: non parlo dei Marocchini in generale, un popolo che amo e che apprezzo. Perché i Sahrawi sono scappati in Algeria? I Sahrawi sono scappati in Algeria perché il Sahara Occidentale è circondato da tre stati, la Mauritania, l’Algeria e il Marocco. Al momento dei bombardamenti dell’esercito e dell’aviazione marocchina e anche quando l’esercito mauritano ha invaso il Sahara Occidentale, l’unico paese che non li bombardava e che non li ammazzava era l’Algeria. Quindi l’unico paese in cui i Sahrawi hanno potuto trovare rifugio è stata l’Algeria. Perché l’Algeria sostiene e appoggia il popolo Sahrawi? Lo appoggia per diversi motivi, perché i Sahrawi come l’Algeria (ma anche come il Marocco e come la Mauritania) sono stati popoli che hanno subito la colonizzazione europea.

Gli Algerini hanno fatto una guerra di liberazione durata otto anni, voi Marocchini avete avuto un re che è stato obbligato ad andare in esilio dalla Francia perché non accettava l’idea di una decolonizzazione “addomesticata” e perché rifiutava di essere un servo della Francia; il re che poi sarebbe diventato Mohamed V. Tutti i popoli di questa regione hanno dovuto combattere per la propria libertà. È quello che hanno fatto i Sahrawi con gli Spagnoli prima, contro l’esercito marocchino e mauritano poi, quando sono stati invasi. Perché l’Algeria? Perché l’Algeria ha dovuto fare la stessa strada che hanno fatto i Sahrawi per avere l’indipendenza. Ricordo che l’Algeria era stato dichiarata territorio metropolitano, cioè provincia della Francia, non colonia: provincia della Francia.

La seconda ragione è che se gli Algerini non avessero sostenuto le ragioni dei Sahrawi…beh, tu sai meglio di me che c’è stato un tentativo da parte del Marocco di invadere l’Algeria nel 1963: perché, come dicevo prima, il Marocco non rivendicava solo il Sahara Occidentale ma anche una parte dell’Algeria (tanto è vero che ci fu una guerra, breve per fortuna, ma ci fu una guerra nell’ottobre del 1963). Bene, alla fine, dopo una guerra che è cominciata nel 1975 e si è fermata nel ’90, il re Hassan II ha accettato un piano di pace che prevedeva che i Sahrawi potessero votare se unirsi al Marocco oppure diventare indipendenti. Questo referendum fino ad ora non si è mai tenuto: non solo, ma mentre un tempo questo piano di pace prevedeva che a votare sarebbero stati solo e soltanto i cittadini Sahrawi, oggi c’è stato un altro piano di pace, elaborato dall’ex segretario di stato americano James Baker, che prevede che a votare sul futuro del Sahara Occidentale siano non solo i cittadini Sahrawi ma anche i Marocchini che risiedono in Sahara Occidentale. Prima ho dato una cifra che era grosso modo di 200000 persone, 200000 sahrawi che sono nella zona (sto parlando però anche dei bambini che non hanno diritto di voto). Nei territori occupati, attualmente, esistono più di 200000 Marocchini adulti. Questo vuol dire che coloro che avranno diritto di voto saranno grosso modo più o meno due blocchi della stessa consistenza numerica. Allora la domanda che noi tutti ci poniamo è questa: come mai i Sahrawi accettano che i Marocchini che risiedono nel Sahara Occidentale possono votare se restare con il Marocco oppure diventare indipendenti mentre il re del Marocco non accetta questa soluzione (che sulla carta è senz’altro favorevole ai Marocchini)? Ebbene, degli amici, alcuni amici Marocchini ci hanno spiegato quello che per noi sembrava assolutamente incomprensibile. Un referendum di questo tipo, il re lo vince a mani basse! Perché? Beh, innanzitutto perché questo voto sarebbe preceduto da cinque anni in cui la popolazione del Sahara Occidentale può autodeterminarsi. È vero, le relazioni estere, la moneta, la bandiera sarà marocchina ma saranno gli abitanti del Sahara Occidentale, Marocchini o Sahrawi, a decidere senza ingerenza del Marocco a governarsi. Questo è un fatto rivoluzionario perché in Marocco non c’è questa libertà di esprimersi, di decidere, di votare. Ecco di che cosa ha paura il re del Marocco. Se fosse democratico, come dice, dovrebbe essere ben felice che in questo territorio tali popolazioni possano esprimersi liberamente. Come mai non lascia questa opportunità a questo popolo? Io sono sicuro, mi dicevano e sono sicuro che abbiano ragione questi amici Marocchini che lo dicono, che una parte della popolazione marocchina potrebbe decidere di votare per l’indipendenza; anche perché il Fronte Polisario ha dichiarato fin dalla sua nascita che considera il popolo marocchino un popolo fratello e da quando i coloni hanno cominciato ad installarsi nel Sahara Occidentale, ha sempre detto: «Noi rispetteremo questi fratelli e, una volta che il Sahara Occidentale sarà indipendente, se decideranno di restare, noi li accoglieremo come fratelli e saremo un unico popolo». Beh, io ho l’impressione che sia questo che fa paura al re: che una parte dei Marocchini, di fronte a questa prospettiva, potrebbe decidere di votare l’indipendenza del Sahara Occidentale e vivere in uno stato libero e democratico, come il Marocco non è mai stato.

Domanda pubblico di un secondo ragazzo del Marocco Vorrei sapere l’atteggiamento dei paesi arabi nella questione e della lega araba. Inoltre volevo chiedere se, in questa situazione molto complessa e difficile, si parla di un ritorno dei profughi nella loro terra in questa o in altre condizioni? E poi mi ha fatto impressione e mi è piaciuto anche l’alto livello di istruzione, di scolarizzazione, il non analfabetismo. Mi ha fatto piacere anche per contraddire un'altra cosa con il signore di prima (il primo marocchino). Siamo immigrati, anche io sono come te: ma penso che un paese, un popolo così istruito, può prendersi in mano il suo destino e non c’è bisogno che decidano i governi marocchini o algerini per i destini di questo popolo. Grazie.

Domanda pubblico Io mi ricollego alla domanda del signore. Come si comportano i paesi africani?

Luciano Ardesi Allora, per quel che riguarda i paesi arabi, solo l’Algeria e la Mauritania (che ha fatto la guerra ai Sahrawi ma poi ha fatto un trattato di pace e ha riconosciuto la Repubblica Araba Sahrawi Democratica) hanno riconosciuto ufficialmente la Rasd. La Libia per un certo tempo ha appoggiato il Fronte Polisario, poi si è un po’ ritirata anche se ci sono dei Sahrawi che continuano a studiare in Libia. Gli altri paesi hanno in genere un atteggiamento o ostile oppure neutro. Quindi la lega araba nel suo complesso, proprio perché ci sono queste diverse posizioni, non ha riconosciuto il Fronte Polisario e non appoggia la causa sahrawi. L’Unione Africana invece appoggia i Sahrawi perché la maggioranza dei 52 paesi africani che fanno parte dell’Unione Africana riconosce la RASD. L’ultima in ordine di tempo è stato il Sudafrica che l’ha riconosciuta nel settembre scorso. Dico 52, perché il 53-mo, il Marocco, si è ritirato nel 1984 quando la RASD è stato ammessa in seno all’organizzazione dell’Unità africana. Queste erano le prime due domande, non ricordo le altre due.

Secondo ragazzo marocchino Si parla, si discute adesso di un ritorno?

Luciano Ardesi Ah, del ritorno. Allora, i profughi sono pronti a tornare, tanto è vero che nel ’91 avevano già fatto i bagagli, perché sembrava che nel ’92 si dovesse votare questo referendum. Il Fronte Polisario ha costruito nei territori liberati degli ospedali e delle strutture che potrebbero accogliere i profughi e una parte di questi profughi sicuramente andrebbe anche (naturalmente sotto garanzia internazionale) ad installarsi nelle zone attualmente occupate. Quindi nel momento in cui si potesse votare e ci fosse questo periodo di autonomia, i profughi sono pronti a tornare. L’altra domanda?

Secondo ragazzo marocchino L’altra, era un’ opinione che mi è venuta così: siccome sono così istruiti e secolarizzati, mi sono detto, perché devono decidere gli altri? Devono decidere loro stessi!

Luciano Ardesi Infatti, sono perfettamente in grado di autodeterminarsi e di decidere il proprio futuro. Gli deve essere data questa opportunità, votare e poi rientrare nel paese in sicurezza.

Mauro Ghignone Tu hai parlato delle ONG: ONG spagnole ce ne sono molte, tante. Questo è un fatto abbastanza caratteristico, ci sono ormai popoli che vivono su gli aiuti internazionali. Non è una bella cosa: però dici anche che i Sahrawi riescono a gestire molto meglio gli aiuti internazionali di altri popoli rifugiati. Allora la prima domanda è se trovi che questa sia una situazione anche di fortuna storica; di trovarsi in un posto dove c’è spazio, in un territorio che non ha avuto delle incursioni militari e che non è stato occupato in modo ferreo, strategico come è avvenuto per altri popoli. Per esempio in Palestina di ONG ce ne sono troppe, tantissime. Però è chiaro che i Palestinesi spesso non sono in grado di gestire gli aiuti umanitari perché proprio nessuno a loro chiede niente; i progetti non vengono decisi da loro, li decidono le ONG e la stessa cosa i fondi. Quindi, se pensi che esista questo aspetto? Perché da una parte non dubito che i Sahrawi siano molto istruiti come dici te, ma è anche vero che sono stati molto aiutati (anche nell’ambito dei paesi non allineati: Cuba, paesi del blocco sovietico). Io penso che qui si tratti di una fortuna in parte geografica perché anche i Palestinesi sono estremamente istruiti ma, da quando è scoppiata l’intifada, non è più possibile istruirsi. Dall’altra parte, se si va ancora più a nord, ci sono i Curdi che hanno una percentuale di analfabetizzazione che fa paura. Però non è detto che anche questi non siano in grado di prendere in mano il loro futuro.

Poi un’altra domanda. Tu hai parlato anche di questa pace gestita dalle Nazioni Unite. Le Nazioni Unite sono dieci anni che sono ad El Aiun o anche più, dal 1992; e continuano comunque a fare un censimento per questo referendum che mi sembra sia stato spostato più di una volta. Anche qui c’è da chiedersi qual è la funzione delle Nazioni Unite perché anche in altre aree di crisi le Nazioni Unite stanno lì da 20 anni, 30 anni, 40 anni, 50 anni e le cose non si smuovono. Poi tu hai parlato di un popolo che si è attaccato al diritto internazionale. Adesso io non voglio e penso che non sia corretto fare dei parallelismi, dei paragoni. I Palestinesi hanno avuto queste tre risoluzioni ONU: non c’è un popolo a cui il diritto internazionale sia stato più negato, non c’è uno stato che ha più ridicolizzato i diritti internazionali di Israele. Queste risoluzioni ONU sono state aggirate giorno per giorno, proprio in base al loro diritto internazionale. La loro è una storia di tradimenti, di ingiustizie, di voltafaccia. Quindi, tu parli anche del fatto che i Sahrawi hanno dovuto ricorrere alle armi per portare il Marocco a parlare su un piano politico; i Palestinesi, probabilmente, e altri popoli, non hanno avuto nemmeno questa fortuna. Non hanno potuto con le armi portarli su un piano politico. Tu hai parlato anche dell’apartheid e del fatto che l’ANC chiedeva scuole. Ora l’apartheid qui non è finito e non solo; l’apartheid è scientifico, come l’hai definito tu, esiste in Medio Oriente, esiste in Turchia, esiste da altre parti del mondo. Il problema è questo, il problema del popolo Sahrawi è un problema di autodeterminazione, di diritti degli individui e dei diritti dei popoli per cui quello che ti chiedo. Quando li ho conosciuti, i Sahrawi erano ben consci di quello che succedeva nel mondo arabo: erano molto politicizzati, appoggiavano completamente tutte le lotte di liberazione. Non pensi però che se i Sahrawi (che sono colti, che sono politicizzati), anziché vivere nel Sahara e avere a che fare con il Marocco, avessero avuto a che fare con la Turchia o con gli Stati Uniti, il discorso sarebbe stato profondamente diverso? Questo non toglie comunque che anche nel caso di altri popoli, non si possa parlare di diritto ad esercitare una violenza, come ha fatto il Polisario, senza per forza ricorrere a delle connotazioni estreme.

Luciano Ardesi Rispondo. Per quel che riguarda le ONG, esse ci sono nei campi profughi, in Algeria; e naturalmente sono le stesse ONG che poi operano anche negli altri paesi del mondo. Io ho una visione critica di quello che le ONG fanno. Spesso impongono, come tu hai detto, i loro programmi, che rispondono più alle proprie esigenze che non a quelle del popolo a favore del quale questi programmi sono stati promossi. Però diciamo che, nel Sahara occidentale, il danno che possono fare le ONG è minore perché il grado di gestione di questi programmi in loco è molto ma molto superiore rispetto ad altre realtà. Il problema dei Sahrawi in questo momento non è tanto con le ONG, bensì con l’Unione europea. Naturalmente non ho potuto dirvi tutto quello che è nel libro, ma c’è un’altra questione fondamentale. Prima ho parlato dell’Unione Europea che fornisce gli aiuti umanitari. Che cosa è successo però negli ultimi anni? L’Unione Europea fornisce gli aiuti attraverso le ONG, che dunque, pur non essendo governative, hanno fondi fondamentalmente statali. Le ONG ricevono dall’Unione Europea gli alimenti che poi devono essere distribuiti ai Sahrawi. E l’Unione Europea sta in questi ultimi anni ponendo dei ricatti alle ONG, dicendo loro che, se vogliono avere ancora il finanziamento, devono sostituire il personale locale e Sahrawi con proprio personale (come succede peraltro in tutti i campi profughi del mondo, tranne che con i Sahrawi, come dicevo prima). E quindi non sono tanto le ONG che non rifiutano il ricatto (ahimè tutti tengono famiglia e anche loro, senza questi finanziamenti, rischiano di trovarsi senza fondi per mandare avanti le proprie strutture e i propri apparati); ma la responsabilità più grossa è dell’Unione Europea che pone questo ricatto alle ONG. I Sahrawi stanno resistendo, l’unica cosa che hanno concesso è che ci siano dei responsabili di queste ONG, così come i responsabili dell’Unione europea (che possano fare delle ispezioni, giustamente, per sapere se questi aiuti vanno o non vanno a destinazione). Non hanno nulla da nascondere. E fino ad adesso tutto procede per il meglio, più o meno.

Seconda domanda. Mi sono azzardato a fare questa affermazione audace secondo la quale il popolo Sahrawi è stato quel movimento di liberazione che con più coerenza si è tenuto legato al diritto internazionale. Per quel che riguarda i Palestinesi, ahimè, il diritto internazionale è stato a mio avviso piegato ad un compromesso. La spartizione delle Nazioni Unite nel 1948 ha fatto sì che si decidesse di dividere un territorio che fino a quel momento era unito e ha diviso questo territorio in due stati e due popoli: tutto ciò senza che le Nazioni Unite si siano mai sognati di chiedere a questi popoli che cosa volessero ovvero. Sappiamo che il movimento sionista aveva scelto la Palestina, sappiamo che i Palestinesi non avevano scelto la spartizione e se fosse stato permesso loro di esprimersi, si sarebbero pronunciati contro quella scelta. Nello statuto dell’OLP, contrariamente a quello che si va vanverando in giro, non si è mai detto che Israele dovesse essere distrutto. L’OLP si era battuto per uno stato democratico multinazionale tra Palestinesi e Israeliani. È vero, era contro lo stato di Israele; ma contro lo stato di Israele così come si era venuto configurando e non contro una terra per gli Ebrei. La fortuna ha voluto che il Fronte Polisario non si fosse trovato di fronte a questo dilemma: effettivamente la richiesta dell’OLP andava contro quella che io chiamo forzatura del diritto internazionale (con la risoluzione delle Nazioni Unite che divideva in due la Palestina). E quindi ho detto che il popolo Sahrawi si è sempre attenuto al diritto internazionale con maggiore coerenza, perché lì, per fortuna, il diritto internazionale non ha mai avuto ambiguità. I territori che sono stati dominazione coloniale, come è stato il Sahara spagnolo, si devono autodeterminare con un voto e con un referendum. In questo senso mi sono permesso di introdurre una forse eccessiva scala di gerarchia di chi si tiene più o meno vicino al diritto internazionale! La terza domanda?

Mauro Ghignone La terza domanda era quella sul tasso di alfabetizzazione. I Sahrawi sono un popolo molto colto, molto alfabetizzato. Inolte anche la fortuna storica perché i Curdi, per esempio, per i diritti internazionali…

Luciano Ardesi Beh, io lì avrei qualche perplessità a parlare di fortuna. È vero che i Sahrawi non hanno avuto vicino la Turchia o Israele; però ti voglio ricordare che hanno avuto il Marocco, il quale ha tentato nel novembre-dicembre del 1975 di sterminare questo popolo. Quando l’esercito cominciò ad invadere via terra il Sahara Occidentale dal nord, quando l’esercito marocchino entrò via terra, i Sahrawi, che non volevano vivere sotto occupazione, cominciarono a fuggire attraverso il deserto. Bene, quelle popolazioni vennero sistematicamente bombardate al napalm. Quindi ci fu un tentativo di genocidio, per fortuna non riuscito, perché in quel momento il Fronte Polisario decise di sospendere momentaneamente le operazioni militari. Faceva sì delle azioni di guerriglia e di disturbo nei confronti dell’esercito, ma tutti i mezzi dell’esercito di liberazione sahrawi vennero impiegati per portare in salvo la popolazione. Diciamo che tra il novembre-dicembre ’75 fino al febbraio-marzo del 1976, nel Sahara Occidentale, non ci fu una vera e propria guerra ma ci fu un tentativo di contenere l’avanzata per permettere ai profughi di fuggire. A quel punto intervenne l’aviazione e fu il massacro.

(FINE DELLA CASSETTA)